Copyright, c’è l’ok definitivo. Ma l’Italia è contro

Il Consiglio europeo ha definitivamente approvato, senza discussione, la direttiva sul copyright. «Abbiamo un testo bilanciato che fissa un precedente da seguire per il resto del mondo, mettendo cittadini e creatori al centro della riforma e introducendo regole chiare per le piattaforme online», ha detto il presidente dell’Impala (associazione dei produttori di musica indipendente europea), Helen Smith. Le posizioni contrarie non sono mancate: Italia, Svezia, Finlandia, Polonia, Olanda e Lussemburgo hanno detto “no” alle modifiche. Ad astenersi, invece, Slovenia, Estonia e Belgio, mentre la Germania ha verbalizzato un suo protocollo in cui invita la Commissione – responsabile dell’attuazione – ad evitare filtri all’upload e alla censura.

348 sì, 274 no e 36 astenuti erano i numeri con cui le nuove regole erano state approvate dal Parlamento europeo lo scorso marzo. La direttiva si poneva l’obiettivo di equilibrare la libertà su internet con la giusta remunerazione dei detentori del diritto d’autore. In un mondo in continua evoluzione, i giganti del web rischiavano – ogni tanto con successo – di affossare gli editori di contenuti. Per questo, dopo tre anni di tira e molla, Strasburgo ha modificato l’ordinanza risalente al 2016 con lo scopo di definire il cosiddetto mercato unico digitale, uno spazio economico comune senza barriere.

Le novità consentono agli editori di stampa di negoziare accordi con piattaforme e social network per farsi pagare l’utilizzo dei propri contenuti e di quelli che riguardano i suoi giornalisti: «gli autori delle opere incluse in una pubblicazione di carattere giornalistico potranno ricevere una quota adeguata dei proventi percepiti dagli editori per l’utilizzo delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione». L’autore di un contenuto editoriale veicolato dalle piattaforme online (per esempio Google News) dovrà essere dunque remunerato dai propri editori, a loro volta questi ultimi vengono ripagati per i contenuti concessi agli aggregatori digitali. Saranno così le stesse piattaforme a doversi assumere le responsabilità e non più gli utenti che hanno caricato il materiale protetto. Proprio su questo articolo, il tanto citato 17, ci sono state diverse polemiche.

La norma, infatti, prevede sì che «un prestatore di servizi di condivisione di contenuti online debba ottenere un’autorizzazione dai titolari dei diritti sempre attraverso una licenza». Ma lo fa con dei limiti. I big del web possono dunque far leva su alcune eccezioni: «aver compiuto i massimi sforzi per ottenere un’autorizzazione» o comunque «aver agito tempestivamente». Confini, questi, estremamente labili, soprattutto se si considera che la norma si rivolge solo a grandi aziende, visto che lo stesso articolo esclude o limita le responsabilità di società con fatturato inferiore ai 10 milioni o meno di tre anni di attività.

Non solo, a essere ammorbidita anche la questione sugli estratti degli articoli. Per gli aggregatori che guadagnano pubblicando notizie provenienti da altri giornali e siti, non bisognerà pattuire alcun compenso per «singole parole» ed «estratti molto brevi». Il tutto comporta che questi possano benissimo fornire le anteprime. Su questi punti si focalizzata la contrarietà dei “no”: «Si tratta di un passo indietro» perché non assicura «il giusto equilibrio tra protezione dei diritti e interessi dei cittadini e delle aziende» e perché avrà «un impatto negativo sulla competitività nel mercato unico digitale europeo».

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