Sono passati cinquant’anni dalla morte di Francisco Franco, il dittatore che dal 1939 al 1975 ha segnato in modo indelebile la storia spagnola. Il suo regime, sostenuto militarmente dal nazista Adolf Hitler e dal fascista Benito Mussolini e consolidato dopo la vittoria sulla Repubblica, non crollò con lui. Il 20 novembre 1975 non fu l’alba immediata della democrazia, ma l’inizio di un lungo smarrimento nazionale.
L’incertezza dopo la morte
Distruzioni come quella di Guernica, crimini contro i bambini, scomparse, esilii e più di 110 mila morti nella Guerra civile sono solo alcune della atrocità di cui il “Caudillo” fu artefice nei quarant’anni di potere. Ma degli orrori né Franco né i gerarchi spagnoli risposero mai con un processo e non ci fu mai una “Norimberga spagnola”. Il dittatore morì di vecchiaia e i giorni successivi al lutto vennero sentiti dal Paese con un senso di generale disorientamento. Per il popolo spagnolo, abituato a decenni di franchismo, il regime era la normalità e senza il leader crollò la certezza quotidiana.
Ancora oggi il passato spacca in due la Spagna. Da un lato, per molti la morte del dittatore aprì un periodo di libertà e di prosperità, ma dall’altro il revisionismo storico ha spinto parte della popolazione a idealizzare il regime, considerando la democrazia peggiore del franchismo. Nonostante non vissero quel periodo.

Una falsa democrazia?
Tornando a quel 20 novembre 1975, per la Spagna la strada non era certa. Due giorni dopo, venne proclamato re e capo di stato Juan Carlos I di Borbone, ma in breve gli fu evidente la necessità di passare alla democrazia per non incorrere all’esplosione delle piazze. Nel 1977 furono indette le prime elezioni libere dopo quarant’anni, furono legalizzati tutti i partiti e l’anno successivo nacque la Costituzione. Il passaggio, definito la “Transizione”, fu celebrato come esempio di pacificazione, ma molto più complesso.
La parvenza della democrazia, non aveva spento il germe della dittatura. Né il franchismo né l’antifranchismo erano abbastanza forti per prevalere l’uno sull’altro, ma neanche abbastanza deboli per soccombere all’altro. Senza una resa dei conti, il Paese scelse il silenzio per non rischiare un nuovo conflitto. E quel silenzio portò a un racconto distorto del passato, in cui i partiti piegarono il passato ai loro interessi per prevalere sugli avversari. Manipolazioni e falsificazioni dilagarono tra la popolazione spagnola portando a una duplicità di pensiero sul tema. Se per la destra il periodo di passaggio fu pacifico, per l’estrema sinistra fu una falsa democrazia guidata ancora dai franchisti.
Tra passato, presente e futuro

La nuova democrazia poggiava su un equilibrio fragile e il fantasma del Caudillo continuò ad aleggiare. Il popolo non fece mai i conti con il suo passato, nonostante non fosse passato davvero. Fu un tentativo di tacere volontariamente sulle responsabilità sociali, politiche ed economiche che ancora oggi perdura sia istituzionalmente sia civilmente in Spagna.
Non cercando di capire il passato, il Paese è stato mutilato nel suo presente. È rimasto bloccato in uno stallo in cui non ha analizzato i suoi stessi errori, per impedire che tornassero ciclicamente. Fingendo di andare verso un futuro, senza dominare il passato, non è stato possibile vivere nel presente. E ciò che è rimasto è stata solo la confusione del «Españoles, Franco ha muerto».