“Wei fu xian lao”, ossia “diventare vecchi prima di diventare ricchi”. L’espressione, comune nella millenaria cultura cinese, riassume bene le preoccupazioni attuali di Pechino. Per il secondo anno consecutivo, infatti, la popolazione del Dragone segna un calo in termini demografici. Fatto storico, visto che l’ultima volta successe agli inizi del “Grande balzo in avanti”, piano economico e sociale della Repubblica Popolare dal 1958 al 1961. Un cambiamento epocale, che trasformò radicalmente il paese da un sistema economico agricolo in una moderna società industrializzata. Le riforme politiche e istituzionali di Mao Zedong gettarono la Cina nella “Sānnián dà jīhuāng”, la Grande Carestia, che agli inizi degli anni sessanta uccise tra le 15 e le 55 milioni di persone. Uno dei più grandi disastri naturali nella storia dell’uomo. De facto, un’altra epoca.
I dati
Alla fine del 2022, la Cina contava 1,41 miliardi di abitanti, 850mila in meno rispetto alla fine dell’anno precedente. Prendendo in considerazione il medesimo lasso di tempo, anche il numero dei morti è risultato superiore rispetto a quello dei nuovi nati. 10,41 milioni i primi, 9,56 milioni i secondi. I nascituri del 2022 sono inferiori anche rispetto a quelli del 2021, anno in cui in Cina si registrarono 10,62 milioni di nuove nascite.
I dati preoccupano evidentemente la leadership di Xi Jinping e l’intero apparato del Partito comunista cinese. I numeri mettono in serio rischio le aspirazioni geopolitiche di Pechino di diventare la prima economia del mondo, superando gli Stati Uniti. Nel quarto trimestre del 2022 la Cina ha registrato un rialzo del Pil del 2,9%, dato uguale se raffrontato sull’intero anno. La crescita, inferiore al 5,5% governativo annunciato lo scorso marzo, si confronta con l’aumento dell’8,1% del 2021, risultando il più debole dal -1,6% del 1976, anno della morte di Mao Zedong. Escludendo il rialzo di poco più del 2% del 2020, condizionato dall’emersione del Covid a Wuhan a fine 2019, livelli così bassi di crescita non si registravano a Pechino da più di quarant’anni.
Le ripercussioni sul mercato del lavoro cinese
Il calo demografico ed economico si riflette pesantemente anche sul mercato del lavoro cinese. Secondo l’Ufficio nazionale di statistica, in Cina le persone in età lavorativa, ossia di età compresa tra i 16 ed i 59 anni, sono il 62%. Un calo vistoso se rapportato a dieci anni fa, quando il medesimo gruppo di individui rappresentava il 70% della popolazione. Tale riduzione della manodopera diminuirà, evidentemente, anche il gettito fiscale e i contributi ad un sistema pensionistico già in difficoltà.
Altro elemento da considerare: l’invecchiamento della popolazione cinese. Entro il 2035, infatti, in Cina 400 milioni di persone avranno un’età superiore a 60 anni: un terzo degli abitanti. L’India già quest’anno potrebbe superare il Dragone in termini di abitanti, sottraendole lo storico primato di paese più popoloso del mondo. Dopo Giappone e Corea del Sud, Pechino, con 1,5, ha il terzo tasso di natalità più basso al mondo. Numeri chiaramente insufficienti per assicurare la crescita della popolazione.
Le cause
Numerosi sono i fattori che hanno portato alla situazione odierna. La fallimentare politica trentennale del figlio unico, ad esempio, che, introdotta nel 1979 e abbandonata nel 2015, ha portato a un pazzesco divario di genere. In Cina oggi ci sono 30 milioni di uomini in più rispetto alle donne. Ma anche il costo della vita sempre più alto, con milioni di famiglie che non riescono a sostenere la crescita dei figli, il crollo del settore immobiliare e la politica draconiana di tolleranza zero per il Covid.
Dopo tre anni di emergenza pandemica, le ambizioni imperiali di Xi Jinping paiono dunque subire un’ulteriore battuta di arresto. Il sogno del ringiovanimento nazionale, del ritorno alla grandezza precedente alla I Guerra dell’Oppio (1839), prima indicazione dell’attuale presidente nel Congresso del Pcc nel 2012, pare così allontanarsi. L’orizzonte è però proiettato al 2049, anno in cui la Repubblica Popolare festeggerà i cent’anni dalla nascita. L’anno in cui la Cina dovrebbe, secondo le indicazioni del suo leader, trasformarsi da “società moderatamente prosperosa” a “paese socialista e moderno”. Staremo a vedere.