Etiopia nel caos, ma stavolta il Paese vede la fine. E in Eritrea tutto tace

Dopo giorni di conflitto in Etiopia, il premier Abiy Ahmed è vicino a sconfiggere quello che rimane del Tigray People’s Liberation Front (TPLF), il movimento salito al potere nel 1991 e che nel corso degli anni ha oppresso e governato con la forza il Paese. Si spera, questa volta, definitivamente.

Le tensioni erano nell’aria e alla fine la miccia è esplosa. Ma per contestualizzare l’attuale situazione politica nel Paese occorre fare qualche passo indietro. Quanto sta succedendo in questi giorni – con Abiy che è pronto a sferrare l’attacco decisivo nel Tigray, una delle nove regioni del Paese- non è altro che il bellicoso epilogo di una una storia che in realtà parte da molto più lontano. 

L’ascesa di Abiy Ahmed

In seguito ai tre anni di proteste popolari in Etiopia, l’attuale primo ministro riuscì nel 2018 a strappare finalmente il paese dalle mani di Hailé Mariam Desalegn, il presidente di origine tigrina rappresentante del Tplf. Tutti i maggiori esponenti politici dell’ex regime si rifugiarono nel Tigray, che confina con il Sudan e soprattutto con l’Eritrea, con la quale Abiy Ahmed ha promosso un percorso di riappacificazione che gli è valso, tra le altre cose, il premio nobel per la pace. Ma all’epoca, non tutti erano contenti dei cambiamenti.

Mentre il giovane Abiy riceveva l’investitura ufficiale del Parlamento infatti, a molti non passò inosservato il disappunto di Gebremichael Debretsion, altro leader politico dei tigrini, i quali intanto venivano a mano a mano estromessi sia dall’esercito sia dalla cariche più importanti dello stato (tutte da loro occupate per oltre 25 anni). Per riprendere il conflitto, al Tplf serviva solo un pretesto, che alla fine è puntualmente arrivato. Ad agosto di quest’anno infatti, erano in programma le elezioni regionali etiopi. Si sarebbe dovuto votare anche nel Tigray, dove il Tplf era certo di portare a casa la vittoria (con metodi democratici discutibili, come il passato insegna). Ma sul più bello Abiy ha deciso di sospendere il voto, vista la crisi sanitaria, rinviando la tornata elettorale a data destinarsi. Un gesto che non è andato giù ai rappresentanti del Tplf, arroccati nel Tigray.

Desiderosi di riprendersi il potere, essi contavano infatti su una vittoria regionale, per cercare di dare poi la spallata definitiva al governo centrale nelle prossime elezioni nazionali. Un affronto, per il Tplf, che da gennaio era anche stato accantonato totalmente dalla coalizione di governo. La sentenza federale che di fatto posticipava le elezioni, è stata impugnata però dagli uomini del Tigray, che hanno deciso invece di confermare il voto per il 9 settembre scorso. Come da pronostico le urne hanno premiato il Tplf, ma il premier etiope ha prontamente disconosciuto il risultato delle elezioni. Una scelta che ha innescato la reazione del fronte di liberazione del Tigray.

La Regione del Tigray in Etiopia

Forze armate del Tplf hanno dato vita a un’escalation di violenza e tensione, culminata con l’attacco contro una caserma di Macallè, città principale della regione. Il Tplf si è poi impossessato del presidio militare presente nel Tigray, uno dei più riforniti di munizioni e armamenti di tutto il Paese. Nel frattempo il parlamento nazionale ha appoggiato Abiy nella sua battaglia, votando per lo scioglimento del governo locale e nominando, con la benedizione del premier, un’amministrazione temporanea per il Tigray.

Cosa succede ad Asmara?

Alla fine però, il primo ministro etiope è stato costretto a deporre l’ascia diplomatica e ad attaccare, inviando truppe in una regione già sotto osservazione per la stretta vicinanza con l’Eritrea, finita nel mirino del Tplf per i rapporti tra Abiy e il presidente Isaias Afewerki. Dopo quindici giorni di disordini, il conflitto è arrivato anche lì: alcuni razzi sparati verso la capitale Asmara sono caduti nella zona dell’aeroporto. Il rumore delle esplosioni ha spaventato la popolazione, convinta che il bombardamento avesse provocato morti e danni alla struttura. Altri media internazionali hanno iniziato a parlare anche di un attacco al Ministero dell’Informazione presente in città, notizia che però non ha trovato alcun riscontro. Non che sia facile capire quale sia in questo momento la verità. La rete telefonica e quella di Internet del Tigray è stata infatti scollegata dal Tplf, mentre dall’Eritrea, altro paese dove le comunicazioni sono inaccessibili ormai da tempo, tutto tace.

Raggiunta telefonicamente da Master X, ha provato a fare il punto della situazione Marilena Dolce, di EriteaLive: «Molti organi di informazione hanno usato immagini non veritiere per riportare quanto accaduto ad Asmara. Le esplosioni sono avvenute, ma posso dire con certezza che in città non è stato colpito né l’aeroporto, né il Ministero dell’Informazione», spiega.

Fonti presenti sul posto non sono ancora riuscite a recuperare informazioni sul tipo di armamento dei razzi, che sarebbero utili a ricostruire il loro punto di partenza: «Sicuramente sono stati sparati dal confine – continua Dolce – ma non essendo guidati come i missili, e per questo meno ‘affidabili’, si sono infranti in una zona aldilà dell’aeroporto». Sulla pagina Facebook di Eritrea Live, è stato pubblicato un video di un utente presente ad Asmara, che ritraeva la città la mattina dopo. Il silenzio assordante ‘smentiva’ di fatto le voci di possibili disordini, ma la situazione, come confermano altre fonti, non è ancora chiara. Ciò che succede ad Asmara, non è facile da capire nemmeno per chi ad Asmara ci vive.

Calma piatta ad Asmara, la mattina dopo le esplosioni. @Milena Bereket su Facebook

Intanto, in molti hanno deciso di lasciare il Tigray, migrando verso il confinante Sudan, che ha iniziato ad accogliere i rifugiati tre le accuse di Abiy di proteggere i terroristi. Molti dei paesi limitrofi hanno comunque iniziato ad appoggiare l’Etiopia e il suo primo ministro: «Per un occidentale è difficile essere a favore del Tplf, ma per riequilibrare la situazione nel paese è fondamentale il sostegno degli altri stati africani», sottolinea Dolce.

E non solo di quelli: il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha condannato gli atti di violenza del Tplf, così come molti altri leader europei e mondiali. «L’analisi politica -prosegue l’esperta di EritreaLive- rimane comunque complicata. Gli uomini del Tplf hanno governato con la forza il paese per quasi 30 anni, ma il loro tentativo di insurrezione sembrerebbe abbastanza isolato». La situazione infatti, appare quasi definitivamente risolta a favore del governo centrale. Abiy e l’Etiopia, vedono finalmente la fine. Una notizia che potrebbe sbloccare di nuovo i rapporti con l’Eritrea.

Gli stati confinanti tendono la mano ad Abiy

Il Tplf infatti, dal 2018 in poi, ha sempre guardato con sospetto tutti i tentativi di riappacificazione tra i due stati, e la posizione geografica del Tigray non ha di certo favorito il dialogo. L’epurazione cominciata due anni fa da Abiy doveva per forza di cose avere qualche ripercussione. In molti però continuano a non capire la scelta di consegnare al primo ministro etiope il nobel per la pace, visto le continue necessità di ricorrere alla forza: «Uno scossone andava dato. Il rischio era quello di arrivare a una feudalizzazione dell’Etiopia, dove in pochi avrebbero continuato a guadagnare su molti». Ma l’intervento deciso di Abiy ha portato a interventi militari senza sosta dell’esercito del governo centrale nel Tigray e non è ancora chiaro – e probabilmente non lo sarà mai- quale sia il numero reale di persone che hanno perso la vita in questi giorni.

Senza sottovalutare il fatto che quello che succede in Etiopia, può avere ricadute su tutto il Corno d’Africa. Non solo l’Eritrea, ma anche il Sudan e la Somalia guardano con attenzione a quanto sta accadendo, con il pericolo che il prolungarsi di una guerra civile possa far inasprire i rapporti anche con l’Egitto, paese con il quale l’Etiopia ha aperta ancora l’importante questione riguardante il progetto della Diga del Gerd (Grand Ethiopian Renaissance Dam Project).

La soluzione diplomatica è quello che tutti auspicano, ma per Abiy avere supporto istituzionale – da poco è arrivato anche l’appoggio del piccolo e confinante stato del Gibuti –  è già un ottimo punto di partenza. Il premier ha inoltre creato una commissione, che sarà ricevuta da diversi stati africani, con il compito di sensibilizzare in maniera diretta anche altri governi sul tema. Per riprendere in mano i discorsi con l’Eritrea ci sarà tempo, magari senza la presenza ingombrante del Tplf nel Tigray. E occhio a non confondersi: «In molti, (anche sul web, ndr) la chiamano erroneamente la regione dei ‘Tigrè’, ma quel nome si riferisce a un’etnia specifica del Paese e non all’area in questione», conclude Dolce.

Nicolo Rubeis

Giornalista praticante con una forte passione per la politica, soprattutto se estera, per lo sport e per l'innovazione. Le sfide che attendono la nostra professione sono ardue ma la grande rivoluzione digitale ci impone riflessioni più ampie. Senza mai perdere di vista la qualità della scrittura e delle fonti.

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