Gli aiuti da parte degli Stati “amici” del Burkina Faso, Paese poverissimo dell’Africa subsahariana, non si sono interrotti. Le risorse però sono state reindirizzate prevalentemente al comparto sanitario, come è successo in molti altri Stati del mondo da quando è iniziata la pandemia. Ma in questo periodo la vera difficoltà la stanno affrontando i progetti tradizionali di sviluppo, costretti a confrontarsi con l’ostruzionismo dei gruppi armati nel Nord del territorio. Il Burkina è quasi alla paralisi ed è sollevato solo dall’intervento delle tante Ong che operano sul posto. Tuttavia anch’esse sono in difficoltà.
Il ponte sanitario.
Era marzo 2020 quando si è levato il grido di allarme di un cooperante che denunciava la presenza di soli 20 letti di terapia intensiva per 20 milioni di abitanti. Dopo poche settimane si sono attivati gli interventi straordinari da parte della comunità internazionale. « L’Italia è come sempre in prima linea nell’aiuto al Burkina. Abbiamo donato 150mila euro a due ospedali per materiale che servisse a trattare i malati di Covid-19, compreso i respiratori», ricorda l’ambasciatore italiano a Ouagadougou, Andrea Romussi. I ponti aerei sono continuati anche da parte di altri Paesi dell’Unione Europea e la situazione per quanto riguarda i contagi da coronavirus al momento si può dire sotto controllo.
Il covid-19 ha aggravato la crisi economica
Con la chiusura delle moschee, delle chiese e dei mercati, il Burkina è riuscito a non superare i 1.910 casi, ad oggi. Non ha subito un contraccolpo dal punto di vista sanitario, ma lo stesso non si può dire per le conseguenze finanziarie. «A livello economico la popolazione ha sofferto più di altre a causa del lockdown, perché si tratta di un’economia di sussistenza», dice Romussi. «Devono uscire a procurarsi il cibo. Non possono permettersi di far la spesa e metterla nel frigo che non hanno, come non hanno l’elettricità».
In una situazione di normalità sarebbero intervenute le Ong, da anni sul campo per combattere la povertà. In questo caso anche il loro intervento è stato rallentato, a causa dei rientri forzati.
La dipendenza dagli aiuti
A rendere tragica la riduzione della presenza umanitaria è il fatto che il Paese si trovi al 181esimo posto nell’indice di sviluppo umano e che il 30-40% del suo budget è legato all’aiuto straniero. I progetti in atto nel Burkina sono fondamentali per il supporto agricolo e forestale. «L’Europa sta dando un credito di aiuto agevolato al Paese per le infrastrutture. Questa è la nuova frontiera della cooperazione – continua Romussi – quella indirizzata verso progetti con un drive politico e un interesse più strategico per il Paese». La necessità è quella di rendere il Burkina più indipendente.
I progetti si sono paralizzati
Fino a qualche anno fa era più semplice seguire i progetti di sviluppo, essenziali per un Paese del quarto mondo. Adesso non è più così scontato, ma il coronavirus non c’entra niente. La forte instabilità del Nord e il rischio continuo di attacchi terroristici ha portato alla quasi paralisi degli aiuti. Le imprese appaltatrici non possono continuare i lavori in questi territorio, anche solo mantenere i cantieri aperti è pericoloso. «Il risultato è un Paese sfigurato» dice Domenico Bruzzone, direttore dell’associazione Italiana per la cooperazione e lo sviluppo a Ouagadougou.
Non arrivano neanche gli alimenti
Il Paese subsahariano, a causa del terrorismo, non riesce a fare un solo passo in avanti. Più ci si allontana dalla capitale e più risulta difficile far arrivare i volontari, inoltre il rischio di rapimento è alto. Ma risulta problematico anche recapitare beni di prima necessità. «Ultimamente un camion del Programma Alimentare Mondiale (Pam) è stato sequestrato – racconta Bruzzone – dentro c’erano viveri e derrate per la zona di Djigo, nel Nord del Paese. Succede molto frequentemente che quando il governo invia dei beni di sussistenza questi vengano intercettati dai terroristi».
L’importanza delle Ong
La tecnica messa in atto dai gruppi armati non statali è quella di screditare il potere centrale, mettendo in forte difficoltà la macchina degli aiuti, a discapito dei burkinabé a cui manca tutto, a partire dall’acqua da bere. Una piaga che potrebbe essere lenita proprio da alcuni progetti, come la trivellazione dei pozzi, ora ostacolati. «Per questo oggi gli aiuti sul territorio privilegiano la dimensione umanitaria», spiega ancora Bruzzone. Il contributo delle Ong alle comunità locali è ancora concreto e fondamentale, perché, continua, «la situazione è di continua emergenza».
La presenza militare italiana
Si inserisce in questo contesto la missione Tabuka, a guida francese ma di cui farà parte anche un grosso contingente italiano, come ha approvato il 16 luglio il Parlamento italiano tramite il decreto missioni. Della missione Tabuka si sa poco, ma è quasi certo che interesserà proprio il Sahel, dove si trovano gli jihadisti, e che costerà all’Italia 16 milioni di euro solo nel 2020.
«Vogliamo costruire le capacità burkinabé di far fronte alla minaccia terroristica», spiega ancora l’ambasciatore italiano in Burkina, Andrea Romussi. Non è ancora chiaro quale sarà il compito effettivo delle truppe italiane nel deserto del Sahel, quali siano gli interessi strategici nazionali che andremo a difendere nella zona, come si domanda Internazionale. Sembra però che le truppe siano destinate a rimanerci per un lungo periodo, visto che «a breve un colonnello verrà mandato nella capitale e ci resterà in pianta stabile», conclude Romussi.