Brexit, May in lacrime si dimette: «Ho servito il paese che amo»

Il primo ministro britannico Theresa May ha annunciato che si dimetterà il 7 giugno. «Per me è questione di grande rammarico, e lo resterà sempre, il fatto di non essere stata in grado di portare a termine la Brexit», ha confessato ai microfoni posti davanti al civico 10 di Downing Street, a Londra, da sempre residenza ufficiale del primo ministro.

Le dimissioni della May arrivano il giorno dopo l’apertura dei seggi nel Regno Unito per le elezioni Europee. Elezioni alle quali, teoricamente, il popolo britannico non avrebbe dovuto partecipare visto l’invocazione, ormai due anni fa, dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, disciplinante l’uscita di uno stato membro dall’Unione Europea.

Ma la ratifica sulla Brexit (che era attesa per il 29 marzo 2019) è stata rinviata ad ottobre; il Regno Unito deve ora eleggere 73 eurodeputati. I sondaggi danno in testa il Brexit Party di Nigel Farage con i Tory della May in piena crisi. Adesso spetterà a un nuovo leader guidare il paese fuori dall’Unione Europea, ammesso che sia lui che i cittadini britannici siano sempre d’accordo.

Come sottolinea infatti la May, sempre nel suo discorso d’addio, la Brexit «si può fare solo se le parti sono disposte a trovare compromessi». E poi ancora: «Ho fatto il possibile per convincere i deputati a sostenere quell’accordo ma purtroppo non sono stata capace di farlo. Ho provato a farlo tre volte. Credo sia stato giusto perseverare».

Si è detta poi orgogliosa di essere stata la seconda leader donna del Regno Unito dopo Margaret Thatcher, «la seconda, ma certamente non l’ultima». E poi la chiusura, con la voce rotta dal pianto: «Senza rancore ma con l’enorme ed eterna gratitudine per aver avuto l’opportunità di servire il Paese che amo». Ha poi chiuso la cartella dove si era appuntata parti del discorso, ha voltato le spalle ed è rientrata dentro il civico 10 di Downing Street.

Niccolò Bellugi

Senese, laureato in Scienze Politiche. Da toscano capita che aspiri qualche consonante, ma sulla "c" ci tengo particolarmente: Niccolò, non Nicolò. La mia è una sfida: mascherare il mio dialetto originario per poter lavorare in televisione o radio. Magari parlando di Sport. Ma tutto sommato va bene anche un giornale, lì non ho cadenze di cui preoccuparmi.

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