Dopo tre giorni dagli attentati avvenuti in Sri Lanka durante il giorno di Pasqua, i dubbi su quanto accaduto sono ancora molti. Le autorità del posto continuano ad indagare per capire chi ha organizzato le azioni terroristiche e perché e soprattutto per comprendere quali legami ci siano tra l’Isis e un gruppo islamista locale individuato dal governo come responsabile dei fatti.
Dove sono avvenuti gli attacchi e bilancio delle vittime
Sei le esplosioni principali in tre città diverse: tre in chiese e tre in alberghi. Nel pomeriggio di domenica 21 aprile si sono verificate altre due detonazioni, una in una piccola guesthouse e una in un rifugio di un sospettato. Secondo le fonti locali l’attacco più grave sarebbe avvenuto nella chiesa di San Sebastiano a Negombo, a nord della capitale, dove le vittime sono oltre 100. Gli hotel colpiti si trovano tutti a Colombo. Il bilancio più aggiornato è di 359 morti e 500 feriti. Tra le vittime sono 39 gli stranieri. Secondo l’Onu sarebbero almeno 45 i bambini rimasti vittime dell’attentato.
L’Isis
Martedì 23 aprile è giunta la rivendicazione dello Stato Islamico che, secondo l’esperta di terrorismo del New York Times Rukmini Callimachi, è avvenuta con un ritardo inusuale ma spiegabile dalle recenti difficoltà dell’organizzazione a trovare una base sicura da dove dirigere le operazioni. L’Isis ha poi diffuso foto e “nomi di guerra” dei presunti attentatori. Il governo dello Sri Lanka aveva in precedenza accusato degli attentati il gruppo terrorista locale National Thowheeth Jama’ath. Attualmente non è però chiaro se vi siano o meno dei legami tra il gruppo terroristico locale e l’Isis. Se fosse confermato il coinvolgimento dello Stato Islamico, sarebbe il più grave attentato mai diretto o ispirato dal gruppo.
National Thowheeth Jama’ath
Questo gruppo terrorista locale, prima degli attentati, era noto soltanto per aver vandalizzato alcune statue buddiste. Non è chiaro dunque come un’organizzazione semisconosciuta sia riuscita a organizzare un simile atto terroristico.
Le autorità srilankesi stavano monitorando alcune persone sospettate di essere affiliate al gruppo, compreso Mohammed Zaharan, leader del National Thowheeth Jama’ath. L’uomo si spostava tra India e Sri Lanka ed era considerato un religioso di poco successo con idee estremiste e dedito a istigare violenza contro le persone non musulmane. L’intelligence indiana osservava Zaharan dal 2018, dopo aver scoperto una cellula jihadista nell’India meridionale. Stando al New York Times, i servizi segreti indiani si erano accorti di un’allarmante espansione nelle ambizioni del National Thowheeth Jama’ath, e perciò nelle scorse settimane avevano fornito nomi e indirizzi all’intelligence srilankese.
Arresti e indagini
Fino ad ora sono stati effettuati circa sessanta arresti, alcuni compiuti subito dopo le esplosioni. Le indagini si stanno concentrando sui possibili legami tra il National Thowheeth Jama’ath e l’Isis, e sono aiutate da alcuni agenti dell’FBI. Il vice ministro della Difesa dello Sri Lanka ha affermato che gli attentatori erano in tutto nove, tra cui una donna. Otto sono stati identificati, e martedì 23 aprile è stato diffuso un video che mostra un sospettato entrare nella chiesa di San Sebastiano a Negombo.
Il ruolo dell’intelligence
Una delle questioni aperte riguarda quanto il governo srilankese sapesse prima degli attentati. Nei giorni scorsi sono state raccolte prove che testimoniano un importante fallimento dei servizi segreti, che erano a conoscenza di un concreto rischio di un attentato ma che non sono riusciti a evitarlo. Il presidente srilankese Maithripala Sirisena ha ammesso una «mancanza» nel sistema di intelligence dopo che il paese era stato avvertito dall’India del rischio che il National Thowheeth Jama’ath stesse organizzando attentati nelle chiese. Secondo il New York Times, questo fallimento nella catena di comando è da imputare, almeno in parte, a una faida politica in corso tra il presidente srilankese e il primo ministro Wickremesinghe, che lo scorso anno portò a una crisi che ebbe come conseguenza l’esclusione di quest’ultimo dall’accesso alle informazioni segrete più importanti.