Nel 1992, anno in cui il peso argentino divenne la moneta ufficiale del Paese dopo l’Austral, con 100 pesos si potevano acquistare 300 chili di roast beef, 200 litri di latte e 100 bottiglie di birra. Oggi, invece, con 100 pesos si comprano poco più di 120 grammi di roast beef, un litro di latte e una lattina di birra. L’Argentina ha chiuso il 2023 con l’inflazione più alta del mondo e ora, il neo eletto presidente Javier Milei sta tentando la strada della dollarizzazione. Ma di cosa si tratta?
Un passo indietro nella storia
La storia economica dell’Argentina è da sempre caratterizzata dai problemi propri dei Paesi sudamericani. Negli anni ‘90, l’instabilità politica e un attacco speculativo contro il Messico scatenarono la cosiddetta “crisi tequila”. Gli operatori finanziari cominciarono a liberarsi dei depositi detenuti in pesos e ad acquistare dollari. La Banca Centrale Argentina riuscì a soddisfare la richiesta di denaro americano, prosciugando però le sue riserve. E così, l’economia sprofondò in una fase di recessione caratterizzata da un alto debito pubblico. Negli anni, i tentativi di correggere questa tendenza si sono rivelati quasi del tutto inutili. Il debito pubblico ha continuato a crescere, insieme a inflazione, povertà, disoccupazione e recessione.
Un occhio al presente
Famoso per le sue idee liberiste e di ultra destra, il neo eletto presidente argentino è tornato a far parlar di sé. Come aveva promesso durante la campagna elettorale, Milei vuole “dollarizzare” l’economia. Ma cosa significa?
Con dollarizzazione si intende la sostituzione della valuta locale in circolazione con la moneta americana. Facendo ciò, uno stato abbandona la possibilità di avere una politica monetaria indipendente e di stampare più moneta. D’altro canto, la principale attrazione della dollarizzazione è l’eliminazione del rischio di svalutazione del tasso di cambio del Paese. E ciò comporta la riduzione del costo dell’indebitamento internazionale e l’aumento della fiducia degli investitori esteri, stimolando la crescita.
Argentina, Milei conferma “dollarizzazione” economia. E pensa alle isole Malvinas https://t.co/LCgmleOaSv pic.twitter.com/bY7iQQ5qmh
— IlSole24ORE (@sole24ore) January 28, 2024
La sfida argentina ed esempi dal mondo
La dollarizzazione è una soluzione che altri undici Paesi nel mondo hanno già adottato, tra cui Ecuador e Salvador. L’esperienza è generalmente positiva, per esempio in Ecuador la sostituzione della moneta locale ha aiutato a stabilizzare le condizioni finanziarie e a mantenere l’inflazione sotto al 3%. Oppure, in Zimbabwe l’adozione della moneta americana aveva risolto il problema dell’iperinflazione che, dopo aver ripristinato la moneta locale nel 2019, è tornata ad avere livelli stratosferici.
L’Argentina, però, è un caso particolare. Terza economia dell’America Latina, nessun Paese di tali proporzioni aveva ipotizzato il passaggio al dollaro. La dollarizzazione, infatti, rappresenta un’enorme sfida finanziaria e per essere attuata necessita di grosse riserve di denaro. Questo perché è necessario che lo stato acquisti tutta la valuta locale in circolazione e che mantenga un cuscinetto per poter gestire il conseguente aumento di prelievi. Al momento, secondo le stime, nel Paese biancoceleste ci sarebbero circa 50 miliardi di dollari in meno di quelli necessari per attuare il piano. Inoltre, anche se lo stato potrebbe provare a raccogliere denaro riducendo il tasso di cambio, il passaggio al dollaro potrebbe essere annullato dalla corsa ai prelievi, aumentando ulteriormente l’inflazione.
Per questo motivo, Milei ha annunciato che per risanare i conti pubblici e acquistare dollari punterà sulla privatizzazione: «Privatizzeremo tutto ciò che può essere privatizzato. Non si tratta di una questione di nomi, ma di questioni tecniche».