«Gli alberi gridano quando vengono uccisi, ma gli uomini non possono udire i loro gemiti. Io ascolto la foresta che si lamenta…».
E’ con straordinaria poesia che Hayao Miyazaki, fumettista e produttore giapponese, nel 1997 porta nelle sale cinematografiche il film d’animazione La Principessa Mononoke.
Storia drammatica che racconta il rapporto conflittuale tra l’Uomo e la Natura, quest’ultima incarnata in tutta la sua bellezza nella foresta “sacra”. Tra mito e realtà essa è minacciata dall’avanzare del progresso e dalla smania degli uomini, vicini all’Imperatore, di piegarne lo «spirito» ai propri interessi.
La salute del nostro pianeta passa anche per l’Amazzonia
Del cambiamento climatico si è parlato certo, ma non è ancora abbastanza. Secondo gli scienziati che studiano da oltre vent’anni il riscaldamento globale, lo stato in cui versa oggi il nostro pianeta è nettamente peggiorato, mentre resta fragilissima la consapevolezza dell’opinione pubblica.
Mentre la terra, con le sue preziose risorse, non può resistere a lungo, grazie all’ostinazione di migliaia di giovani, il movimento dei Friday’s for Future è riuscito negli ultimi mesi a ritagliare uno spazio di discussione e rivendicazione politica e sociale di fronte a una comunità internazionale spesso sorda o insensibile ai problemi ambientali.
Tra speranza e impegno, una parte delle giovani generazioni insiste sull’importanza di agire (e di farlo in fretta) contro il cambiamento climatico. Un’impresa questa tutt’altro che facile. Il clima infatti muta più rapidamente di quanto la stessa comunità internazionale aveva predetto nel 1990.
Alle azioni dei singoli per tentare di contenere l’impatto ambientale, si devono aggiungere le politiche degli Stati spesso però guidati da uomini che sono i primi ad avere scarsa consapevolezza di quanto sta accadendo al nostro clima.
Sono sufficienti le dichiarazioni e le azioni del presidente Jair Bolsonaro, a cui da meno di un anno è stata affidata la guida di un Paese complesso e fragile come il Brasile, per rendersene conto.
La salvaguardia dell’ambiente e la lotta al cambiamento climatico passa per la buona politica e il coraggio di ripensare pezzo dopo pezzo l’economia di un Paese. A guardare lo sguardo vacuo del presidente brasiliano si affievolisce ogni speranza che l’Amazzonia possa essere tutelata dagli interessi di pochi.
Le parole di Bolsonaro, disinteressate e menefreghiste, trasmettono a chi le ascolta un senso di impotenza. Ed è forse così che si è sentito il giornalista della Bbc, quando alla domanda su cosa intenda fare rispetto alla deforestazione e allo sfruttamento dell’Amazzonia, temi questi che non possono essere più trattati solo come problemi interni, il presidente ha suggerito di mangiare meno, così da produrre meno escrementi.
Perché Bolsonaro punta all’Amazzonia?
Ex militare, Bolsonaro sta mantenendo fede alla promessa elettorale di favorire i proprietari terrieri e i grandi allevatori. La scrittrice e traduttrice brasiliana, Julia Blunck, che collabora con diverse testate britanniche, racconta come l’Amazzonia occupi da sempre un «posto strano nella mente dei brasiliani».
Questo popolo è orgoglioso della foresta pluviale, talmente vasta e ricca di biodiversità, che ancora oggi ne restano parti inesplorate. Blunck spiega che in un Paese dove non tutti hanno accesso ai servizi igienici e sanitari basilari, la questione ambientale è spesso relegata ai margini, per fare posto a temi più urgenti. Violenza, corruzione e salute sono le principali preoccupazioni dei brasiliani. L’ambiente occupa solo il quarto posto. Sebbene gran parte della foresta amazzonica si estenda dentro i confini del Brasile, per molti brasiliani essa resta un’«astrazione». Ma come può esserlo davvero?
Secondo Blunck il popolo non ha votato a favore della deforestazione dell’Amazzonia. Pochi, se non le lobby agricole, sono d’accordo con la distruzione della foresta. Ma sono proprio le élite a fare la differenza in Parlamento: la cosiddetta bancada ruralista, che rappresenta i monopoli agricoli, è attualmente uno dei gruppi politici più forti.
Vedono nella tutela dell’ambiente e degli indigeni, quest’ultimi minacciati dalla deforestazione dell’Amazzonia, un cappio al collo. Ostacoli allo sviluppo del Brasile e ai loro affari, naturalmente. La foresta pluviale agli occhi dell’industria agricola è solo una terra incolta, che deve essere sfruttata per pascoli e piantagioni.
Primo produttore di soia al mondo, il Brasile è anche un grande esportatore di carne bovina. Ogni anno ne viene venduta all’estero circa 1,6 milioni di tonnellate. Con profitti molto alti: oltre 6 miliardi di dollari. E già gran parte dei terreni coltivati a soia o degli allevamenti si concentrano in Amazzonia.
I grandi alberi vengono abbattuti, mentre alla vegetazione si dà fuoco. Così il suolo si impoverisce, accelerando la desertificazione e accorciando il tempo di vita dei terreni. Ma sempre Blunck ricorda che le responsabilità di questo disastro sono da addebitare anche alla sinistra e al predecessore di Bolsonaro, Luiz Inácio Lula da Silva.
Sebbene quasi mai le politiche siano state rispettose dell’Amazzonia, ora con Bolsonaro la situazione rischia di aggravarsi. La deforestazione che era già aumentata durante la campagna elettorale del 2018, con una impennata del 13,7% rispetto all’anno precedente, a gennaio 2019 ha registrato un pauroso incremento.
I parchi nazionali, le aree protette e la moratoria sulla coltivazione della soia nelle aree disboscate sono paletti che impediscono al Paese di avanzare. Questa è la convinzione di Bolsonaro. Non solo, il presidente ha persino tentato di eliminare il ministero dell’ambiente. Per evitare eccessivo clamore, lo ha trasformato in un dicastero fantoccio, privandolo di ogni potere. La prossima mossa di Bolsonaro prevede l’abolizione delle leggi contro i reati ambientali.
Anche il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, si è distinto in questi tre anni di governo per alcune dichiarazioni clamorose sul cambiamento climatico, mentre il Paese veniva colpito da quattro devastanti uragani o il gelo stringeva nella morsa più aree degli Stati Uniti fino alla paralisi.
Di fronte a tali eventi climatici estremi, il Tycoon si è limitato a osservare che il riscaldamento globale non era altro che una bufala degli scienziati e delle sinistre per frenare l’economia americana. Ed è la stessa logica che oggi muove Bolsonaro, che secondo molti è il Trump brasiliano.
In pericolo non c’è solo uno dei luoghi più importanti per il delicato equilibrio dell’ecosistema terrestre, ma anche l’azione – già sull’orlo del fallimento, nonostante gli accordi di Parigi – per contenere il riscaldamento globale.
Il rapporto dell’Ipcc sullo sfruttamento del suolo: allarme Amazzonia
Milioni di chilometri quadrati di verde, l’Amazzonia produce oltre il 20% dell’ossigeno al mondo, ed è anche grazie ad essa che le emissioni di gas serra vengono in parte contenute.
Gli scienziati dell’Ipcc hanno avvertito sulla minaccia rappresentata dalla deforestazione e dallo sfruttamento intensivo del suolo. E lo hanno fatto nell’ultimo report che, come tanti altri, tentano di spiegare e divulgare i cambiamenti in atto generati dalle attività umane e le conseguenze sugli ecosistemi e sul clima.
Per gli scienziati la temperatura media del suolo è aumentata a una velocità superiore a quella globale (misurata considerando sia la temperatura terrestre sia quella marina). L’impoverimento dei suoli – dicono gli scienziati – presto aggraverà e intensificherà le crisi alimentari che colpiscono già da anni le popolazioni più povere del mondo.
Per questo quanto sta succedendo in Amazzonia, quanto ancora non abbiamo visto o sappiamo, e quello che potrebbe succedere nei prossimi anni, non può non preoccupare.
La pericolosa banalità di Bolsonaro è la cifra di quanto ancora troppo spesso sia la politica a dimostrarsi inadeguata a fornire le risposte e le azioni di cui non solo il Brasile, ma tutto il mondo avrebbe invece bisogno.
@ChiaraColangel7 on Twitter