Usa, si infiamma l’inflazione ma i mercati non si allarmano

Negli Stati Uniti si è accesa la fiammata da tempo attesa dagli analisti. L’inflazione si attesta oggi al 7%, massimo valore raggiunto negli ultimi 40 anni, seguendo una dinamica che rimane avvolta da una scomoda incertezza. Una percentuale che spiega l’avvio del tapering previsto dal presidente della Federal Reserve Jerome Powell quando, in occasione dell’inaugurazione del suo secondo mandato, ha annunciato il disimpegno dagli stimoli monetari eccezionali e l’utilizzo di tutti gli strumenti necessari, in primis il rialzo dei tassi e probabilmente anche il ridimensionamento del bilancio, per fronteggiare questa situazione.

Le parole moderate pronunciate dal numero uno della Banca Centrale al Congresso dimostrano la volontà di rassicurare gli investitori e di non sconvolgere gli equilibri del mercato ma il rischio è che un ulteriore aumento dell’indice dei prezzi al consumo conduca a una politica ancora più aggressiva da parte della Federal Reserve.

Sul possibile aumento dei tassi a marzo un’altra voce si aggiunge al coro: è quella del presidente della Fed di Philadelphia Patrick Harker, che sosterrebbe tre aumenti dei tassi di interesse nel mese di marzo e sarebbe aperto ad altri interventi qualora questi fossero resi necessari dal peggioramento dell’inflazione. «Prevedo che completeremo il tapering degli acquisti di asset entro marzo. Poi possiamo probabilmente aspettarci un aumento dei tassi di 25 punti base, potremmo benissimo continuare ad aumentare i tassi per tutto l’anno, man mano che i dati evolvono», ha dichiarato al Philadelphia Business Journal.

jerome powell
Jerome Powell, presidente della Federal Reserve
La reazione dei mercati

Mentre si alleggeriscono i portafogli e i salari non reggono il passo, i mercati finanziari hanno accolgono favorevolmente la catena di rialzi e la stretta monetaria del governatore. Wall Street ha interrotto la serie di ribassi che si protraevano da cinque giorni e ieri ha chiuso in verde, procedendo anche oggi verso una progressione con il Dow Jones che sale dello 0,08% e il Nasdaq che aggiunge lo 0,26%. Anche le Borse europee non si mostrano particolarmente allarmate dal tema inflattivo e si muovono in terreno positivo. Londra in rialzo dello 0,81%, Francoforte dello 0,43%, Parigi guadagna lo 0,75% mentre Milano sale di 0,65%.

La reazione positiva degli investitori allo spropositato aumento del carovita a stelle e strisce potrebbe suscitare stupore ma le motivazioni sono chiare. È piaciuta alla finanza yankee la posizione di Powell che, aspettandosi una riduzione della pressione inflazionistica, ha creato fiducia nei trader. È poi da considerare che l’aumento era previsto dagli analisti, pertanto il mancato effetto sorpresa ha evitato di creare tensioni nelle borse. Il dato attuale potrebbe, inoltre, essere molto vicino al picco ed essere destinato a diminuire gradualmente nei prossimi mesi intraprendendo un percorso di normalizzazione dei prezzi. «Il primo trimestre dovrebbe vedere il picco dell’inflazione, con prezzi energetici più bassi e un calo dell’inflazione alimentare e automobilistica, consentendo un aumento più lento dei prezzi per il resto dell’anno», afferma David Kelly, chief global strategist di Jp Morgan Asset Management.

L’effetto Omicron

Sino ad ora non ha avuto effetti particolarmente negativi neanche il dilagare della variante Omicron. Gli investitori hanno infatti considerato il fatto che, nonostante questa sia molto più contagiosa e il vaccino non riesca a contenerla a pieno, i suoi effetti sono comunque più lievi e questo potrebbe essere l’ultimo stadio del ciclo di pandemia. L’apprensione degli investitori è invece dovuta più che altro alla prospettiva di ridimensionamento del bilancio Fed che ammonta attualmente a 8.800 miliardi. Ed è questa l’eventualità più temuta dalle piazze americane le cui quotazioni poggiano proprio su questa ingente quantità di denaro.

 

Articolo di Claudia Franchini

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