Università pubbliche, troppi costi e poche borse di studio

L’istruzione è importante, ma quanto ci costa. Non stiamo parlando di università private, ma di atenei pubblici, dove l’Italia – rivela il rapporto Eurydice 2018 – si aggiudica un posto nel gruppo delle nazioni europee più costose. A precederci solo Oxford e Cambridge, i celebri e prestigiosi centri universitari della Gran Bretagna, che costano 9 mila sterline l’anno, circa 10 mila euro.

Nel Belpaese studiare pesa al portafoglio mediamente 1.345 euro l’anno per gli studenti che frequentano un corso triennale, mentre per gli studi magistrali si raggiungono i 1.520 euro. E per chi non se lo può permettere? La risposta con i dati alla mano sembra ovvia: niente istruzione. In Italia, infatti, il Fondo integrativo statale, disposto dallo Stato per le borse di studio, è a dir poco esiguo. Nel 2018 i soldi stanziati sono 234.2 milioni, cifre non sufficienti anche se superano quelle disposte per il 2017.

Solo un universitario su dieci (l’11,6%) – continua la Commissione europea – percepisce aiuti pubblici, nonostante gli aventi diritto siano più numerosi. Sono i cosiddetti «idonei non beneficiari», coloro che non percepiscono una borsa di studio nonostante presentino un reddito familiare basso, e che quest’anno arrivano a oltre 7.000. Ma non lamentiamoci, questa categoria (esistente solo nella nostra nazione) cinque anni fa contava più di 38 mila ragazzi.

Tra le regioni più a rischio copertura ci sono Calabria, Campania e Sicilia, rispettivamente con 2.599, 1.629 e 2.832 studenti esclusi dagli ausili, mentre i più borsisti sono Lombardia (21.500) ed Emilia Romagna (20.202). Quest’ultima è andata incontro agli atenei, garantendo un contributo straordinario per assicurare la copertura del 100% degli idonei del 2018, primo anno nel quale la stessa regione aveva anticipato di non riuscire a coprire tutti gli aventi diritto, scatenando così le proteste delle associazioni studentesche.

Il divario tra tasse pagate al Nord e quelle pagate al Sud non è da poco, gli universitari settentrionali pagano fino a 1300 euro, mentre per i meridionali la media dei tributi scolastici non supera i 500 euro annui. Medicina a Pavia, odontoiatria a Bologna, scienze della formazione a Milano-Bicocca sono i corsi più costosi per le matricole italiane iscritte alle università statali, con rette che superano i 4mila euro nell’ateneo pavese e sono di poco inferiori (intorno a 3.900 euro) negli altri due poli.

Eppure l’Italia rimane fanalino di coda in Europa, facendosi superare da Francia, Spagna e Germania, dove i borsisti sono il 47%, il 68% e il 23% dei ragazzi. Il nostro Paese è ultimo anche in termini di laureati: su 100 italiani, difatti – rivelano gli ultimi dati pubblicati dall’Ocse -, solo 18 hanno una laurea, la metà della media dei Paesi industrializzati. A portare il buon esempio, ci pensano i Paesi scandinavi. In Finlandia l’università è gratuita per tutti i suoi 6 milioni di studenti, stessa cosa in Germania, di cui solo dieci Paesi fanno pagare agli iscritti dei contribuiti amministrativi, che però ammontano al massimo a 75 euro. Un sistema particolare e unico è quello della Grecia, che offre a tutti studi a costo zero per conseguire la laurea triennale, mentre per il proseguimento i costi si impennano a 7.500 euro l’anno.

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