Stipendi, occupazione: la mappa del mercato del lavoro nelle province italiane

Di preciso, quanto è verde l’erba del vicino? E quanto è gonfia la sua busta paga? Possiamo conoscere la geografia dettagliata degli stipendi e della situazione occupazionale nel Paese, con riferimento al 2016, grazie alla seconda edizione del rapporto Le dinamiche del mercato del lavoro nelle province italiane, stilata dall’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro, a partire da dati Istat.

“Proponiamo un esame dei principali indicatori relativi al mercato del lavoro – spiega Giuseppe De Blasio, autore dello studio – con l’obiettivo di stimolare i territori a intraprendere politiche occupazionali nuove e monitorare quelle già in atto. Spesso gli amministratori locali ci contattano per comprendere più a fondo questo tipo di studi e soprattutto per avere i report regionali, che sono ancora più dettagliati”.

Dalla ricerca condotta a livello nazionale, scopriamo che la provincia dove si guadagna di più è quella di Bolzano: 1476€ netti al mese, tra gli occupati dipendenti. Sul podio anche Varese (1.471€) e Monza-Brianza (1.456€). Nonostante gli stipendi siano generalmente più bassi nel Mezzogiorno (dove è inferiore anche il costo della vita), a fondo classifica c’è una provincia del Centro: Ascoli Piceno, con 925€ al mese, con molto distacco dalla penultima Ragusa (1070€) e dalla terzultima Ogliastra (1087€). Al Sud, la provincia più “ricca” è L’Aquila, al 55° posto su 110, con uno stipendio (1282€) comunque inferiore alla media nazionale di 1315€. Nella mappa interattiva qui di seguito, è possibile cliccare su ogni provincia per conoscere il relativo livello dello stipendio medio.

Retribuzione netta media mensile degli occupati
alle dipendenze (15-64 anni) per provincia – Anno 2016

 

Il tasso di occupazione – Bolzano è anche in cima alla classifica delle province per tasso di occupazione, col 72,7%, seguita da Bologna al 71,8%. In nessun’altra provincia lavorano più di 7 italiani su 10; la media italiana è del 57,2%, e nelle ultime nove della classifica (Palermo, Casera, Napoli, Crotone, Agrigento, Vibo Valentia, Catania e Trapani) sono occupati meno di 4 su 10. Vale la pena di ricordare tre cose: innanzitutto, secondo i parametri Istat, si considera occupato chi abbia lavorato almeno un’ora retribuita nella settimana di riferimento. In secondo luogo, il tasso di occupazione medio nelle province non è il tasso di occupazione nazionale (che è del 61,6%). Infine, il tasso di occupazione non è complementare al tasso di disoccupazione: alcune province potrebbero contare pochi occupati e pochi disoccupati, perché esiste anche la classe degli inattivi, che non hanno un lavoro e neppure ne cercano uno.

Percentuale di occupati (15-64 anni) per provincia – Anno 2016

 

Il gender gap – In molte famiglie italiane persiste il modello per cui sono le donne a occuparsi dei figli, nonostante alcuni segnali di cambiamento. Non dipende solo da un fattore culturale, ma anche da una valutazione strettamente economica: le donne, infatti, vengono pagate mediamente meno degli uomini, al punto che restare a casa ad accudire i bambini può risultare più conveniente che pagare baby sitter, ludoteche o asili. In questo senso, il divario tra i tassi di occupazione maschile e femminile – il cosiddetto gender gap – può suggerire qualcosa anche sulle differenze retributive di genere e sulla disponibilità, in ogni provincia, di servizi a basso prezzo per la cura dei bambini.

Ovunque in Italia, il tasso di occupazione maschile è superiore a quello femminile; a livello nazionale, la differenza tra i due è del 18,4%. Nella classifica complessiva, le province col mercato del lavoro più paritario sono Arezzo, Biella, Ogliastra, Vercelli, Trieste e Aosta, tutte sotto al 10%. A fondo classifica si trovano invece Barletta-Andria-Trani e Foggia, con differenze superiori al 30%.

Differenza tra il tasso d’occupazione maschile e femminile (15-64 anni)
per provincia – Anno 2016 (punti percentuali)

 

Giovani inattivi – Un’altra categoria notoriamente svantaggiata nel nostro mercato del lavoro sono i giovani. A fine 2016, il tasso di disoccupazione giovanile aveva superato il 40%, ma oltre ai disoccupati sono numerosissimi i Neet (not in employment, education or training), cioè gli inattivi. Nel 2016, erano un popolo di 2,2 milioni di persone (1,1 milioni di donne; 1 milione di uomini), in diminuzione del 5,7% rispetto al 2015. A livello provinciale, il tasso di Neet più elevato si registra nel Medio Campidano (46,2%) e quello più basso nella solita Bolzano (9,5%) – una differenza di oltre 36 punti percentuali. “Un tasso di Neet superiore al 40% – sottolinea il report dell’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro – si registra anche nelle province di Cosenza (41,5%), Palermo (41,3%) e Catania (40%). Valori elevati di questo indicatore si osservano anche a Napoli (37,6%) che occupa il 10 posto fra le province con il tasso di Neet più elevato. Valori inferiori al 13% si osservano nelle province di Bologna (11,7%), Treviso (11,9%), Vicenza (12%) e Biella (12,8%)”. Nelle tabelle di seguito, i dati aggregati per macro-aree e per genere.

La sintesi – “Dall’anno scorso – spiega De Blasio – abbiamo introdotto un indice sintetico di efficienza e innovazione nel mercato del lavoro. È calcolato combinando i cinque indicatori analitici principali: tasso di occupazione, tasso di giovani non-Neet, rapporto tra tassi di occupazione femminile e maschile, quota di occupati altamente qualificati, e quota di occupati non-precari. Ci conferma la bontà della sintesi il fatto che abbiamo rilevato una chiara correlazione positiva tra il nostro indice e la produttività (il valore aggiunto pro-capite per occupato) registrata negli stessi territori”.

In questa speciale classifica, è Bologna a primeggiare: rispetto al 2015, scalza dalla cima Milano, che arriva seconda, seguita dalle altre province lombarde di Lecco e Monza-Brianza, e poi da Trieste, Biella, Parma e Bolzano, solo ottava da questo punto di vista. Le peggiori performance, invece, sono quelle di Agrigento, Barletta-Andria-Trani, Crotone, Medio Campidano e Caltanissetta. Tra le 20 province con gli indici più bassi, nota lo studio, sono presenti tutte le province calabresi, la maggioranza delle siciliane, e due capoluoghi regionali: Napoli, al 97° posto, e Palermo al 100°.

Per tutte le visualizzazioni, fonte: Elaborazione Osservatorio statistico dei Consulenti del Lavoro su microdati ISTAT (Forze di lavoro)

 

Contatta l’autore: Daniele Zinni

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