File davanti a negozi e file davanti alle farmacie, treni riempiti da chi ritorna a casa e posti lasciati liberi da chi resta in quarantena. Aria di festa e feste annullate, luminarie accese e un occhio al rincaro delle bollette. È un Natale per certi versi meno prevedibile di quello che lo ha preceduto. Se, infatti, il 2020 fu l’annus horribilis della pandemia, il 2021 giunge al suo epilogo in un clima sociale ed economico segnato dall’incertezza.
Un 2021 che ha visto una vertiginosa ripresa dei consumi rispetto all’anno precedente, quando i lockdown avevano frenato drasticamente le spese e fatto crollare i prezzi. Nell’anno che sta per concludersi il graduale ritorno alla normalità ha prodotto invece l’effetto contrario. È tornata a crescere la domanda e la produzione ha subìto un brusco risveglio. Costi di materie prime e trasporti lievitano e vengono scaricati a valle sul consumatore che acquista il prodotto. Cresce il fabbisogno energetico per sostenere il ritmo produttivo e le bollette subiscono un rincaro intorno al 30% rispetto al 2020.
In questa cornice l’andamento dei consumi natalizi è un’importante chiave interpretativa dello stato di fiducia dei consumatori, in un momento spartiacque tra un biennio disastroso e un futuro incerto.
Quale rapporto lega l’economia alla psicologia dei consumi e, in un’ultima analisi, a un’idea di benessere collettivo? Per tentare di dare risposta a questa domanda abbiamo intervistato Mauro Ferraresi, sociologo dei consumi e Professore dell’Università Iulm.
Voglia di normalità
Confcommercio stima che le spese per consumi nel mese di dicembre si aggireranno intorno ai 110 miliardi, inclusi affitti, utenze, servizi: un valore inferiore di circa 10 miliardi rispetto a quanto speso nel 2019. Secondo il sociologo Mauro Ferraresi questo Natale beneficerà della maggiore libertà di spostamento delle persone rispetto allo scorso anno. «L ’azienda italiana si è rimessa a produrre, il Pil sta risalendo e la gente ha voglia di normalità. In termini di consumi prevedo uno scenario, non dico pre-pandemico, ma vicino a quei livelli.»
Ma le previsioni di Confcommercio delineano un quadro meno felice per quanto riguarda le spese dedicate ai regali, che passerebbero dai 164€ pro capite del 2020 ai 158€ di quest’anno, per un ammontare complessivo di 6,9 miliardi contro i 7,4 dell’anno passato. Una previsione giustificata da un aumento dell’1,9% dell’inflazione rispetto al 2020 (dato Istat di novembre) e dal rincaro di luce e gas, che costringono le famiglie a spendere di più per i consumi obbligati e a stringere la cinghia per il resto.
Tendenza al risparmio
Oltre 35 milioni di italiani stanno beneficiando della tredicesima, per un totale di circa 43,7 miliardi di euro: un’iniezione di denaro che per Confesercenti dovrebbe generare una spinta di 21 miliardi per gli acquisti nel periodo delle feste. Ma la percentuale di risparmio resta alta – 12,7% – a testimoniare una diffusa propensione alla prudenza. “In un momento di incertezza come questo, la propensione al risparmio c’è ed è un fatto sociologicamente prevedibile”, dice Ferraresi. «Gli storici definiscono quello che stiamo vivendo “periodizzazione”: la vecchia società sta morendo e la nuova non è ancora sorta. Navighiamo a vista. È vero che le famiglie sono propense al risparmio, ma questo avviene tutto l’anno e non solo nel periodo natalizio.»
Crisi e nuovi consumi
Anche nel contesto europeo la sensazione di trovarsi in un limbo di incertezza trova conferma nei dati. Con un nuovo calo a dicembre, l’indice che misura la fiducia dei consumatori nell’Eurozona è sceso a livelli “ben inferiori” rispetto a quelli del periodo precedente alla crisi del Covid-19.
Siamo al termine di un biennio di crisi che se da un lato ha prodotto un’enorme contrazione della spesa, dall’altra merita di essere osservato per il suo impatto sociologico sull’universo dei consumi. «Questi due anni hanno prodotto un’accelerazione nel cambiamento del paniere dei beni destinati al consumo. Alcuni prodotti hanno smesso di farne parte e altri ci stanno entrando per rimanervi a lungo. Ciò di cui si parlava prima della pandemia sembra davvero appartenere all’epoca dei dinosauri,»– sottolinea Mauro Ferraresi – «oggi il paniere sta cambiando e i consumi si stanno riarticolando seguendo due direttrici, che sono digitalizzazione e sostenibilità. L’accelerazione di queste due mega-tendenze negli ultimi due anni è stata, a tutti i livelli della società, impressionante.»
Felicità collettiva
E se le previsioni su andamento dei consumi e fiducia dei consumatori sono utili a comprendere lo stato di salute del mercato nel suo insieme, un discorso a parte va fatto se ci si vuole addentrare negli strati che compongono l’economia reale del Paese. Secondo i dati forniti dal rapporto del Censis, tra il 1990 e oggi l’Italia è l’unico Paese Ocse in cui i salari medi dei lavoratori sono diminuiti. Il tasso medio annuo di crescita reale dei consumi si è progressivamente ridotto, di decennio in decennio, passando dal +3,9% degli anni ’70 al -1,2% del secondo decennio del 2000. Il report parla di un boom della povertà nel 2020, con 2 milioni di famiglie italiane che vivono in povertà assoluta, segnando un clamoroso aumento del 104,8% rispetto al 2010. «Sì, la crisi ha aumentato in modo brutale la forbice tra chi ha e chi non ha» conferma Ferraresi.
«Esiste una felicità collettiva deducibile dall’andamento dei consumi, certo, ma non può essere interpretata come somma di felicità individuali. Lo schiacciasassi del capitale non ammette altro modo per cercare la felicità che attraverso i processi di consumo, che resteranno centrali anche nella società post-pandemica. La felicità così intesa è passeggera, per certi versi falsa e patologica, ed è assolutamente funzionale al capitale. Ma i valori che soggiacciono a un’idea di felicità collettiva sono differenti: sentirsi parte di un popolo, sentirsi ascoltati, avere un senso di “magnifiche sorti e progressive”, avrebbe detto Leopardi. Forse con l’eccezione della Cina e di pochi altri Stati che si sono affacciati da poco al banchetto del capitale, il mondo – e soprattutto l’occidente – ha smarrito questo senso. Per la prima volta i figli non pensano di avere un futuro migliore dei loro padri. La felicità collettiva come mito a cui tendere, a mio avviso, non è destinata a scomparire, ma ad oggi è sicuramente difficile da rintracciare.»