Dopo che il governo Draghi ha deciso di attuare la direttiva Bolkestein, i balneari sono pronti a scendere in piazza il 10 marzo a Roma per difendere quello che ritengono un diritto acquisito: la gestione delle spiagge italiane.
Tra annunci elettorali e politicizzazione della questione, dall’applicazione o cancellazione della direttiva dipenderà in concreto il futuro di migliaia di famiglie. A parlare in questo caso sono le storie, certamente parziali, che tuttavia da un estremo all’altro raccontano una situazione complessa e frastagliata.
The Italian Job
5.000 metri quadri di stupendi tendaggi color avorio, avvolgenti divani, e comodi lettini, per un fatturato di circa 4 milioni l’anno: è il Twiga di Marina di Pietrasanta, la spiaggia d’eccellenza gestista da Flavio Briatore. Un paradiso per le tasche di pochi, che tuttavia poco fa intascare allo Stato. Infatti, l’ex team manager di Renault, per la concessione dell’area demaniale, versa nelle casse pubbliche un canone annuo di 17.619 euro. In pratica, un intero mese d’affitto viene coperto noleggiando per una giornata e mezza il “Presidential gazebo”, l’esclusivo privé del lido toscano.
Un’ingiustizia tale, da muovere la coscienza dello stesso Briatore, secondo cui, un canone equo potrebbe essere calcolato intorno ai 100.000 euro all’anno. Ma più in generale, come affermava l’imprenditore nel 2019: «Gli affitti delle concessioni balneari andrebbero rivisti tutti. Almeno triplicati»!
Una storia di famiglia
Tra i 12.166 stabilimenti balneari in concessione però, si nascondono esperienze ben diverse da quella del Flavio nazionale, come testimonia Emanuele Schivo proprietario dei Bagni Bernardino di Alassio. Nonostante la laurea in legge, Emanuele assicura di non aver mai pensato di diventare avvocato. In fondo, la spiaggia è stata una scelta di vita, condivisa da tutta la famiglia.
«Mio padre vinse il bando nel 1978 per la concessione del lido che oggi gestisco con mia moglie e mio fratello. Insieme abbiamo costruito e rivoluzionato più volte lo stabilimento, contribuendo nel nostro piccolo, a scrivere un pezzo di storia del turismo balneare alassino», racconta. In particolare, «negli ultimi 10 anni, vissuti in balia delle scadenze ballerine, abbiamo speso, come concessionari alassini, quasi 4 milioni di euro solo per il mantenimento dell’arenile. Nonostante – sostiene l’imprenditore – non sia tra i costi a cui dovremmo partecipare».
Dunque, come sottolinea il gestore dei Bagni Bernardino, il dibattuto canone non è l’unica voce sul conto degli stabilimenti. «Prima di gridare allo scandalo bisogna dire che siamo l’unica impresa turistica a pagare l’Iva al 22%, mentre le altre strutture ricettive come alberghi e campeggi versano il 10%». Inoltre, secondo Emanuele, un curioso paradosso riguarda l’Imu, dovuta pur non essendo formalmente proprietari del bene immobile. Ciò premesso, continua, «non ci siamo mai opposti all’aumento dei canoni di concessione». Nemmeno dopo l’innalzamento del minimo a 2.500 euro, «è evidente – ammette – che in molti casi si tratti ancora di una tariffa ingiustamente bassa».
Un canone da ricalcolare
Negli ultimi anni sono intervenuti più volte anche i sindacati, proponendo allo Stato un adeguamento dei canoni in base alla superficie. Difatti, se da una parte c’è chi ne trae giovamento, dall’altra, come puntualizza l’imprenditore alassino, «esistono spiagge, specialmente in Liguria, con meno di 100 metri quadrati di arenile, in cui la decina di ombrelloni installati non garantisce di sostenere le varie spese».
Un mercato chiuso (?)
Il rischio adesso, dopo che il governo Draghi ha deciso di attuare la direttiva Bolkestein, è che non basterà pagare un canone più alto agli imprenditori balneari per mantenere gli stabilimenti. Infatti, chi propone una liberalizzazione del settore, sostiene che l’introduzione del “diritto di insistenza” nel 1992 (rinnovo automatico, ogni sei anni, per i vecchi concessionari), abbia limitato di fatto l’accesso a nuovi pretendenti, paralizzando il mercato. Stessa direzione seguita dalla direttiva europea che, in nome del diritto della concorrenza, promuove il blocco dei rinnovi e una messa al bando degli stabilimenti. Anche in questo caso, secondo il proprietario dei Bagni Bernardino, saremmo davanti a un falso mito. «Ogni anno, nella sola baia di Alassio, – spiega – ci sono due o tre stabilimenti che vanno in vendita. Il mercato non è chiuso. Come ogni attività turistica, allo stesso modo le spiagge sono soggette ad alterne fortune imprenditoriali».
L’interesse del consumatore
Altro cortocircuito rilevato da Emanuele è quello secondo cui la messa al bando degli stabilimenti garantirebbe un abbassamento dei prezzi di ombrelloni e lettini. «Dopo che nel 2019 il governo gialloverde aveva rinnovato le concessioni fino al 2034, molti imprenditori come me sono stati spinti ad investire in vista dei successivi 15 anni, ricalcolando il tariffario sul lungo periodo. Adesso – argomenta – se qualcuno dovesse subentrare al posto nostro avrebbe consistenti voci di spesa da cui rientrare in breve tempo: dall’indennizzo che supponiamo ci sia dovuto, ai nuovi piani di riammodernamento necessari per vincere il bando. Per quale motivo dovrebbe poi abbassare i prezzi di accesso alle spiagge»?
In aggiunta, secondo il balneare, «in seguito alla dovuta mappatura delle coste italiane, risulterà un numero sufficiente di spiagge libere da mettere al bando per soddisfare la direttiva Bolkestein». In sostanza, questo sarebbe un ulteriore danno al consumatore, che vedrebbe diminuita la possibilità di accedere liberamente in spiaggia.
Uniti contro la Bolkestein
«Per questo – conclude Emanuele – scenderemo in piazza il 10 marzo. Perché riteniamo ingiusta l’introduzione di una legge che condizionerebbe il futuro di migliaia di famiglie italiane che vivono di quello… qua non siamo mica tutti Briatore! Ma anche per difendere il diritto delle persone di vivere le spiagge come preferiscono: in pieno confort sdraiati su un lettino, oppure all’avventura per godere della ricchezza incontaminata della natura».