L’ascesa del cashback

Da MasterX – Marzo 2019 – N° 1 – Anno 16

Anche in Italia utilizziamo sempre meno denaro contante. E la tecnologia continua a spingerci a farlo. Sono sempre più numerose le app, i siti e le piattaforme che prospettano agli utenti facili guadagni sui loro stessi acquisti, in alcuni casi anche tramite il coinvolgimento di terze persone. Ma è tutto così facile? E quanto si può realmente incassare?

Cashback

Il cashback (letteralmente “soldi indietro”) è un sistema utilizzato dalle piattaforme digitali grazie al quale gli utenti registrati possono guadagnare in base agli acquisti effettuati presso i negozi convenzionati. La dinamica è tipicamente molto lineare e si innesca nel momento in cui l’utente, deciso ad acquistare un determinato bene, si reca in un negozio (fisico o online) convenzionato per godere dei benefici economici previsti. In un primo momento, tramite apposita card, questi pagherà la merce a prezzo pieno. Successivamente riceverà però un bonifico o un accredito pari a una parte della commissione corrisposta dal negozio alla piattaforma di cashback per avere incentivato il cliente a effettuare l’acquisto. Con questo sistema il consumatore potrà quindi effettivamente pagare il prodotto meno di quanto avrebbe fatto altrimenti. Si tratta insomma di una sorta di sconto, ma “riformulato” in veste di entrata successiva all’acquisto. Di fatto, dunque, il meccanismo del cashback non permette di guadagnare, bensì di risparmiare. Per questo può senza dubbio rappresentare un’opzione allettante per chi è solito recarsi abitualmente nei negozi convenzionati. Diversamente, rischia di “ingabbiare” il consumatore nel network delle aziende partner facendogli perdere di vista eventuali offerte più vantaggiose presenti sul mercato. Tuttavia, essendo a quest’ultimo garantita piena libertà di acquisto, il cashback così descritto è assolutamente legale.

In Italia gli utenti che utilizzano piattaforme di cashback sono mezzo milione. Una cifra considerevole, ma che nulla ha a che spartire con i numeri registrati in Usa, Francia, Spagna e Gran Bretagna. Basti pensare che Quidco, la principale app d’oltremanica, può da sola annoverare oltre cinque milioni di utenti. In Italia, invece, i brand più conosciuti sono Bestshopping e Beruby, ma anche Satispay ha attivato un programma dedicato. Il tutto mentre il colosso Amazon attende alla finestra. L’ascesa più vertiginosa degli ultimi mesi riguarda però una piattaforma che, pur basandosi su un sistema di cashback, preferisce definirsi di “social commerce”: SixthContinent.

Social commerce

Nata da un’idea del livornese Fabrizio Politi, ex paparazzato fondatore dell’ormai defunta Fashion Yachts, nel solo 2018 SixthContinent ha visto aumentare il proprio valore aziendale del 700%: da 7 a 49 milioni di euro. È la diretta conseguenza della crescita del numero degli utenti della community – passati dai 132mila del 2017 agli oltre 480mila del 2018 – e del parallelo incremento della loro spesa media pro capite, che è arrivata a superare i 450 euro annui.
Cosa differenzia SixthContinent dalle altre società di cashback? Il fatto che le shopping card siano acquistabili non solo previo pagamento in denaro, ma anche accumulando un certo numero di punti e crediti virtuali; questi si ottengono non solo acquistando i prodotti tramite la piattaforma, ma anche recensendoli, effettuando regolarmente il login e invitando altri amici a iscriversi. In più, ogni giorno viene redistribuita a beneficio di ciascun utente una cifra compresa tra i 30 e i 40 centesimi di euro derivanti dagli acquisti degli iscritti di tutto il mondo (profit sharing). La quantità di denaro a disposizione, dunque, non dipende più solamente dalla gestione del singolo. Per questo è stata coniata la definizione di social commerce.
A differenza di quanto accade in altri contesti, il sistema permette quindi all’utente di maturare una rendita passiva. La quale, premi derivanti dagli amici invitati esclusi, ammonta all’incirca a 11-12 euro al mese. Un bonus che le altre piattaforme non riescono a offrire. Tutto, a questo punto, lascerebbe pensare che su SixthContinent si possa guadagnare. Eppure non è così. All’inizio di ogni mese, infatti, la piattaforma obbliga gli iscritti che volessero continuare a usufruire dei suoi servizi ad acquistare una shopping card che, nel più economico dei casi, costa 20 euro. Una cifra più elevata della rendita passiva mensile di base, e che va corrisposta almeno per il 50% con denaro proprio. In più, se un utente trascorre un qualsiasi mese senza effettuare alcuna transazione, tutti i crediti accumulati in precedenza gli verranno azzerati. Di fatto, su SixthContinent è quindi impossibile che un consumatore medio incassi più di quanto spenda. E la forbice si allarga al crescere degli acquisti fatti, sebbene salga parallelamente anche il numero dei rimborsi ricevuti.
Tutto questo – si badi bene – a meno che il singolo utente non sia così abile da iscrivere alla piattaforma un numero di amici tanto elevato da ricavare da questi entrate superiori alle spese. Un’eventualità improbabile ma non impossibile, non essendo previsto alcun limite numerico agli affiliati da cui è possibile trarre guadagno. Ecco perché è lecito domandarsi se il meccanismo possa tradursi in un sistema piramidale, ossia una degenerazione del network marketing (o multi-level marketing) in cui, a differenza di quest’ultima fattispecie, il grosso dei guadagni deriva dal giro d’affari generato dai soggetti reclutati anziché da quello personale.

Trattandosi di modelli di business non sostenibili, in quanto alla lunga per i nuovi arrivati non sarà più possibile arruolare nuovi iscritti, non vi è nazione che non abbia promulgato norme contro di essi. In Italia è ad esempio in vigore la legge 173/2005, che effettivamente qualche dubbio in merito a SixthContinent lo solleva. Il primo comma dell’articolo 5, in linea con quanto già descritto, recita infatti:

«Sono vietate la promozione e la realizzazione di attività e di strutture di vendita nelle quali l’incentivo economico primario dei componenti la struttura si fonda sul mero reclutamento di nuovi soggetti piuttosto che sulla loro capacità di vendere o promuovere la vendita di beni o servizi».

Non solo: SixthContinent era finita nel mirino dell’Antitrust (Agcm) già nell’autunno 2014, quando venne inclusa nel novero dei «programmi di investimento aventi struttura sostanzialmente piramidale». Interpellata da MasterX in relazione a tali perplessità, l’azienda si è trincerata dietro il silenzio.
A tenere le bocche cucite è però anche l’Antitrust stesso. Negli ultimi mesi l’istituto ha infatti ricevuto diverse segnalazioni riguardanti i meccanismi di funzionamento della piattaforma. Le verifiche del caso sono dunque in corso, per cui l’argomento è ad oggi coperto dal massimo riserbo.
Ma non è solo SixthContinent a distribuire premi legati alle attività degli amici. Un altro brand che fa ricorso a questa tecnica è, ad esempio, CashbackDeals. Ciò su cui, invece, l’Antitrust si è ampiamente espresso di recente è la legalità di un altro portale che fa affari col cashback: Lyoness.

Sistemi piramidali

«L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha accertato che il sistema di promozione utilizzato dalla società Lyoness Italia S.r.l. per diffondere fra i consumatori una formula di acquisto di beni con cashback è scorretto in quanto integra un sistema dalle caratteristiche piramidali. Pertanto, l’Autorità ha concluso il procedimento comminando una sanzione complessiva di euro 3.200.000».

Così recita un comunicato diffuso dall’Agcm lo scorso 14 gennaio. Un conto salatissimo, ma motivato dalle numerose violazioni della legge di cui si è resa colpevole anche nel nostro Paese la società fondata nel 2003 dall’austriaco Hubert Freidl.
Lyoness, che si definisce «la più grande shopping community del mondo», conta in totale circa 8 milioni di iscritti, 800 mila dei quali in Italia. Numeri derivanti anche dallo spregiudicato approccio con cui l’azienda si presenta ai potenziali interessati. Attraverso una spassionata riflessione sulla monotonia del lavoro quotidiano e sul rischio di invecchiare senza dedicare abbastanza tempo alla famiglia, all’ignaro utente viene prospettata la possibilità di «raggiungere l’indipendenza economica» e «migliorare la propria situazione a lungo termine». Questo, tramite una «valida alternativa» che permetta «non solo di recuperare una parte delle spese, ma anche di guadagnare denaro grazie a questa idea». È il chiaro emblema del duplice funzionamento di una piattaforma finita nel mirino delle autorità anche in Germania, Francia, Austria, Grecia, Norvegia, Svezia, Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia, Svizzera e Australia. Da una parte vi è infatti l’iperpubblicizzato Cashback World, mero sistema di cashback basato sull’utilizzo di un’unica shopping card per tutti i negozi convenzionati, dall’altra il più misterioso Lyconet (LYconet COmmunity NETwork), rete commerciale di natura chiaramente piramidale che permette di ricevere commissioni sugli acquisti effettuati non solo dagli amici invitati, ma anche dagli amici degli amici, illimitatamente a cascata. In questo caso, dunque, la possibilità che «l’incentivo economico primario dei componenti la struttura» derivi dalle commissioni passivamente incassate non risulta più un privilegio riservato a pochi, valenti pubblicizzatori (il che sarebbe comunque ugualmente illegale), ma l’idilliaco scenario che viene prospettato a ogni nuovo iscritto. In particolare, sottolinea ancora l’Antitrust, «la possibilità di ottenere uno sconto differito sugli acquisti sotto forma di cashback costituisce in realtà un aspetto secondario del volume economico generato dal sistema Lyoness (pari a circa 1/6 dei ricavi complessivi)».
Non tutti i membri di Cashback World fanno però parte di Lyconet. Il motivo, già al centro di un servizio di Striscia la Notizia dell’aprile 2017, è stato certificato sempre dall’Agcm: per accedere al «primo livello commissionale», diventando così Premium Marketer, gli utenti sono tenuti a pagare una fee d’ingresso «pari a 2.400,00 euro». Il che aggrava ulteriormente la posizione dell’azienda, caratterizzandola come una forma ancor più specifica di sistema piramidale: lo schema Ponzi (moderna versione della vecchia “catena di Sant’Antonio”), fondato proprio sulla corresponsione di denaro a tutti gli strati più elevati della gerarchia. Lyoness finisce così col violare anche il secondo comma del già citato articolo 5 della legge 173/2005. Quello in base al quale «è vietata, altresì, la promozione o l’organizzazione di tutte quelle operazioni, quali giochi, piani di sviluppo, “catene di Sant’Antonio”, che configurano la possibilità di guadagno attraverso il puro e semplice reclutamento di altre persone e in cui il diritto a reclutare si trasferisce all’infinito previo il pagamento di un corrispettivo».
Non bastasse, sono state anche riscontrate «modalità ingannevoli con le quali sono prospettate le caratteristiche, i termini e le condizioni del sistema di promozione Lyoness».
Occhi aperti, dunque, perché in epoca digitale incappare in offerte poco chiare è più che mai frequente. Unico modo per difendersi, essere al corrente dei meccanismi sottostanti ogni potenziale truffa. E in caso di perplessità il suggerimento è uno soltanto, sempre lo stesso: rivolgersi a un esperto del settore.

 

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