Il segreto per vivere più a lungo? Studiare!

di Giorgia Argiolas

“L’istruzione è l’arma più potente che si possa utilizzare per cambiare il mondo”, diceva Nelson Mandela. E, pare, anche per sopravvivere. Secondo gli ultimi dati Istat sulle diseguaglianze nella speranza di vita, infatti, il livello d’istruzione risulta determinante per “campare”. Insomma, chi studia vive più a lungo. E, anche se questa notizia farà arrabbiare tanti adolescenti alle prese con i libri, i dati parlano chiaro.


Oltre cinque anni di vita (5,2) in più per i maschi, quasi tre (2,7) per le femmine (alla nascita). Questo è il valore, in termini di speranza di vita, della laurea rispetto alla licenza elementare o all’assenza di titolo di studio. L’analisi dell’Istat – la prima del genere mai redatta in Italia – rileva che la differenza si assottiglia, ma comunque rimane, in età avanzata (65 anni) con un vantaggio per uomini e donne laureati, rispettivamente di 2,2 e 1,3 anni di vita.


“È noto che chi ha una condizione di svantaggio ha meno possibilità, quindi una minore speranza di vita – ha spiegato Gabriella Sebastiani, autrice della ricerca Istat – così come peggiori condizioni di salute, maggiori fattori di rischio e stili di vita più insalubri”. Parole confermate dal dott. Alberto Tedeschi, del Reparto di Medicina Interna dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano: “Per la mia esperienza a stretto contatto con gli anziani, è vero che chi ha un più alto livello d’istruzione e anche maggiori possibilità economiche – spesso possedere una laurea vuol dire anche poter svolgere una professione meglio remunerata – ha accesso poi a cure sanitarie migliori. Da un lato, maggiore istruzione equivale a maggiore conoscenza della malattia, della necessità di curarsi, di assumere i farmaci ed eseguire i controlli. Dall’altro, anche a maggiore disponibilità economica e quindi più facilità di accesso alle visite”.

Come detto dagli intervistati, il legame tra istruzione e longevità è una conseguenza di altri meccanismi. La formazione consente, infatti, di migliorare, direttamente o indirettamente, prospettive e condizioni di vita. Come dimostra il grafico seguente – che indica il reddito netto familiare in euro per titolo di studio del principale percettore – un più elevato livello di istruzione è in grado di determinare un maggior reddito. E questo non cambia sia che si tratti di lavoro dipendente o autonomo sia di pensioni e trasferimenti pubblici. Chi si laurea percepisce, nell’ambito del lavoro dipendente o delle pensioni, un reddito quasi o, addirittura, superiore al doppio di chi ha la licenza elementare o nessun titolo di studio. La differenza diminuisce ma persiste nel lavoro autonomo, con uno scarto tra laurea e licenza elementare o nessun titolo di circa 14mila euro.

Per studiare l’impatto delle condizioni socio-economiche sulla vita media, l’Istat ha prodotto le tavole di mortalità e delle speranze di vita per genere ed età secondo il livello di istruzione della popolazione residente. Questo risultato è stato raggiunto attraverso una procedura di record linkage individuale tra gli archivi Istat dell’indagine su decessi e cause di morte del 2012 e il Censimento della popolazione e delle abitazioni del 2011, dal quale è stata tratta l’informazione sul livello di istruzione sia per le persone decedute sia per la popolazione complessiva. Il metodo di record-linkage, anche detto di abbinamento esatto, si basa su una tecnica algoritmica il cui scopo è quello di identificare quali coppie di record di due basi di dati corrispondano a una stessa unità, collegando in maniera esatta unità appartenenti a database diversi. “Quello che distingue la nostra ricerca è la qualità dei dati”, ha detto ancora Sebastiani. “Abbiamo realizzato questo studio grazie al censimento, che ci ha fornito molte informazioni utili in merito. In futuro, utilizzeremo ancora più dati, quali la condizione professionale e quella abitativa. Usciremo prossimamente con i titoli di studio in base alle cause di morte, così come con le differenze territoriali. Anche se questi sono dati difficili da trattare, perché disaggreganti”.

Le disuguaglianze per livello di istruzione sono bene osservabili, soprattutto nelle età più anziane, anche in termini di quota di sopravviventi. Secondo le tavole di mortalità relative all’anno 2012, raggiunge gli 80 anni poco più della metà degli uomini (56%) con un basso livello di istruzione, mentre la quota si attesta intorno al 70% tra quelli che hanno conseguito una laurea. Tra le donne questi differenziali sono molto più contenuti: 74% e 80% rispettivamente. A tutte le età, le differenze per titolo di studio della speranza di vita sono doppie per i maschi rispetto alle femmine. “Confermo questo trend”, ha dichiarato il dott. Tedeschi. “L’impressione è che generalmente gli uomini si curino meno delle donne. Sono meno attenti alla propria salute a qualunque età”.

Nel 2015 sull’argomento è uscito il libro L’equità della salute in Italia, scritto, tra gli altri, dal professor Giuseppe Costa, coordinatore del gruppo di lavoro Equità nella salute e sanità della Commissione Salute della conferenza delle Regioni. “Le diseguaglianze di salute sociale che esistono in Italia sono consistenti. La povertà di risorse e di incompetenze individuali dice tanto sui rischi di salute delle persone. Nel nostro libro, abbiamo deciso di raggruppare diversi dati per dimostrare che il tema delle diseguaglianze sociali merita attenzione e può suggerire numerosi spunti di riflessione per gli interventi sulle politiche sanitarie, a partire dall’importanza dell’istruzione”.

Analizzando la situazione italiana secondo gli ultimi dati disponibili (2015), emerge ancor più chiaramente quanto detto in precedenza. Infatti, il notevole divario tra Nord e Mezzogiorno circa il numero di laureati – 3230,696 contro 1960,92 – si riflette sia sul reddito (548.733,44 euro contro 262.190,00) sia sulla speranza di vita. Quest’ultima alla nascita è di 82,7 anni per il Nord e di 81,6 per il Mezzogiorno, mentre a 65 anni è di rispettivamente 20,5 e 19,9 anni. Rimane il trend dell’assottigliamento in tarda età, ma non va sottovalutato l’anno e più di differenza alla nascita, considerando che, nella speranza di vita, influiscono anche altri fattori. Basti pensare al caso della Sardegna, dove si registra una delle più alte concentrazioni di centenari al mondo: “Apparentemente il caso sardo è una contraddizione” – ha affermato ancora il dott. Tedeschi. “In realtà, in questo frangente entrano in gioco altri elementi, quali la genetica e lo stile di vita. La genetica è molto importante: spesso, anche facendo l’analisi familiare, si scopre che il grande anziano ha avuto dei genitori deceduti in tarda età. Lo stile di vita, invece, comprende l’attività lavorativa, il fatto che l’ambiente sia più o meno inquinato e l’alimentazione”.


Nella mappa, i tre indicatori (laureati, reddito e speranza di vita) sono stati utilizzati, ai fini della mia ricerca, per assegnare dei valori da 1 a 3 alle macroaree italiane (Nord, Centro e Sud), in cui 1 è il valore più modesto e 3 quello più virtuoso. Ad ogni indicatore per macroarea è stato dunque assegnato un punteggio ed è stata poi fatta una media. Anche in questo caso, risulta che il Nord supera tutto il resto d’Italia nella speranza di vita. Centro e Sud “se la giocano”, ma non va sottovalutato il fatto che il Centro sia costituito da cinque regioni, mentre il Sud da sette (comprese le Isole).

Allargando poi la ricerca all’Europa, il trend viene ancora confermato. L’Italia è il Paese più virtuoso, insieme al Portogallo, tra i sedici presi in esame dallo studio Eurostat 2015. Seguono alcuni tra i Paesi scandinavi (Norvegia, Svezia e Finlandia), mentre fanalini di coda sono tre Paesi dell’Est (Macedonia, Bulgaria e Romania). La speranza di vita alla nascita per i laureati italiani è di 80,60 anni contro i 77,4 della Romania, ultima in classifica.

Un altro studio in merito è stato condotto dall’Ocse nel 2012. Le diseguaglianze più marcate nella speranza di vita si osservano ancora una volta nei Paesi dell’Europa orientale, con un divario tra alto e basso titolo di studio che, tra gli uomini (a 30 anni), in Repubblica Ceca arriva quasi ai 18 anni. Anche in questo caso, l’Italia si colloca tra i più performanti, con differenze per titolo di studio molto più contenute.

Questi dati potrebbero essere utilizzati per sensibilizzare e indirizzare le politiche sociali sul tema dell’istruzione. Se dare importanza alla formazione significa darne automaticamente anche alla vita, è fondamentale investire su scuole e università, il cui rilievo, troppe volte, è sottovalutato.

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