Il Parlamento UE approva il nuovo Patto di Stabilità, che cosa cambia

Il Parlamento europeo ha approvato la riforma del Patto di Stabilità, ovvero l’insieme delle regole fiscali a cui devono sottostare tutte le leggi finanziarie degli Stati membri dell’UE. Le nuove misure, già concordate a febbraio, sono passate senza il voto degli europarlamentari italiani. Solo tre deputati di Roma su 76 hanno votato positivamente il provvedimento, la maggioranza si sono astenuti mentre il M5S ha votato contro.

Ora, la palla passa al Consiglio. L’istituzione dovrà adottare i provvedimenti, che entreranno in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale UE. Gli Stati dovranno invece presentare i propri piani nazionali entro il 30 settembre 2024, delineando obiettivi di spesa, investimenti e riforme.

La riforma del patto

Il Patto di Stabilità è l’insieme delle regole che disciplinano le finanze pubbliche dei singoli Stati membri per l’appartenenza all’Unione economica e monetaria. È un patto complesso, siglato originariamente nel 1997, sospeso in seguito alla Pandemia per dare fiato ai Paesi dell’Unione.

La nuova riforma, in estrema sintesi, prevede regole più morbide ma una vigilanza più ferrea. Le soglie di un rapporto Debito/Pil al 60% e Deficit/Pil al 3%, i cosiddetti parametri di Maastricht, restano centrali, ma non saranno più il parametro insindacabile. Il ruolo da protagonista viene affidato alla spesa primaria netta, ovvero la spesa senza tenere conto delle spese per gli interessi sul debito.

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

La Commissione e il singolo Stato concorderanno un piano di riduzione in quattro anni che possono essere estesi a sette implementando riforme e investimenti. Il piano, una volta approvato dal Consiglio, sarà monitorato periodicamente. In caso di violazioni, Bruxelles può imporre sanzioni che, tra le altre cose, possono imporre anche lo stop ai fondi UE.

Per quanto riguarda il rapporto Debito/Pil, gli Stati membri che sforano la soglia del 60% saranno tenuti a ridurlo annualmente. In particolare, se il debito è compreso tra il 60% e il 90% del Pil la riduzione deve essere dello 0,5% annuo, superando invece il 90%(come l’Italia), la riduzione dovrà essere dell’1%. Per i primi anni (2025-2027), Bruxelles offrirà uno sconto con la possibilità di non contare nell’aggiustamento le spese per interessi.

Infine, il Patto prevede che in un periodo di crescita economica se lo Stato membro ha un rapporto deficit/pil superiore al 3% deve lasciare l’1,5% del Pil come riserva fiscale in vista di un periodo di difficoltà economiche.

Un patto meno restrittivo, ma non per la politica italiana

Le nuove regole fiscali approvate dal Parlamento europeo possono essere considerate meno restrittive delle precedenti, ma senza dubbio molto rigide nella procedura di controllo. Motivo per cui hanno ricevuto l’approvazione dei cosiddetti Stati frugali (Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia Austria), ovvero quei Paesi del nord Europa più propensi all’austerity che a maggiore flessibilità.

Sono meno restrittive soprattutto perché crolla il vecchio requisito di riduzione del debito annuale di un ventesimo dell’eccesso del debito superiore al 60%. In seguito, i governi possono anche estendere il periodo di aggiustamento da quattro a sette anni utilizzando investimenti e riforme.

Dunque, perché i parlamentari italiani non l’hanno approvato? Il 31 dicembre 2023, Bankitalia ha comunicato che l’Italia ha un debito di 2.862,8 miliardi di euro, pari al 141,7% del Pil. Tradotto, Roma ha il secondo debito più alto dell’Unione Europea dopo la Grecia.

Lara Comi, eurodeputata di Forza Italia.

La scelta degli eurodeputati italiani, esclusi Lara Comi (FI), Herbert Dorfmann (SVP) e Marco Zullo (ex-M5S) che hanno votato «Sì», sembra essere dettata da scelte di campagna elettorale più che economiche.

Il Partito Democratico si è astenuto sostenendo che il testo fosse peggiorativo, nonostante la riforma abbia il sostegno del gruppo politico di cui fanno parte nel Parlamento UE, quello Socialista. Anche Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega si sono astenuti. Altra contraddizione se si pensa al ministro dell’Economia Giorgetti che ha votato in favore al Consiglio e ha visto il suo partito astenersi. Ha invece votato contro il M5S, che giudica il nuovo patto un «ritorno all’austerity».

Nessun partito sembra voler mostrarsi debole rispetto a Bruxelles, con la testa fissa alle elezioni europee. Anche se, come sostenuto dal commissario italiano all’economia Gentiloni, almeno sull’astensione i partiti sono stati d’accordo.

Ettore Saladini

Laureato in Relazioni Internazionali e Sicurezza alla LUISS di Roma con un semestre in Israele alla Reichman University (Tel Aviv). Mi interesso di politica internazionale, terrorismo, politica interna e cultura. Nel mio Gotha ci sono gli Strokes, Calcutta, Martin Eden, Conrad, Moshe Dayan, Jung e Wes Anderson.

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