La crisi della Grecia, l’austerità della Troika e le pressioni della Bce

È da qualche tempo che non si sente più parlare della Grecia. Le proteste del 10 gennaio, contro i tagli previsti nella finanziaria, sono passate sottotraccia. Anche nel dibattito pubblico il Paese ellenico è un desaparecido. Anche i commentatori più entusiasti dell’austerità come panacea di tutti i mali si dimenticano di ricordare cosa è successo in Grecia. Ma non potrebbe essere altrimenti, perché se c’è un caso emblematico dell’assurdità delle misure imposte dalla Troika e delle politiche adottate dall’Unione europea, è proprio quello greco.

LE MACERIE DELL’AUSTERITÀ

Il 2017 si è chiuso con dati positivi: il Pil è cresciuto dell’1.4% e la disoccupazione è calata di quasi 2 punti percentuali. Ma questa è una magra consolazione. La terapia cui è stata sottoposta la Grecia ha avuto effetti devastanti. A quasi dieci anni dallo scoppio della crisi la disoccupazione si attesta al 21.6%, quella giovanile al 47.4%, i salari medi sono crollati del 20%, il Pil si è contratto del 27% e il 15% della popolazione è in povertà assoluta, mentre il 20% è a rischio. Quello che interessa sapere, però, non è tanto quali effetti hanno avuto le riforme imposte al Paese ellenico, ma perché sono state imposte e a quali condizioni.

LE ORIGINI DELLA CRISI

Il caso Grecia scoppia nell’autunno del 2009, quando il neo primo ministro George Papandreu rivela che i conti dello Stato erano stati truccati, con l’aiuto di Goldman Sachs, dai precedenti governi per garantire l’ingresso nell’euro. In particolare, il deficit non era al 3% come dichiarato dal governo Karamanlis, ma al 12.5%. All’annuncio seguono ripetuti declassamenti del debito pubblico da parte delle agenzie di rating, che nell’aprile del 2010 lo classificano come junk bond, precludendo di fatto ad Atene l’accesso ai mercati.

GLI INTERVENTI EUROPEI A SOSTEGNO DELLA GRECIA

La Grecia ha beneficiato di tre programmi di “salvataggio” portati avanti dalla Troika, ovvero Commissione europea, Bce e Fmi. I prestiti che sono stati erogati erano sottoposti alla condizione che il governo greco attuasse le riforme “concordate” nel “memorandum of understanding”, nel quale rientravano le cose più disparate. Da misure grottesche, come l’eliminazione dell’indicazione “Fresco” sul latte greco o la modifica delle norme sulla pezzatura del pane, alle cosiddette “riforme strutturali”. Queste ultime, soprattutto la riforma del mercato del lavoro e delle pensioni, sono andate nel senso di  ridurre il potere d’acquisto dei greci in modo da riequilibrare i conti import-export con l’estero. Accanto a questo erano previsti obiettivi di bilancio, accompagnati da suggerimenti su come tagliare la spesa e come aumentare le tasse. I pasdaran della Troika inviati ad Atene dovevano vigilare sulla corretta implementazione del memorandum. In caso contrario, i prestiti concessi, divisi in varie tranches, sarebbero stati bloccati.

I SALVATAGGI CHE HANNO SALVATO GLI ALTRI

Oltre all’Fmi, per finanziare i prestiti alla Grecia si è fatto ricorso a prestiti bilaterali da parte dei Partner dell’eurozona, dell’EFSF (European financial stability facility) prima, e del Meccanismo di stabilità europeo (detto Fondo Salva-Stati, Esm) poi, entrambi garantiti e finanziati dai Paesi membri. Andiamo con ordine.

Il primo salvataggio di 110 miliardi è stato accordato il 2 maggio 2010. A quella data gli Stati europei non erano esposti direttamente verso la Grecia. Ma le loro banche sì. Gli istituti italiani detenevano titoli, pubblici e privati, per 6.86 miliardi, quelli tedeschi 45 miliardi, le banche francesi 75 e le spagnole poco più di un miliardo. A settembre 2014, l’esposizione delle banche era stata sostituita quella degli Stati. Così la Francia vantava crediti per 46.56 miliardi, la Germania 61.74, l’Italia 40.87 e la Spagna 27.35. Cosa è successo? Semplice: i prestiti concessi al governo greco sono serviti a rifinanziare il debito pubblico in scadenza, rimborsando le banche europee detentrici, e a salvare il sistema bancario ellenico. In assenza di quei prestiti, la Grecia sarebbe stata costretta a dichiarare default, azzerando i crediti vantati dagli istituti europei.

Si è trattato, insomma, di una socializzazione a livello europeo delle perdite. Infatti l’Efsf, divenuto poi Esm, era partecipato dai Partner in proporzione rispetto al proprio Pil e non in rapporto all’esposizione del proprio sistema bancario. L’Italia e la Spagna hanno di fatto rimborsato le banche tedesche e francesi, i cui crediti verso la Grecia sono crollati rispettivamente a 13.51 miliardi e a due miliardi nel 2014.

In questo lasso di tempo è intervenuto anche un secondo programma di aiuti, quello del 2012, di 130 miliardi. Con questo piano è stato previsto, su pressione dell’Fmi, una ristrutturazione del debito pubblico detenuto dai creditori privati, i quali sono stati tosati del 53% del valore nominale dei titoli posseduti. La perdita registrata dalle banche tedesche e francesi è, però, stata modesta. Prima dell’haircut, infatti, l’esposizione del settore bancario di Germania e Francia era già diminuita (32.97 miliardi e 39.45), mentre i creditori sono stati invogliati ad accettare la riduzione con pagamenti anticipati di 34 miliardi di euro. Inoltre 15 miliardi sono andati a ripianare i debiti esteri delle banche greche. Sul totale dei due prestiti concessi (240 miliardi), 48.2 miliardi sono andati a salvare le banche greche, 34 per far accettare l’haircut e 140 per rifinanziare il debito pubblico e pagare gli interessi.

GLI ERRORI DELL’FMI

Le istituzioni che hanno gestito la crisi greca lo hanno fatto in modo miope. Stime sbagliate sugli effetti dell’austerità hanno determinato effetti devastanti. Lo stesso Fmi ha fatto mea culpa, riconoscendo che il moltiplicatore fiscale, ovvero quanto diminuisce il Pil per ogni euro di contrazione della spesa pubblica, ipotizzato per la Grecia 0.5, era in realtà almeno dell’1.5.

Da statuto, inoltre, l’istituzione di Washington non può intervenire in programmi di salvataggio qualora questi non siano accompagnati dal deprezzamento del cambio e da una ristrutturazione del debito del Paese destinatario del sostegno. Questo per attenuare gli effetti delle misure di austerità. Non essendo possibile svalutare all’interno dell’euro e viste le resistenze opposte dalla Germania a ipotesi di default, l’Fmi ha cambiato le proprie regole d’ingaggio, ammettendo implicitamente che i bail-out della Grecia non avrebbero portato i risultati sperati.

LE PRESSIONI DELLA BCE

Un altro tassello fondamentale per capire le ragioni dell’inadeguatezza della gestione della crisi greca è rappresentato dalla Banca centrale europea. L’istituto di emissione è indipendente dai governi, ovvero non è responsabile politicamente. Di conseguenza non dovrebbe assumersi responsabilità politiche. Nella crisi greca, però, la Bce ha esercitato un ruolo di primo piano nella gestione dell’emergenza, un ruolo politico. L’indomani dell’annuncio da parte del premier Alexis Tsipras di indire un referendum sul memorandum del terzo piano di aiuti, la Banca Centrale europea decide di bloccare la liquidità di emergenza alle banche greche.

L’Ela (emergence liquidity assistance) è una erogazione di denaro da parte della Banca centrale agli Istituti che si trovano in difficoltà nel reperire fondi sul mercato. Per evitare il panico tra i correntisti la Bce interviene garantendo linee di credito, permettendo al sistema bancario di continuare a funzionare. Il rifiuto della Bce di svolgere tale funzione, fondamentale per tranquillizzare mercati e depositanti, ha obbligato Atene a chiudere le banche per tre settimane, al fine di evitare fughe dei depositi. La Bce ha perciò agito come strumento di pressione sul governo greco e sui cittadini chiamati alle urne, tentando di influenzare l’esito del referendum.

La crisi di un Paese che rappresenta il 3% del Pil della zona euro, trascinatasi per quasi dieci anni, ha rischiato di portare al collasso l’intera costruzione europea. Questo per l’applicazione di misure draconiane, infondate sotto il profilo economico, che hanno dimostrato l’insofferenza delle Istituzioni europee verso la democrazia. L’austerità imposta alla Grecia è sembrata un’attività di recupero crediti fatta in corpore vili.

 

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