Il colosso dell’industria siderurgica Arcelor Mittal, detentore del 62% delle quote dell’ex Ilva e in rottura col Governo italiano, investirà in Francia. Lo stabilimento di Dunkerque, considerato uno tra i 50 siti industriali più inquinanti nel paese, riceverà investimenti pari a 1,8 miliardi di Euro, di cui 850 elargiti dallo stato francese e circa 1 miliardo da Arcelor Mittal.
Il caso francese
I fondi saranno investiti nell’acquisto di due nuovi forni elettrici che sostituiranno quelli a carbone: si tratta di un primo passo per la decarbonizzazione del settore e la produzione di acciaio “green”. La decisione, comunicata dal ministro delle finanze francese Bruno Le Maire, ha più il sapore di una beffa che di una coincidenza.
L’obiettivo in entrambi gli stabilimenti, italiano e francese, è lo stesso: investire a favore della decarbonizzazione delle acciaierie. Ma il colosso franco-indiano ha preso due decisioni diverse. Sull’ex Ilva, gli avvocati di Arcelor Mittal stanno lavorando per un’uscita “consensuale” con il Governo italiano. Invece, sullo stabilimento di Dunkerque in Francia hanno dimostrato interesse in incrementi di capitale.
La fuga dall’Italia
C’è stupore in Puglia, dal momento che Mittal ha scelto di investire all’estero pur essendo socio di maggioranza in Acciaierie d’Italia, ex Ilva di Taranto. Una decisione presa nonostante il piano di investimenti di decarbonizzazione italiano che avrebbe portato allo stabilimento 4,6 miliardi di euro, di cui 2,27 forniti dallo stato tramite fondi provenienti da programmi europei.
Ma la rottura, divenuta definitiva a seguito dell’incontro dell’8 gennaio tra Governo e Arcelor Mittal, potrebbe portare a un commissariamento della struttura oltre che a possibili contenziosi legali tra le due parti. E in questo senso il Governo sta tentando una mediazione per un’uscita morbida del colosso franco-indiano. La trattativa dovrebbe prendere forma entro mercoledì 17 gennaio, termine ultimo indicato dal Governo italiano. Se ci sarà un risarcimento dello stato italiano ad Arcelor Mittal, potrebbe aggirarsi intorno ai 400 milioni di euro.
La fuga dall’Italia di Arcelor Mittal non stupisce se considerato il piano industriale attuato negli ultimi anni. L’ex Ilva sta lavorando ai minimi storici: la produzione di acciaio è bassa e al di sotto delle attese. Nel 2020, la produzione è stata di 3,4 milioni di tonnellate, nel 2021 è stata di 4,1 milioni di tonnellate.
Invece nel 2022 la produzione è stata di 3,1 milioni di tonnellate nonostante un’autorizzazione a produrne 6. E nel 2023 è stata annunciata la produzione di almeno 4 milioni di tonnellate di acciaio, ma non si è superata la soglia dei 3 milioni.
Come si è arrivati a questa situazione
Nel 2012, a seguito del processo per disastro ambientale che ha portato agli arresti i Riva, è iniziato un complicato percorso in cui lo stato ha cercato sia di salvare l’azienda. Il tutto provando a mantenere i livelli di occupazione. Si contavano all’epoca 12.000 dipendenti per il solo stabilimento di Taranto.
Da lì l’avvio di un lungo commissariamento che si è concluso nel giugno 2017 con l’ingresso di Arcelor Mittal, vincitore del bando per la messa in vendita pubblicato l’anno precedente dal Governo Gentiloni. Da quel momento le promesse in termini di investimenti e livelli occupazionali del colosso franco-indiano non sono state mantenute. A peggiorare la situazione gravano i debiti verso i fornitori accumulati dalla nuova gestione, stimati in 1,5 miliardi di euro.
Il disinteresse di Arcelor Mittal non è cosa nuova ed è noto da tempo. È iniziato da quando, nel 2019, è stato tolto lo scudo penale ad Arcelor Mittal su reati eventualmente commessi da altri prima del loro ingresso nell’ex Ilva. Un cambiamento di regole in corsa che non ha fatto altro che ridurre la fiducia del privato nei confronti dello stato italiano.
A cura di Tommaso Ponzi