A 5 giorni dal termine ultimo per trovare un accordo su Alitalia le carte in gioco non sono ancora state scoperte. A vari imprenditori privati si dovrebbe aggiungere un 15% di azionariato di Delta Airlines, insieme alle quote del Mef e di Ferrovie dello Stato. Resta vacante il 35/40% del capitale, per un totale di circa 300 milioni di euro, che ormai da tempo sembra essere oggetto delle attenzioni di Atlantia. Il gruppo guidato dalla famiglia Benetton, a sua volta azionista di maggioranza di Aeroporti di Roma e Autostrade per l’Italia, non è amato dal Governo Conte.
La lotta mediatica tra Salvini e Di Maio sembra trovare una tregua quando c’è da puntare il dito contro chi, dice il vicepremier M5S, avrebbe dovuto fare manutenzione al ponte Morandi con i soldi, provenienti dalle tasche degli italiani, dei caselli autostradali. Ed ecco, nuovamente, la mano dello Stato. Vicenda non nuova nella storia di Alitalia, che già nel 2008 si era vista bloccare la vendita ad Air France dal Governo Berlusconi. Da allora sia Letta che Gentiloni si occuparono, ognuno a suo modo, della compagnia di bandiera del nostro Paese. Il risultato di grandi manovre quali ingressi azionari statali, prestiti ponte e gestioni commissariate portano al fantasmagorico risultato di 1,7 milioni di euro di perdite al giorno. Il fallimento del salvataggio. Per una compagnia che trasporta il 14% dei passeggeri italiani ed è solamente il quarto vettore dello Stivale.
«Evidentemente la questione Alitalia secondo i politici – spiega Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni e ricercatore all’Università IULM – conta molto in termini di voti. Secondo me conta molto poco. Credo che il valore del dire “abbiamo tenuto in vita la compagnia di bandiera” sia fortemente sopravvalutato dalla classe politica. Mi sembra esagerato fare i nazionalisti dei cieli per un fatto di consensi». Non sarebbe necessariamente da reputare negativa, continua Mingardi, una procedura fallimentare finalizzata alla ricostruzione: «I fattori della produzione vengono riallocati dopo un fallimento. Alcuni di questi fattori sono molto ricercati nel mondo: non penso esista un pilota disoccupato. Con un procedimento come questo forse si riuscirebbe finalmente a distinguere il grano dal loglio».
La stessa Delta Airlines, unica compagnia privata disposta a mettere dei quattrini in Alitalia, fallì ufficialmente nel 2005 per poi uscirne nel 2007. La formula della bancarotta come modalità per rinascere negli Stati Uniti la conoscono bene, basti pensare a General Motors e Chrysler. In Italia si preferisce mantenere intatto l’orgoglio tricolore sugli aeromobili Alitalia, senza macchiarlo di un fallimento ufficiale. Ma lo Stato, in questo campo, ha già fallito. Da diversi anni.