L’esercito inglese è pronto ad indossare divise vegane. Questo è uno degli obiettivi del Ministry of Defence Vegan and Vegetarian Network, in sigla MoDVVM. Di cosa si tratta? Come evinciamo dalla newsletter di real geopolitics – Nota Diplomatica – di James Douglas Hansen, stiamo parlando di un nuovo movimento creato dalle forze armate britanniche, che ha posto tra i suoi fini, appunto, anche quello di adottare nuove divise di stampo vegano. Queste sarebbero indirizzate ai soldati a servizio permanente effettivo del dipartimento navale, terrestre e aereo.
Stile di vita e pianeta Terra più sani
Il Ministry of Defence Vegan and Vegetarian Network si impegnerà per mettere in atto azioni che permetteranno di collegare vegetariani e vegani facenti parti della Royal Navy, della British Army e della Royal Air Force. L’intento è quello di «sostenerli e istruirli riguardo a nuove idee e politiche», una tendenza appoggiata sempre più apertamente dalle forze armate del Regno.
Importante è la testimonianza del Tenente Generale Richard Nugee, il quale nel 2020 è stato a capo della preparazione del climate change and sustainability review per le forze armate della Corona. Egli, infatti, in una dichiarazione rilasciata al quotidiano inglese The Telegraph, ha affermato di aver diminuito il proprio personale consumo di carne quasi dell’80%.
Inoltre, il Tenente Generale ha condiviso l’abitudine dell’esercito britannico di essere costantemente sottoposto a lezioni riguardanti i lati positivi derivanti dal seguire una dieta vegetariana. Alla base di questo approccio, due motivazioni: portare avanti uno stile di vita sano e rincorrere la salvaguardia del pianeta Terra.
Verso una pelle vegana
Nel 2019 un tecnico di elicotteri vegano della RAF, la Royal Air Force britannica, si era rifiutato di indossare i classici combat boots – gli anfibi di servizio – realizzati utilizzando cuoio animale. Da qui, il MoDVVN ha iniziato ad andare incontro a simili richieste, seguendo la scia dell’esercito inglese di rispettare le esigenze dietetiche vegetariane di soldati, marinai e avieri.
Ora, l’idea è quella di rifornire i militari con calzature che siano prodotte utilizzando materiali alternativi. La speranza è che i sostituti vegani possano essere equivalenti – dal punto di vista dei gradi di protezione e resistenza all’usura – alla pelle animale.
La soluzione sarebbe quella di optare per materiali di origine vegetale e dall’impatto ambientale ridotto. Un esempio è la vegan leather (pelle vegana) realizzata con rifiuti derivanti dalla spremitura delle mele, con cui produrre le nuove divise vegane.
Da cuoio animale a pelle…di mela
Grande soddisfazione scaturisce dall’interfacciarsi con la messa in pratica – e la riuscita – di progetti che, alla base, hanno un fondamento profondo di rispetto per gli animali e la natura. Un esempio è Leap, brand di pelle alternativa a quella di origine animale, creata partendo da una base vegetale.
L’azienda produttrice danese, Beyond Leather, ha dato vita a questo prodotto combinando i resti derivanti dalla spremitura di mele e produzione di sidro (semi, torsoli, buccia e steli) con una gomma naturale, che conferisce al materiale una robustezza simile alla pelle tradizionale. Lo step successivo porta all’applicazione del composto ottenuto su un supporto tessile fatto di cotone e fibra di legno.
In seguito, il terzo e ultimo passaggio consiste nell’aggiungere un rivestimento protettivo, realizzato per metà dall’utilizzo di polietere e poliuretano, per l’altra metà, da bioplastica.
«I nostri prodotti sono realizzati per la maggior parte dall’utilizzo dei rifiuti di mela. L’obiettivo per il futuro è riuscire a rendere l’intero processo basato su questa dinamica», afferma la co-fondatrice di Beyond Leather, Hannah Michaud.
Il brand, infatti, spera di poter portare la propria pelle vegana, entro il 2024, ad essere un prodotto totalmente di stampo naturale e biodegradabile.
Tre strati, smaltimento differente
Attraverso i procedimenti descritti e messi in atto da Beyond Leather per realizzare Leap, il materiale che si ottiene al termine della lavorazione risulta composto da tre strati. L’insieme, alla fine del ciclo di vita del prodotto, può essere destrutturato dividendo i differenti strati che, così, possono essere smaltiti seguendo le regole della raccolta differenziata.
Al lato positivo relativo alla salvaguardia degli animali, si aggiungono le stime positive effettuate dalla compagnia relativamente alla riduzione delle emissioni di CO2, derivanti dalla produzione di pelle vegana utilizzando i rifiuti delle mele: 85% in meno rispetto a ciò che deriva dai cicli produttivi della pelle animale. Inoltre, la richiesta di acqua ammonta solo all’1%.
Moda e sostenibilità
Leap ha a disposizione una schiera sempre più ampia di biomateriali, ideati e creati per ridurre l’impatto ambientale della pelle animale e delle sue plastiche alternative. Tra questi c’è Piñatex, realizzato dalle fibre delle foglie di ananas, rifiuti dopo la raccolta delle stesse. Esso è stato già utilizzato per la produzione delle scarpe da ginnastica di Hugo Boss. Un’altra tipologia di pelle alternativa – quella prodotta dai funghi – è stata utilizzata da marchi importanti come Hermès, Stella McCartney e Adidas.
Ulteriore brand convinto della forza etica di materiali innovativi a base vegetale è Allbirds, marchio di scarpe, che in passato ha collaborato con una startup chiamata Natural Fiber Welding per creare la prima pelle di base vegetale realizzata interamente senza petrolio, producendo il 98% in meno di emissioni di CO2 rispetto alla produzione di pelle animale.
La possibilità di avere sottomano materiali che permettano di salvaguardare gli animali e l’ambiente è possibile, ma, come possiamo leggere anche dalle parole del capo della sostenibilità di Allbirds, Hana Kajimura: «Ci lamentiamo di come i materiali naturali possano non performare bene come quelli sintetici, ma nel caso in cui ciò avvenisse, sarebbe a causa della mancanza di investimenti e innovazione in questo settore».
E prosegue: «Abbiamo continuato ad innovare il sintetico per decenni, fin dal 1800, quando abbiamo scoperto il petrolio e iniziato a trivellare per estrarlo. Non abbiamo, però, pianificato lo stesso ammontare di investimenti sui materiali naturali, non arrivando a capire, così, come poter ottenere migliori performance».