Di Daniele Zinni
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La mattina del 20 novembre 2016, alcune tra le testate d’informazione più seguite e prestigiose in Italia hanno diffuso una notizia clamorosa: Donald Trump vuole rimuovere la Statua della Libertà. «È anacronistica, incita all’immigrazione», riportava un titolo.
Considerato il tenore delle dichiarazioni di Trump, una sparata del genere non è sembrata improbabile. Peccato che la notizia fosse falsa come una moneta di cioccolato: redatta come un articolo vero, ma inventata da Christopher Lamb, blogger dell’Huffington Post statunitense e professore di giornalismo. La mancanza di una punchline, di una battuta palese, ha ingannato i media italiani, che non hanno colto la totale assurdità delle dichiarazioni attribuite a Trump. Per un’ora o poco più, legittimata dall’autorevolezza delle testate, la notizia è rimasta vera, e molti che l’avevano pubblicata non l’hanno poi smentita.
Il recente dibattito sulle notizie false, e sul clima di “post-verità” che avrebbe favorito la Brexit e l’elezione dello stesso Trump, si è (comprensibilmente) concentrato sulle bufale diffuse per propaganda o per racimolare click su internet. Tuttavia, esiste anche un filone nobile di pseudo-giornalismo, una tradizione satirica a cui si potrebbe far risalire anche l’articolo del professor Lamb. Un’esperienza italiana storica, in questo senso, che mirava a “inceppare” i meccanismi della comunicazione con l’effetto di rivelarne la natura, è quella dei finti quotidiani pubblicati dalle riviste Il Male e Frigidaire a cavallo degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso.
Vincenzo Sparagna diresse entrambe le riviste e tuttora dirige Frigidaire e Il Nuovo Male, con la collaborazione di Maila Navarra. «Iniziammo i falsi giornalistici», racconta, «con una prima pagina di Repubblica nel maggio 1978, subito dopo il ritrovamento del corpo di Aldo Moro». Il paginone centrale del Male, piegato a rovescio e infilato tra i quotidiani in edicola, riproduceva formato e grafica di Repubblica, e sentenziava a sei colonne: “Lo Stato si è estinto”, sopra alla foto delle più alte cariche nazionali sedute sui banchi di una chiesa. Era un’immagine dai funerali di Stato di Aldo Moro – funerali che la famiglia aveva rifiutato, lasciando presidente della Repubblica e ministri vari alle esequie di una bara vuota. «Era davvero come se lo Stato si fosse estinto: ai funerali di Stato di Aldo Moro, Aldo Moro non c’era», continua Sparagna. In prima pagina c’erano anche un finto editoriale di Eugenio Scalfari e rimandi a inesistenti pagine interne.
Quell’estate fu poi il turno di “Annullati i mondiali! Nuova finale tra Italia e Argentina a Wembley”: un finto Corriere dello Sport, dopo l’eliminazione degli Azzurri in semifinale, che qualcuno prese per vero. Si racconta di tricolori esposti al balcone e tifosi per le strade a festeggiare. «Ci prendemmo gusto», continua Sparagna, «e in ottobre il terzo falso fece balzare le vendite del Male da circa 15mila fino a quasi 50mila copie»: la “vittima” in questo caso era L’Unità, che titolava “Basta con la DC!”. «Annunciavamo una svolta a 180 gradi dei comunisti, nella fase della solidarietà nazionale. Mi divertii a scrivere un lunghissimo discorso a firma di Enrico Berlinguer; quando uscì, c’erano sezioni del PCI in festa perché il partito aveva cambiato linea».
Nel maggio 1979, una tripletta memorabile: Paese Sera, La Stampa e Il Giorno, tutte dedicate al clamoroso arresto dell’attore Ugo Tognazzi. “È il capo delle BR”, “La primula rossa del terrorismo”. Tognazzi si era persino prestato a inscenare la cattura, ammanettato tra i finti carabinieri che lo trascinavano via.
«I nostri», racconta Sparagna, «erano falsi da interferenza: interferivano con la comunicazione, che all’epoca avveniva tutta tramite i quotidiani. Oggi, le testate hanno perso autorevolezza e seguito; così, i falsi del Male e della sua versione attuale, cioè Il Nuovo Male, hanno abbandonato l’ambiguità per dichiararsi da subito come parodie: L’Osservatore Celeste, Il Fattone Quotidiano, Il PortaFoglio, per citare alcuni esempi recenti. In passato, era più facile criticare la comunicazione dominante. Adesso, la comunicazione dominante è anche la comunicazione (involontariamente fasulla) dei dominati. Milioni di persone che parlano, su internet, creano un rumore di fondo tale da rendere superflua la stessa censura».
Nel 1990-91, la produzione falsaria di Sparagna e soci toccò forse il suo punto più alto: Repubblica non usciva di lunedì, all’epoca, e loro crearono Il Lunedì della Repubblica, un giornale autonomo di 32 pagine che raggiunse una tiratura di 100mila copie. «Era un giornale tra il vero e il falso, che dava notizie paradossali», racconta Sparagna. «Il primo numero uscì sfuggendo alla censura dell’ufficio politico della presidenza del Consiglio dei Ministri. Avevamo fatto circolare la voce che c’era un pezzo tremendo di Licio Gelli, che svelava tutti gli intrighi della P2. Il titolo era “Mi ricordo di voi”, una cosa davvero inquietante. In realtà, l’articolo lo avevamo scritto noi, ma qualcuno temeva che fosse vero e mandò la polizia a sequestrare il giornale in una tipografia di Roma, mentre noi lo stampavamo di nascosto a Bologna».
Dopo 24 numeri, Il Lunedì fu costretto a chiudere: «Sul piano giudiziario, Repubblica aveva perso la guerra, perché avevamo già vinto una causa e avremmo vinto la successiva. In compenso, riuscì a fare pressioni tali che non trovammo più nessuno disposto a distribuirci nelle edicole». Ma la storia di una rivista surreale non poteva avere una conclusione così grigia. «Poco tempo dopo la chiusura de Il Lunedì», continua Sparagna, «andai a chiedere un prestito al buon Carlo Caracciolo, che era un nostro amico e ammiratore, pur essendo l’editore di Repubblica. Lui mi propose di comprare la testata, per 50 milioni di lire; io accettai, e loro cominciarono a uscire anche al lunedì. Tuttora esce Il Lunedì della Repubblica, che è quello fondato da me e Frigidaire, ma esce con la dicitura “fondatore Eugenio Scalfari”. Che ci vuoi fare? I falsi si prolungano all’infinito!»