Virgil Abloh: il designer che ha rivoluzionato lo streetwear

Virgil Abloh, fondatore di Off-White e direttore artistico maschile di Louis Vuitton, è morto all’età di 41 anni a causa di una forma aggressiva di cancro, l’angiosarcoma cardiaco. Aveva scoperto la sua malattia nel 2019, scegliendo di combattere una battaglia privata, senza le luci dei riflettori puntate su di sé.
Non ha mai messo da parte il suo lavoro e, con curiosità ed innovazione, il suo estro visionario ha rivoluzionato l’industria della moda.

Abloh fotografato al Museo di Arte Contemporanea di Chicago

Dalle strade alle passerelle

Il nome di Virgil Abloh è stretto in un binomio indissolubile con lo streetwear. Un movimento esistente da decenni e arrivato con lui al grande pubblico grazie ad una capacità dirompente di interpretare la contemporaneità e permearla di un nuovo significato. Non più street-wear come merce, prodotto da indossare ma street-culture, definita dallo stesso Abloh «una comunità, un gruppo di amici che condividono un legame. Passiamo tempo insieme agli angoli delle strade, litighiamo fra noi e ci difendiamo l’un l’altro».
Una forza esplosiva che ha reso globale quella che poteva sembrare una posa da skater newyorkesi, rivelatasi elemento imprescindibile per le passerelle del lusso dell’ultimo decennio.

Nike-Off-White-primavera-estate-2019

La formazione di architetto lo ha portato a concepire la moda come un esercizio di costruzione e decostruzione, esattamente come avviene per un palazzo: «Vuoi sapere a quale movimento architettonico appartengo? Si chiama streetwear», ha dichiarato nel 2018 in un’intervista a Rivista Studio.

In quest’ottica ha concepito uno dei suoi principali prodotti di culto, le scarpe. Con lui il mercato delle sneaker di lusso è arrivato a cifre stellari, fino ad entrare da Sotheby’s, l’olimpo delle aste, con il prototipo LV Trainer Louis Vuitton|(RED) del valore stimato tra i 30.000 e i 40.000 dollari.

LOUIS VUITTON | (RED) TRAINER

Così, il singolo accessorio ha smesso di rivestire la sua funzione primaria, essere indossato, per avvicinarsi sempre più all’opera d’arte, come un vero e proprio oggetto da collezione. Le sneaker vengono acquistate, gelosamente custodite e infine rivendute. Mai indossate, quasi a voler sottolineare il loro valore assoluto, slegato dall’hic et nunc, il qui e ora. Del resto, la dichiarazione di intenti di Abloh è sempre stata chiara: «Voglio fare delle cose che siano l’incarnazione di un’idea».

Il primo logo di Off-White

Ed è proprio in quell’idea, forse, che è da ricercare il legame con il dadaismo di Duchamp felicemente evidenziato dalla giornalista di moda Giuliana Matarrese a proposito del logo di Off-White. Non un disegno originale ma linee diagonali che ricordano segnali stradali, frecce. Un semplice elemento quotidiano al quale, secondo il designer, bastava aggiungere un 3% per trasformarlo da oggetto comune a oggetto di desiderio.

In questo filone si inserisce anche la sua collaborazione con IKEA, la multinazionale svedese per la quale ha realizzato una serie di tappeti decorati con frasi o parole virgolettati, e che forse incarna uno dei brand della contemporaneità che più di tutti ha concretizzato il principio della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, teorizzato nel suo saggio da Walter Benjamin.

Una delle creazioni per IKEA del designer

È difficile, quasi impossibile confinare all’interno di una semplice definizione la traccia indelebile lasciata nel mondo della moda da Virgil Abloh. Quello che è certo è che in poco tempo è riuscito a rivoluzionare il nostro modo di vestire, portando sulle passerelle la street culture e il nostro modo di comprare, facendo del reselling un vero e proprio fenomeno generazionale. Chissà quanto altro avrebbe potuto regalarci.

Il Personaggio

Virgil Abloh non studiò formalmente moda. Era un ingegnere civile con un Master in architettura. Ma sua madre, una sarta, gli insegnò le basi del mestiere. Lui stesso lo aveva affermato: era al di fuori dell’industria, quindi non voleva «creare collezioni in modo tradizionale». E forse proprio per questo, quel mondo, lo ha messo in subbuglio, facendosi amare da tutti coloro che hanno lavorato con lui e lo hanno conosciuto.

«Virgil non era solo un geniale designer, un visionario, era anche un uomo con un’anima bella e una grande saggezza» ha dichiarato Bernard Arnault, presidente di LVMH Moet Hennessy Louis Vuitton.

Off White fall 2019

Virgil Abloh è stato il primo uomo afroamericano alla guida artistica di una casa di moda francese, superando qualsiasi barriera, stravolgendo ciò che è possibile e ciò che non lo è nel mondo della moda. Non si è mai trattato solamente di fare arte fine a sé stessa. Solo sei mesi fa in un’intervista, il designer aveva affermato: «Io opero secondo le mie regole, secondo la mia logica, e non ho paura». Come se le sue creazioni avessero il fine molto più grande di creare una community globale oltre l’elitarismo e la territorialità.

Anche Kendall Jenner, ha scritto sui social «V mi ha insegnato una lezione molto importante, era brillante, era gentile ed era pieno d’amore».

 

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Il designer ha creato opportunità laddove solitamente vengono negate. Come quando nel 2017, aveva ideato un’uniforme per il Melting Passes, una squadra di calciatori immigrati a Parigi, che non avevano la residenza e dunque non potevano giocare in competizioni ufficiali. O quando, alla sua prima sfilata Louis Vuitton alle Tuileries, nel 2018, aveva dato a 3.000 studenti la possibilità di partecipare tra il pubblico. Ha lavorato per sostenere skateboarder e surfisti in Ghana, paese di nascita dei suoi genitori, e fornito fondi per sistemare parchi a Chicago.

Il direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele, lo piange scrivendo sui social: «Che la tua gentilezza illumini il mondo degli angeli. Finché non ci incontreremo ancora».

 

Poliedrico, artistico. Così Abloh poteva essere definito: uno dei più influenti e potenti designer neri  della sua generazione. La moda per lui era un mezzo, una tela per mostrare che qualcuno, da dietro le quinte, si preoccupava di contesti diversi. Di cose sociali. Lo faceva per aprire agli altri nuove porte ma, anche per sè stesso. Una volta aveva affermato:

«Tutto ciò che faccio è per la versione di me stesso di 17 anni».

Un’energia, quella di Virgil Abloh, nonostante tutto, alimentata dalla speranza.

Priscilla Bruno

Romana, classe ‘96. I libri sono da sempre la mia costante: ricordo come da bambina la mia eroina fosse Jo March, la protagonista di Piccole Donne che usava la sua penna come arma contro qualsiasi pregiudizio.

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