Il racconto del movimento Svuota la Vetrina, nato dopo il caso della libreria Hoepli, da un’idea di Daniela Nicolò per rilanciare il lavoro delle librerie indipendenti, arrivato a ventotto vetrine svuotate in tutta Italia.
Come nasce l’iniziativa
Il 22 agosto 2024, in una Milano torrida e semideserta, un «uomo distinto» entra nella libreria Hoepli e acquista tutti i libri esposti in vetrina per un costo di circa 10mila euro. Un miraggio del caldo, avranno pensato inizialmente i librai in negozio. Oppure, un colpo di fortuna, un fenomeno unico non destinato a ripetersi.
Risposta negativa in entrambi i casi. Infatti, poco tempo dopo, Daniela Nicolò, redattrice di testi universitari che ama definirsi come «una cittadina milanese che crede nella cultura e nell’istruzione come riscatto», ha lanciato il movimento “Svuota la vetrina” per replicare il gesto eclatante del primo anonimo “svuotatore”.
«L’idea è nata istintivamente. Ho subito pensato che svuotare la vetrina della Hoepli fosse un gesto meraviglioso, così mi sono detta: “Perché non lo faccio anche io in piccolo?”. Insomma, il primo impatto è stato puramente emotivo, da lettrice appassionata. Il secondo motivo, invece, è stato più razionale. Molte persone criticavano questo gesto. Lo svuotatore veniva tacciato di essere un parvenu, un uomo che ha acquistato una vetrina solo per arredamento, non scegliendo neanche i libri, ma affidandosi al caso. A me questa cosa non è piaciuta. Io non so perché questa persona abbia comprato tutti quei titoli. So solo che ha speso 10mila euro in libri e non in armi o in un inutile orologio. Poi i libri di una vetrina sono il frutto di una selezione accurata, sono l’identità dei librai e io dei librai mi fido. Figuriamoci poi se non mi fido della Hoepli che fa vetrine splendide», racconta Daniela Nicolò.
Un movimento social
La libreria che la redattrice ha scelto di svuotare è stata “I Baffi”, in zona Farini: «Mi ero accorta di questa libraia giovane ma molto preparata, Celia Manzi, che mi aveva dato ottimi consigli di lettura. Perché è questo che fa un libraio. Le ho parlato della mia idea e anche lei era entusiasta. Le ho detto di allestire una vetrina appositamente per me e il lunedì successivo sono andata a “svuotarla”. Ovviamente era una selezione molto più piccola di quella della Hoepli, ci tengo a sottolinearlo visto che mi hanno dato anche della ricca influencer milanese».
È stata proprio Celia Manzi a consigliare a Daniela Nicolò di provare a diffondere l’iniziativa sui social, dandole l’idea di aprire la pagina Instagram “Svuota la vetrina”, che oggi conta più di 3.700 follower. Dopo l’apertura, gli “svuotatori professionali” hanno raggiunto le pagine della carta stampata che hanno trasformato il fenomeno in un caso nazionale.
«Era proprio quello che desideravo», racconta Nicolò, «Che questo gesto non diventasse una moda, ma che si ripetesse un po’ dappertutto. Quello che faccio io, ora, è una sorta di ufficio stampa delle librerie svuotate (ride, ndr.). Alcune volte mi avvisano prima, altre dopo. Fatto sta che il movimento si è diffuso in tutta Italia. È arrivato a Bari, Prato, Bologna, Osimo, Marostica, Genova. Attualmente sono ventotto le vetrine a essere state svuotate. Nella maggior parte dei casi sono persone che vogliono rimanere anonime per ribadire l’importanza del gesto. Un caso che mi è piaciuto molto è stato quello di Cantù, in provincia di Como, dove un signore ha svuotato la libreria per festeggiare il nono compleanno del negozio. In altri casi ci sono gruppi di lettura oppure donatori che decidono di regalare libri a scuole o istituzioni bisognose».
LibriSottoCasa
Tra le prime librerie milanesi a essere svuotate, c’è stata anche la libreria itinerante LibriSottoCasa di Luca Santini, presidente delle librerie indipendenti di Milano. Si tratta di una libreria mobile allestita su una bicicletta che da undici anni viaggia per le strade del capoluogo lombardo portando libri a domicilio oppure partecipando a eventi culturali.
Quando Santini risponde al telefono sta proprio preparando il suo negozio a due ruote per la giornata: «La mia è l’unica libreria al mondo su bicicletta», dice. « È un modo che mi permette di unire la mia passione per il muovermi in bicicletta con quella per i libri e, al tempo stesso, evitare il costo per l’affitto del locale che è uno dei principali ostacoli per i librai».
La vetrina della sua bicicletta è stata svuotata pochi giorno dopo “I Baffi” da una signora che per fare dei regali a suo nipote ha deciso di comprare tutti i titoli esposti nella piccolissima teca in plexiglass di trenta centimetri per dieci di LibriSottoCasa. «Un gesto simbolico, in cifre lontanissimo dalla Hoepli ma che ha colpito nel segno, perché uno degli obiettivi è proprio rilanciare il nostro ruolo. La vetrina è la carta d’identità di un libraio. È il frutto di anni e anni di letture. Ed essendo il numero di titoli che posso portare in giro molto limitato per un motivo fisico, la mia selezione è ancora più meticolosa di tante altre. È proprio come acquistare un pezzo di me», dice Santini.
Libreria Verso
Una delle ultime librerie milanese finite nel mirino degli adepti di “Svuota la Vetrina” è stata la libreria Verso, in corso di Porta Ticinese, gestita dallo scrittore Marco Amerighi. Un cliente ha aspettato che il negozio si svuotasse per poi avvicinarsi ai dipendenti e dire loro che aveva intenzione di comprare tutti i titoli esposti in vetrina proprio per partecipare all’iniziativa che aveva seguito fin dall’inizio.
«I libri erano una cinquantina. Una selezione molto particolare, peraltro, che andava da riviste a titoli internazionali in lingua, passando per novità indipendenti, libri amati da noi negli ultimi mesi e qualche autoproduzione», racconta Amerighi. «Una spesa che ha portato ossigeno nelle nostre casse. Il valore, però, non è solo economico, un acquisto del genere non cambia il percorso della libreria. Piuttosto, ha una grande forza emotiva e simbolica. È uno di quei gesti che ti restituisce l’affetto, la volontà del vicinato di stare vicino alle librerie in un periodo di estrema difficoltà. Il gesto di un singolo che, in realtà, racconta una vicinanza collettiva».