Roma celebra Raffaello, il pittore della purezza dello spirito

Il 6 aprile del 1520 moriva Raffello Sanzio, colpito a soli 37 anni da un febbre di “eccessi amorosi“, come sostenne il Vasari. A cinquecento anni dalla sua scomparsa la sua opera rimane indiscussa. Le Scuderie del Quirinale, dal 5 marzo al 2 giugno 2020, gli dedicano la più ampia mostra monografica mai realizzata: oltre 200 opere provenienti dalle principali istituzioni al mondo, per un valore assicurativo di più di tre miliardi di euro.

Un’occasione unica per ammirare ritratti come la Madonna d’Alba della National Gallery di Washington e la Madonna della Rosa del Museo del Prado, o dipinti quali il ritratto di Baldassarre Castiglione e L’Autoritratto con un amico del Louvre.

Cresciuto nella corte raffinata dei duchi di Montefeltro, Raffaello si distingue subito per il suo carattere amabile. Il suo percorso artistico inizia presso il padre, il pittore Giovanni Santi, e nelle botteghe di Pietro Perugino e di Luca Signorelli; si reca nella Firenze dei banchieri di Leonardo e Michelangelo, per poi essere catapultato a Roma da Papa Giulio II, con l’incarico di esprimere lo spirito del tempo.

Con Raffaello l’armonia e i rapporti fra i personaggi in pittura non hanno eguali: tutto è lineare, ritmico, disposto per percorrere lo spazio senza defezioni. Nelle fattezze disegnate da Raffaello vi è quell’eterna giovinezza o sensazione di principio che tutti vorrebbero protrarre: ce lo racconta il suo Autoritratto, volto di una bellezza androgina legato a una dimensione assoluta; nonché la Madonna della Seggiola, che secondo una leggenda fu figlia di un vinaio, disegnata dal vero da Raffaello sul coperchio di una botte, con la purezza dei sentimenti rinnovata dall’incarnato della giovane donna, con lo sguardo amorevole e l’inclinazione del capo che segue l’uso del tondo, o la vivida fanciullezza dei due amorini nella Madonna Sistina.

Madonna della Seggiola, (1513-1514 circa, olio su tavola, 71×71 cm)
Raffaello e la città Eterna

Roma è la città che sceglie quale teatro dei suoi amori e delle sue glorie. Nel 1508 l’urbinate è un giovane ragazzo che viene  incaricato di affrescare le Stanze private di Papa Giulio II. Ma Raffaello sa, che “tutto l’universo visibile è una questione di proporzioni – commenta Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani dal 2008 al 2017 – , e la biblioteca di un umanista come il Papa, doveva avere settori dedicati alla filosofia e alle scienze, alla teologia e ai padri della chiesa, al diritto e infine alla bellezza.

Mai più nella storia della chiesa di Roma la riflessione sull’uomo ha raggiunto un punto altrettanto alto”. Nella Scuola di Atene, Raffaello compie qualcosa di grandioso: illustra il linguaggio della conoscenza quale unica maniera per uscire dall’ombra, rappresenta i filosofi del mondo antico con figure arrovellate, alcune dai piedi scalzi, dalle vesti coloratissime, quasi sorrette da un afflato di pensiero.

Ritrae al centro Platone e Aristotele, i misuratori del cielo e della terra Zoroastro e Tolomeo, l’arabo Averroè, il matematico Euclide, l’ateo Epicuro e il nichilista Diogene; omaggia Michelangelo, intanto che lui, in basso sulla destra, si ritrae in un angolo, guardingo.

La Scuola di Atene, la Stanza della Segnatura (1509 – 1511, affresco)

Il contesto della fioritura di tutte le arti nutre per osmosi i corpi raffigurati da Raffaello, così come il tormento e la forza gravano le forme di Michelangelo. Se Leonardo fa di tutto per essere arcano con il suo concetto di pittura, Michelangelo vive il disagio dell’artista moderno, quella malinconia Saturnale che ha turbato le vite di artisti come Vincent Van Gogh, mentre il giovane Raffaello, seppur non esente da vizi, esprime i valori più alti del rinascimento, in una sfida continua con la natura creatrice.


Qui giace quel Raffaello da cui, fin che visse, Madre Natura temette di esser vinta da lui e quando morì, temette di morire con lui

Epitaffio di Raffaello, Pantheon


Le abitudini di vita, a Roma, del giovane Raffaello, sono alquanto discutibili. Le donne non possono fare a meno di amarlo. Margherita, la figlia di un fornaio trasteverino, fu la sua amante e modella prediletta, passata alla storia come La Fornarina. La stessa grazia di Margherita verrà riprodotta nei volti di molte Madonne dipinte dall’artista di Urbino.

Raffaello, La Fornarina (1518 – 1519 circa, olio su tavola, 85 x 60 cm)
La stella del «divin pittore»

Malgrado non abbia la fama di Leonardo o Michelangelo, continua a brillare, instancabile, la sua stella. Del pittore incantano i suoi modi aggraziati, lo spirito “dell’uomo virtuoso”, quell’arte e quella vita “buona e bella” che ha reso grande l’Italia del 1500. In lui la lezione di Piero della Francesca e Pietro Perugino si fondono nella visione umanistica, quale trionfo dell’ordine e della tranquillità delle città progettate per vivere in armonia, e con la tradizione cristiana. Per Vasilij Rozanov, lo scrittore di Foglie cadute, vedere Raffaello significa scoprire che il «corpo è l’origine dello spirito», o percepire che «Dio è dentro l’uomo», come spiega Vittorio Sgarbi.

Lo Sposalizio della Vergine (1504, olio su tavola, 1,70×1,17 cm)

Ma Raffaello non si accontenta di rinnovare il divino solo nelle forme architettoniche o corporee. È innegabile che la prospettiva di Raffaello si stagli verso un orizzonte dischiuso, uno sguardo che spazia a perdita d’occhio su fondali deliziosi, ne è un esempio la Madonna del cardellino; mondi illuminati, spazi aperti, dichiaratamente antitetici a quelli medioevali, che ritroviamo anche nella Madonna Conestabile o in altri ritratti di Madonne con il Bambino.

Nell’estetica del pittore urbinate non c’è alcun cenno di sconforto, bensì una mano protesa a uno spazio celeste in cui il flagello della decadenza lascia il posto ad un campo profondo, avvolgente, che diventa lo scenario in cui ambientare sodalizi perfetti, come lo Sposalizio della Vergine, evento immerso in un apparato scenico dove nulla di male potrà mai accadere

La melodia di Raffaello sollecita chi osserva a seguire la bellezza quale viatico di valori. Nel modo nuovo di vedere le cose dell’artista vi è il ritorno a un universo di luce, di pace e giustizia; per il giovane pittore nulla è perduto, ma non perdura nel tempo senza virtù.

Amorini, particolare della Madonna Sistina (1513-1514 circa, olio su tela, 265×196 cm)
Rino Terracciano

giornalista praticante e curatore d'arte. Scrive per Masterx-IULM. Ha lavorato e collaborato con Accademie e Istituzioni museali come Académie de France à Rome, Accademia di Francia in Roma, Villa Medici; Museo Bilotti - Aranciera di Villa Borghese, Museo Archivio Laboratorio per le Arti Contemporanee Hermann Nitsch, Napoli.

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