Perché dopo 80 anni abbiamo ancora bisogno di Virginia Woolf

«Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi».

Queste sono le ultime parole di Virginia Woolf, in chiusura di una lettera destinata a suo marito Leonard.

E così, il 28 marzo 1941, si incamminò lungo il fiume Ouse, meta di molte delle sue passeggiate attorno alla Monk’s House. Passo dopo passo. Riempiendosi le tasche di sassi. Camminò, e poi si lanciò nell’acqua.
Per capire meglio il senso potremmo forse tornare ad un’altra citazione di Woolf, sempre dispersa tra le sue lettere: «Amo questo paesaggio alluvionato, quest’acqua selvaggia, il suo moto invasivo, i grandi tronchi che galleggiano e i grandi stormi di uccelli neri».

Aveva dunque scelto così, la sua fine, irrimediabilmente succube di un male interiore.
Poi il suo corpo fu ritrovato il 18 aprile, con indosso una pelliccia e l’orologio al polso fermo alle 11.45. Fu un gruppo di ragazzi ad avvistarlo, per caso, in gita sul fiume.

La lettera che Virginia Woolf lasciò al marito Leonard Woolf appena prima di togliersi la vita
Il femminismo e l’eredità di Virginia Woolf

Sono passati 80 anni da quel giorno, e Virginia Woolf resta un faro nella storia del Novecento. Intellettuali, artisti, uomini di cultura, si riunivano nella sua casa che diventò il centro del Bloomsbury Group. Il gruppo esprimeva le nuove tendenze dei primi anni del XX secolo, contrapponendosi al moralismo vittoriano. La scrittrice fu sempre mossa da stimoli intellettuali tanto che, nel 1917, decise assieme al marito Leonard di fondare una casa editrice: la Hogart Press. Sotto questo timbro furono pubblicate grandi firme come Freud, Joyce, Svevo e la stessa Woolf. Non sono bastati ottant’anni per cancellare il contributo di Virginia -tuttora attuale- al femminismo e alla letteratura: i suoi romanzi e pamphlet sono portatori di idee rivoluzionarie per la sua epoca, che vengono riprese anche oggi da personaggi influenti per sensibilizzare le persone sul tema della condizione della donna nella società e della monetizzazione del suo contributo all’interno di essa. 

«Il debito che il femminismo moderno ha nei confronti di Virginia Woolf è immenso. Virginia Woolf è stata proprio una madre del pensiero della differenza che ha caratterizzato la seconda ondata del femminismo in Italia, nonostante fosse vissuta molto prima di quel periodo», a sostenerlo è Elisa Bolchi, ricercatrice e fondatrice insieme a Nadia Fusini della Italian Virginia Woolf Society, nata l’1 febbraio del 2017, con sede legale in piazza della Resistenza a Sesto San Giovanni, e unica in Italia ad essere dedicata interamente alle opere di Woolf e al suo pensiero. «Le donne non devono somigliare agli uomini, devono trovare forza nella loro diversità e nella loro estraneità a quelli che sono i falsi legami degli uomini. Questo è un pensiero modernissimo, di cui abbiamo tuttora bisogno. A volte entro in contatto con il pensiero di giovani femministe, che io adoro ascoltare, e mi rendo conto che portano avanti alcune idee senza quasi sapere che erano già presenti nelle opere e nel pensiero di Virginia Woolf. Mi hanno definita “la donna cerniera” per la mia tendenza a conciliare il pensiero femminista contemporaneo con quello di Virginia Woolf».

 «Quasi cento anni sono passati da quando nel 1928 Woolf in A Room of One’s Own, tradotto in italiano come Una stanza tutta per sé, domandava ai suoi lettori come sarebbe stata la “womanhood”, ovvero l’essere donna, in futuro. Non solo l’essere donna è ancora una condizione da proteggere tuttora, in più quello che è stato fatto a livello emancipazionista ha solo tolto le protezioni senza di fatto ripensare le società in veste di società della cura, ad esempio» ha poi proseguito Bolchi.

«Woolf propone di provare a quantificare quanto vale il contributo della donna nella società. Una donna che è madre, che è nonna, che si prende cura degli anziani; la cura è sempre stata un appannaggio femminile, proviamo a monetizzare il valore di questo lavoro. Woolf sostiene che il denaro dà dignità a quello che altrimenti sarebbe frivolo se non fosse pagato. Questo è un pensiero che tutt’oggi si fatica ancora a portare in Parlamento, soprattutto durante l’epoca del Covid-19. Mentre nel pamphlet  Three Guineas, tradotto in italiano Le Tre Ghinee, di Virginia Woolf questo era già stato scritto. Con il mio progetto di ricerca finanziato dall’Unione Europea sto organizzando dei workshop nelle quinte liceo per trattare i temi delle opere di Virginia Woolf nelle classi. Quello che ho notato è che i ragazzi di 18/19 anni di oggi hanno già il tema della differenza di genere ben radicato in loro. Utilizzerò le idee di Virginia Woolf per spiegare loro la differenza tra uguaglianza ed equità e sull’importanza di non schierarsi l’uno contro l’altro,  ma di fare squadra e di cercare la parte femminile e quella maschile dentro ognuno di noi».

L’interno della Monk’s house, la casa di campagna di Virginia e Leonard Woolf
L’Italian Virginia Woolf Society e l’idea di comunità

L’Italian Virginia Woolf Society è un’associazione culturale che ha uno stampo completamente diverso dal centro culturale Virginia Woolf Italia a Roma, che era un centro femminista che è stato chiuso, dall’Associazione Orlando di Bologna e dall’Associazione Virginia Woolf di Padova. Fondata nel 2017, l’idea di una Italian Virginia Woolf Society ha iniziato a prendere forma nella mente delle due fondatrici già nel 2015, quando, durante un convegno della Société d’Etudes Woolfiennes, i membri dell’associazione francese hanno consigliato a Bolchi e Fusini di creare un corrispettivo italiano. «Finalmente ho trovato qualcuno che parla la mia lingua», «Finalmente ho capito che non sono l’unica seguace di Woolf» sono solo due dei tanti commenti che i membri della comunità woolfiana hanno riferito a Bolchi dopo la creazione dell’associazione milanese. L’Italian Virginia Woolf Society è una comunità aperta, che permette a chiunque sia appassionato da tempo e a chiunque voglia appassionarsi dell’arte e del pensiero di Woolf di potersi avvicinare con facilità.
«Prima dell’avvento della pandemia di Covid-19 organizzavamo molti eventi dal vivo, a cui partecipavano persone da tutta Italia, per questo motivo avevamo poi deciso di organizzare incontri anche a Roma per venire incontro anche a chi veniva dalle regioni meridionali e avrebbe avuto difficoltà a venire fino a Milano» ha spiegato Bolchi.

Dall’inizio della pandemia gli incontri della Society sono avvenuti solo online attraverso alcune dirette su Youtube, accessibili tramite un link condiviso sulla pagina Facebook e sull’account Instagram dell’associazione. «Con la fine della pandemia e il ritorno alla normalità questi incontri torneranno a essere dal vivo» ha assicurato la ricercatrice, aggiungendo che anche grazie all’impossibilità di ritrovarsi dal vivo, «le dirette su Youtube hanno permesso a molte persone di partecipare agli incontri con più facilità, senza doversi spostare. Per questa ragione gli appuntamenti online della comunità verranno mantenuti anche con il miglioramento della situazione pandemica.

Nel primo episodio della rubrica “Parola di Woolf” alcuni componenti della Society si sono focalizzati sul concetto di comunità così come viene rappresentato nelle opere di Virginia Woolf. In particolare, la riunione si è incentrata sulla lettura di alcuni passi del romanzo To The Lighthouse, tradotto in italiano come Al Faro. La protagonista è Mrs Ramsay, la quale grazie al  ruolo sociale che ricopre, riesce a creare una comunità organizzando una cena in cui partecipano persone di genere diverso e di estrazione sociale differente. Lily, la controparte più giovane della signora Ramsay, e l’altro punto di vista dal quale viene raccontata la cena, rappresenta Virginia stessa, ovvero la femminista che riconosce il suo ruolo nella società e che commette un matricidio: la donna non deve più essere “l’angelo del focolare”, quell’immagine del genere femminile che Virginia Woolf riteneva superata già nella prima metà del 900. 

Virginia Woolf e le donne del Rojava 

Potenti, tutt’altro che inattuali. Così possono essere definite le parole di Virginia Woolf. Tanto veritiere da prendere vita quando la situazione è propizia. Elisa Bolchi, ce ne ha parlato, in riferimento alla realtà delle donne in Rojava. «Ci sono dei punti in comune tra quello che sostiene Virginia Woolf nel pamphlet Three Guineas e l’azione delle donne rivoluzionarie nel Rojava».

Il Rojava è una confederazione di Stati della Siria del Nord-Est, non riconosciuta ufficialmente dal governo siriano. Nel 2013, l’Unità di Protezione delle Donne ha iniziato ad organizzarsi, diventando simbolo di resistenza. Sono moltissime le donne che ogni giorno cercano di difendere il territorio in cui vivono, i loro diritti e di combattere il fondamentalismo islamico. In medio Oriente, dove ogni elemento della vita femminile è dominato dal patriarcato, a livello culturale, politico ed istituzionale, la scelta è una sola: l’autodifesa. Per questo si parla di “Teoria della rosa”: queste donne, sviluppano sistemi di autodifesa, proprio come fanno le rose con le loro spine.

«Con ciò non voglio dimostrare che le donne del Rojava si sono ispirate a Virginia Woolf. Anzi io credo che non l’abbiano neppure letta» continua Bolchi «Ma questo non toglie importanza alla vicenda». Lotta alla concezione della società patriarcale e critica profonda al concetto di patria, fondata per mandare i giovani in guerra: questi sono tratti in comune con le parole di Woolf nel suo saggio.

All’apparenza sembrerebbe però una contraddizione. Three Guineas è un inno al pacifismo; le donne del Rojava sono rivoluzionarie con armi alla mano. «Loro vedono le bombe sopra la testa. Il pacifismo è un privilegio che non si possono concedere» sostiene Elisa Bolchi «ma lo scopo di queste donne non è distruggere il nemico. É forzarlo a smettere di fare la guerra». Virginia Woolf scrive proprio della necessità di vedere la guerra in modo diverso: cambiare le intenzioni del nemico, senza annientarlo.

La realtà del Rojava appare espressione di come le teorie di Woolf, all’apparenza astratte e quasi folli, possano prendere corpo e vita.

Lo stile iconico di Virginia Woolf
Le donne e il cambiamento

«Con una perorazione» così Virginia Woolf, in A Room of one’s own, sostiene che deve terminare un discorso. E quale può essere, se non quella scritta dall’autrice stessa. Bisogna sempre citare Virginia Woolf.

Il mondo è effettivamente in fermento, sta cambiando, ma ancora porta con sé una concezione patriarcale. Questo processo di cambiamento, lento, va incentivato e sostenuto.

«Se guarderemo in faccia il fatto – perché è un fatto – che non c’è neanche un braccio al quale appoggiarci ma che dobbiamo camminare da sole e dobbiamo entrare in rapporto con il mondo della realtà e non soltanto con il mondo degli uomini e delle donne, allora si presenterà l’opportunità, e quella poetessa morta, che era la sorella di Shakespeare, riprenderà quel corpo che tante volte ha dovuto abbandonare. Prendendo vita dalla vita di tutte le sconosciute che l’avevano preceduta, come suo fratello aveva fatto prima di lei, lei nascerà. Ma che lei possa nascere senza quella preparazione, senza quello sforzo da parte nostra, senza la precisa convinzione che una volta rinata le sarà possibile vivere e scrivere la sua poesia, è una cosa che davvero non possiamo aspettarci perché sarebbe impossibile. Ma io sono convinta che lei verrà, se lavoreremo per lei, e che lavorare così, anche se in povertà e nell’oscurità, vale certamente la pena».

Con questo passo Virginia  Woolf conclude A Room of One’s Own e ci vuole comunicare che non importa quanto tempo ci vorrà per sconfiggere il patriarcato, l’importante è che si vada in questa direzione.

Chiara Zennaro

Sono laureata in Lingua e Letteratura russa e inglese. Ho conseguito uno stage presso la redazione milanese de Il Giorno, e sono tuttora una collaboratrice. Twitter: @zennaro_chiara

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