La 91esima edizione degli Oscar è la prova tangibile che Hollywood sta cambiando. Più di ogni altro aspetto, al centro è stata posta l’attenzione alla diversità e lo dimostra il numero di vincitori afro-americani, di gran lunga superiore rispetto agli scorsi anni, perfino le tante donne a ricevere una statuetta, anche in categorie tecniche. Come Ruth Carter e Hannah Beachler, rispettivamente costumista e scenografa di Black Panther.
Lo spettacolo invece ha lasciato un po’ a desiderare, come d’altronde avevano dato ad intendere le premesse. Dopo lo scandalo Kevin Hart (che ricordiamo, si è ritirato dal presentare la cerimonia a causa di alcuni suoi tweet scritti diversi anni fa di stampo omofobo che hanno fatto il giro del web), non c’era nessun conduttore. Un aspetto che ha velocizzato la pratica, essendo finito lo show più di un’ora prima del previsto, che ha forse peccato un po’ di comicità. Tra i vari momenti di intrattenimento infatti sono pochi quelli memorabili, ma di sicuro il primo della lista è l’inizio di serata, che non apre quindi con il classico monologo del presentatore. Quest’anno il Dolby Theatre si accende con un’esibizione bomba dei Queen e Adam Lambert, in omaggio al successo della pellicola Bohemian Rapsody. Sul palco appaiono Brian May e Roger Taylor a intonare il ritmo di We Will Rock You e poi We Are The Champions con alle spalle un’immagine di Freddy Mercury sul maxischermo. Il pubblico in delirio.
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Il premio per miglior film va, a sorpresa, a Green Book. La pellicola racconta la storia di un’amicizia tra un pianista di colore e il suo autista italoamericano negli Stati Uniti degli anni Sessanta. Intorno al lungometraggio, diretto da Peter Farrelly, si sono alzate diverse polemiche. Alcune proprio riguardo al film: c’è infatti chi lo ha trovato una copia, neanche molto velata, di A spasso con Daisy del 1989, dove Morgan Freeman era l’autista di una ricca signora bianca; c’è anche chi lo ha trovato piuttosto didascalico e poco originale rispetto ad altre pellicole in gara, come Roma di Alfonso Cuarón. Altre critiche invece riguardano proprio il tema su cui si basa la storia, il razzismo: la più popolare è quella secondo cui la comunità afro-americana viene qua vista secondo una serie di stereotipi che il cinema ha abbandonato da tempo. Secondo accuse piuttosto severe, sarebbe una teoria confermata dal fatto che i produttori saliti sul palco a ritirare la statuetta fossero tutti bianchi. Lo stesso Spike Lee, regista di BlackKklansman, anch’esso candidato per la categoria miglior film, ha tentato di lasciare la sala al momento della premiazione.
Non è comunque della stessa opinione la commissione dell’Academy, che oltre a riconoscerlo come il miglior lungometraggio in gara in questa edizione, ha riconosciuto quella di Mahershala Ali come la migliore interpretazione da attore non protagonista.
Dopo un Golden Globe, un premio BAFTA e uno SAGAwards, ecco che per Rami Malek, attore statunitense di 37 anni, arriva anche il primo premio Oscar come miglior attore protagonista grazie alla sua magistrale interpretazione del celebre Freddy Mercury nella pellicola Bohemian Rapsody. Stampa un bacio a Lucy Boynton, sua co-star e fidanzata, e sale sul palco. «Grazie ai Queen per avermi concesso di essere una piccola parte del loro patrimonio, vi sarò sempre debitore. Abbiamo fatto un film su un uomo gay, un immigrato che ha vissuto la sua vita essendo sempre se stesso, stare qui è la prova che abbiamo bisogno di queste storie».
Vittoria inaspettata per Olivia Colman, attrice protagonista di La Favorita (la papabile vincitrice infatti era Glenn Close per The Wife, che finora ha ricevuto ben sette nomination ma mai una statuetta), che prima di salire sul palco ha un leggero mancamento, mentre il regista Yorgos Lanthimos la bacia ed Emma Stone non riesce a trattenere le lacrime per la gioia. Il suo è stato un discorso improvvisato, ma il più sincero e divertente di sempre: «È davvero molto stressante, mi viene da ridere… ho vinto L’Oscar». Ha ringraziato molte persone, compresa Glenn Close con la quale si è praticamente scusata: «sei stata il mio idolo per un sacco di tempo, non volevo che andasse così».
Il primo premio della serata viene dato a Regina King come attrice non protagonista nel film Se la strada potesse parlare. L’attrice, alla sua prima nomination e alla sua prima statuetta, sale sul palco del Dolby Teathre visibilmente emozionata. Parte molto attiva del movimento Metoo, nel suo discorso ricorda: «La mia famiglia nera mi ha sempre aiutato ma il messaggio di questo film va al di là del colore della pelle. Metoo è andato oltre il suo primo obiettivo, creando la strada alle donne perché vengano ascoltate, non solo quando vengono molestate ma anche marginalizzate».
In questa edizione degli Academy Awards trionfa soprattutto il Messico. La pellicola Roma di Alfonso Cuarón infatti si aggiudica tre statuette per miglior regia, miglior fotografia (il primo regista a vincere questo premio) e miglior film straniero. Dopo aver trionfato la prima volta nel 2014 con Gravity, nel suo discorso di ringraziamento ha ricordato le difficili condizioni delle lavoratrici: «Grazie al Messico per essere vento nelle mie vele. Vi ringrazio per aver riconosciuto un film incentrato su una donna immigrata – soltanto una delle 70 milioni di donne che lavorano nel mondo senza diritti».
E poi, il momento più atteso di tutta la serata. Quello in cui finalmente partono le note di Shallow e Lady Gaga e Bradley Cooper salgono sul palco direttamente dal pubblico. Lei si siede al pianoforte, lui al microfono, nessuno dei due stacca mai gli occhi l’uno dall’altra. Lei si scatena, lui si siede accanto e subito scatta la stessa magia portata sul grande schermo dal film A star is born. Dopo due Grammy e un Golden Globe, la cantante e attrice riceve anche, alla sua prima candidatura, il suo primo premio Oscar per miglior canzone originale e il suo discorso entra tra i momenti più memorabili della cerimonia. Commossa e con le lacrime agli occhi afferma: «Se siete a casa seduti sul divano e state guardando questo, sappiate che è frutto di un duro lavoro. Non si tratta solo di vincere. Il punto è: non arrendetevi. Se avete un sogno, combattete per realizzarlo. Non contate quante volte venite rifiutati o cadete, ma quante volte vi siete rialzati in piedi con coraggio e siete andati avanti». E così anche Mark Ronson, co-autore del brano, si inginocchia a Lady Gaga.
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