Mastrantonio: l’intellettuale oggi è un sito di debunking

Nel suo libro “Gli intellettuali del piffero” (Marsilio, 2011) smascherava i furbi storytellers, gli arlecchini del pensiero, i cattivi maestri. Senza peli sulla penna dà a Roberto Saviano del pifferaio magico, quando riduce tutti i suoi avversari a pseudo-camorristi, a Gianni Vattimo del maiale orwelliano quando difende il chavismo in Venezuela, e in senso più positivo definisce Valerio Magrelli  grillo parlante e Antonio Pascale intellettuale di servizio. Analizza i disturbi cognitivi che hanno infettato questa categoria: la schizofrenia morale, la cassandropausa, la demenza storiografica, il patriottismo merdaiolo, la satiriasi giornalistica, la cleptomania.

Sull’identikit dell’intellettuale contemporaneo, abbiamo intervistato Luca Mastrantonio, vicecaporedattore alla redazione di «7» del Corriere della Sera e autore del recente libro “Emulazioni pericolose”, edito da Einaudi. 

Luca Mastrantonio, classe 1979

 

 

 

 

 

 

 

 

Mastrantonio, chi è l’intellettuale?

«Riprendendo la definizione che si attribuì Pier Paolo Pasolini sulle pagine del Corriere della Sera: una persona che legge tra le righe, oltre l’apparenza; mette assieme prove e indizi della realtà, creando dei collegamenti che ad altri sfuggono, immaginando quello che manca quando serve a completare il quadro. Ma a nostro rischio e pericolo».

Esiste ancora?

«Oggi gli intellettuali sono l’ombra di dinosauri già estinti. Gli influencer hanno preso il loro posto: conta l’influenza che hai sugli altri, non la tua formazione, né il tuo curriculum, né la tua capacità intellettiva. C’erano intellettuali tossici come i peggiori influencer di oggi, e di certo oggi c’è chi esercita una influenza intellettuale anche positiva. Ma il consenso produce conformismo e oggi ci sono molti strumenti di produzione di questo sui social».

Chiara Ferragni quindi avrebbero sostituito Pier Paolo Pasolini?

«Non la Ferragni, che è molto attiva sui consumi, è una testimonial di se stessa e del suo successo personale ha fatto un brand. Io penso più a certi rapper di successo, come ad esempio J-ax che parla in maniera approssimativa di politica in tv. Dove viene invitato come fosse Massimo Cacciari. Il problema ovviamente è che quello dell’influencer è un ruolo totalmente commerciale e quindi di parte. Oggi, con una politica di destra dai toni forti e volgari e un pensiero dominante conformista e confuso, l’intellettuale per acquisire notorietà deve avere una certa rete, una buona abilità social, e deve assolutamente schierarsi. La sinistra è sparita o si è riconvertita, basta vedere solo i danni che ha prodotto nel mondo culturale».

Chi è l’intellettuale di maggior successo attualmente? 

«Direi Diego Fusaro, nato da un’area di sinistra – marxista e che invece adesso è un entusiasta del sovranismo. Ho l’impressione che Fusaro sia la miglior incarnazione del “pifferaio di Hamelin”. Mi spiego meglio: riprendendo il paradigmatico dibattito tra Elio VittoriniPalmiro Togliatti sul ruolo dell’intellettuale, il primo sosteneva che questo non doveva suonare il piffero alla rivoluzione, mentre per Togliatti, al contrario, l’intellettuale doveva essere organico al partito. Oggi, senza ombra di dubbio, ci sono intellettuali – o presunti tali –  che suonano il piffero al governo del cambiamento. E Diego Fusaro è uno di questi. E si comporta come la Ferragni, annunciando via social che diventerà padre». 

E invece uno che renda merito al suo nome? 

«Si fa fatica a trovare un intellettuale che porti avanti bene il suo mandato. A pochi riconosco la capacità di far aprire gli occhi, a tanti invece quella di cavarli fuori alle persone». 

 Non c’è quindi un intellettuale della contemporaneità?

«L’entità è meno singola e sempre più collettiva. Oggi il ruolo dell’intellettuale è svolto nel modo migliore dai siti di debunking e di fact-cheking: gruppi di lavoro che hanno l’ingrato compito di smentire le bufale e disinnescare le fake news. Nell’ambito politico, ad esempio, apprezzo molto “pagella politica”. Alcune star reggono. Alessandro Baricco, è un intellettuale attivo e influente uscito con le ossa rotte dal renzismo, ma ha ancora una muscolatura reattiva e una mente attenta, penso al suo ultimo ottimo saggio; anche se io ho un’idea meno “imprenditoriale” di questo ruolo. O penso all’articolo uscito su Repubblica riguardo al fallimento dell’élite. Coraggioso e furbo. La sua analisi, ancorché vanitosa e tacciabile di un certo opportunismo, è molto interessante. Baricco dimostra di essere abile nel leggere la contemporaneità ed è in grado di porla bene nei termini. È molto rapido a formulare categorie e pensieri. Ma forse ne ho trovato uno di cui si sente la mancanza. Perché purtroppo è scomparso giovane. Il migliore della nostra generazione: Alessandro Leogrande. Scriveva, lavorava molto sul territorio, non si faceva prendere dalla polemica e non cercava scorciatoie nelle risposte facili».

Può essere libero da condizionamenti un intellettuale che fa del suo ruolo una professione, da cui quindi dipende economicamente? 

«No, non può esserlo. I chierici chi li paga oggi? In passato gli intellettuali erano condizionati dall’ideologia ed era difficile esserne liberi. Oggi sono più influenzati dalla situazione materiale rispetto a ieri, perché non ci sono più ideali da seguire, non esistono più narrazioni. Penso che siamo tutti influenzabili e influenzati e questo è da accettare. La vera sfida è quella di mantenere una certa capacità di giudizio libero, di spirito critico, di consapevolezza e responsabilità. Non bisogna credersi liberi a priori e diffido da chi lo strombazza, bisogna invece liberarsi sempre dai condizionamenti».

Crede che l’indipendenza intellettuale sia ancora possibile? 

«Sì, anche se è difficile. Si può essere liberi, rinunciando a volte a dei favori che si possono ottenere. Bisogna avere spalle larghe o un buon patrimonio; oppure crederci a tal punto che si è disposti anche a sacrificare la notorietà per le proprie idee». 

Qual è il rapporto tra intellettuali e i nuovi media

«La tv una volta era più centrale e anche i giornali pesavano di più. Per raggiungerli, se non c’era abbastanza autorevolezza o notorietà, serviva una provocazione molto forte, ma oggi non basta. Ci vuole uno staff che ti segua sui social, come ben sanno i politici e gli influencer, e che catturi i followers e gli hashtag del momento. In questo modo però si finisce con l’essere schiavi dell’agenda dettata dall’algoritmo. Oggi l’intellettuale dovrebbe avere il coraggio di avere una personale agenda di priorità, cosa ancora più difficile nella società delle reti, dove l’interesse del pubblico influenza ciò che è “trend” e decide il “topic” del giorno. Prima bisognava accedere ai mezzi di comunicazione di massa, quindi servivano rapporti personali, che poteva anche significare sottostare a una certa ideologia. Ma oggi che i mezzi non sono più di massa ma “di moltitudini”, “rizomatici”, si deve fare i conti con la scarsa attenzione e gli interessi degli altri. Penso a Adoardo Albinati che non è caduto nelle trappole del dibattito via social per una sua riflessione pubblica sulle navi delle ong, ma ha scritto un libro sul tema. Una scelta in controtendenza rispetto all’opinionismo usa e getta».

L’intellettuale è un attore sociale senza futuro? 

«No e deve continuare a svolgere il suo ruolo come ha sempre fatto: nel rigore e nell’onestà intellettuale. Credo che ognuno di noi possa contribuire ad alzare il livello intellettivo, a creare un grande e alto “intellettuale”. Oggi c’è un’irresponsabilità diffusa in tutto quello che facciamo e dovremmo cercare di correggerci e di pretendere sempre il meglio da noi e dagli altri».

Sofia Francioni

Laureata in Lettere Moderne e cresciuta dentro la redazione della cronaca della Nazione di Firenze, vorrebbe diventare una cronista "sconosciuta e felice"

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