Sotto la maschera:
da Dalì a Joker, i simboli
della rivolta globale

Gli anni Dieci del Ventunesimo secolo sono stati caratterizzati da una serie di rivolte e di sommosse che hanno coinvolto Paesi in tutto il mondo. Alcuni di questi episodi hanno visto un’evoluzione dell’estetica del conflitto che ha chiamato in causa alcune maschere della cultura popolare. A inaugurare questa sorta di simbologia è stata quella di V per Vendetta nata dal personaggio storico di Guy Fawkes, il militare e cospiratore britannico e promotore della “congiura delle polveri”, l’attentato – fallito – che avrebbe fatto saltare in aria la Camera dei Lord con dentro il re Giacomo I e i deputati. Più recentemente a collocarsi in questo filone estetico sono state la maschera di Dalì, resa celebre dalla serie La Casa di Carta, e quella di Joker, tornata alla ribalta dopo l’omonimo film di Todd Phillips.

«Nascondi ciò che sono e aiutami a trovare la maschera più adatta alle mie intenzioni»

Il 21 gennaio 2008 su YouTube compare un video intitolato Messaggio per Scientology. La voce sintetica avverte i membri della setta: «Salve Scientology, siamo Anonymous. Negli anni vi abbiamo osservato da vicino. […] Per il bene dei vostri seguaci, per il bene dell’umanità vi cacceremo da internet e smantelleremo la Chiesa di Scientology nella sua forma attuale».

La chiamata alle armi del gruppo di hacktivisti risale al 10 febbraio dello stesso anno. Quel giorno, migliaia di persone in tutto il mondo si presentano davanti alle sedi di Scientology per protestare. Una di loro, negli Stati Uniti, è fotografata mentre tiene in mano una telecamerina e un cartello con la scritta «Chiedimi perché indosso una maschera». Attorno a lui la indossano tutti: è la maschera del cospiratore Guy Fawkes, disegnata dal fumettista David Lloyd in V per Vendetta.

10 febbraio 2008. Anonymous protesta davanti alle sedi di Scientology

Dal fumetto al film di James McTeigue, la maschera di V diventa sempre più famosa, tanto da entrare in commercio ed essere utilizzata come simbolo di protesta. Nel 2011 compare prima nelle mobilitazioni contro l’austerity in Wisconsin, poi Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, allora all’apice della popolarità, sfoggia la maschera di V durante la contestazione di Occupy London Stock Exchange.

Il volto stilizzato di Guy Fawkes non si limita al mondo anglosassone. In Italia compare nelle piazze del popolo viola, della sinistra radicale, del M5S, dello Zoo di 105 e persino nelle immagini della “controinformazione” complottista. In Tunisia, Egitto, Bahrein nel corso della primavera araba. In Brasile durante le proteste alla vigilia dei mondiali di calcio del 2014.

V per Vendetta diventa quindi simbolo di una ribellione generalizzata. «La maschera di Guy Fawkes è ormai un marchio, un simbolo da usare contro la tirannia – ha affermato David Lloyd in un’intervista alla BBC – e sono molto felice che le persone la usino. È decisamente unico che un’icona della cultura popolare sia usata in questo modo».

«Niente andrà male, Andrés. Siamo la resistenza, no?»

L’8 luglio del 2019 il Centro de Periodismo Investigativo di Porto Rico diffonde centinaia di pagine di chat private su Telegram, dove il governatore Ricardo Rosselló ironizza sull’uragano Maria del 2017 e si adopera in commenti misogini e omofobi. Nasce così un movimento di protesta che invada la capitale San Juan. Si parla di un milione di persone. Tra la folla, quattro manifestanti posano davanti agli obiettivi di cellulari e macchine fotografiche. Indossano una tuta rossa e la maschera di Salvador Dalì. Una di loro tiene tra le mani un cartello che inneggia alla resistenza.

8 luglio 2019. Proteste contro il governatore Ricardo Rosselló a San Juan

Il richiamo alla serie La Casa di Carta è esplicito. L’abbigliamento e le maschere sono inconfondibili, il riferimento alla resistenza pure. Le imprese della banda del “Professore” sono arrivate fino all’Italia e con loro anche le maschere di Dalì. In vista del primo maggio 2018 la simbologia della serie spagnola si è riversata anche nei volantini distribuiti dal centro sociale LuMe di Milano. «Penso che La Casa di Carta – ha detto uno dei manifestanti – metta in risalto alcune questioni che sono estremamente rilevanti per l’invenzione di un immaginario: quello della ridistribuzione della ricchezza, quello del consenso e quello della creazione di un’estetica del conflitto».

La maschera di Dalì compare ancora in Francia in alcuni cortei del movimento di studenti e ferrovieri nel maggio del 2018 e più recentemente nelle proteste contro la riforma delle pensioni; in Venezuela nel 2019 contro Maduro e nello stesso anno anche in Cile nelle manifestazioni contro il governo.  Si tratta insomma, di una sorte di passaggio di consegne con la maschera di Guy Fawkes.

«Riguarda solo me o stanno tutti impazzendo?»

Nel 2019 per far fronte a una grave crisi economica, il governo libanese ha pensato di tassare i servizi essenziali, tra cui le chiamate online con WhatsApp, Messenger e Facetime. Subito la gente ha iniziato a protestare riempiendo le strade di diverse città. Per correre ai ripari, l’esecutivo di Saad al–Hariri ha ritirato la tassa. Ma questo non è bastato. Centinaia di migliaia di persone sono tornate in piazza nei giorni successivi: «Non siamo qui per WhastApp – ha detto un manifestante -, siamo qui per tutto: benzina, cibo, pane. Tutto». Sono stati giorni di scontri con la polizia e da Beirut sono arrivate in Europa e in Italia immagini di barricate in fiamme. In una di queste foto si vede una donna che tiene sopra la testa la bandiera del Libano. Indossa una maschera. Colpisce il sorriso. È quello grande, rosso e sinistro di Joker.

Nel 2019 il popolo protesta contro le nuove tasse in Libano

Ancor prima che il film di Todd Phillipps uscisse nelle sale, attorno alla pellicola si era scatenata un’ondata di panico morale. Il timore era quello che la storia di Joker potesse ispirare una forma di violenza da parte degli incel, acronimo che designa i cosiddetti involuntary celibates, una sottocultura online misogina e violenta che si è resa responsabile di alcune stragi negli Stati Uniti e in Canada.

Quando all’inizio dell’ottobre 2019 le persone hanno potuto vedere il film in sala, non si è verificato nulla di tutto ciò. Contrariamente alle previsioni, a trarre ispirazione dalla pellicola di Todd Phillipps non sono stati né gli incel né i suprematisti bianchi, ma i manifestanti di tutto il mondo. Nello stesso periodo in cui il film è uscito nei cinema è scoppiato un ciclo di lotte in diversi Paesi (Hong Kong, Cile, Iraq e Libano).

«Il film di Philipps ha un potere evocativo molto forte», ha commentato lo storico francese William Blanc a France24, perché «echeggia una forma di protesta contro un sistema politico ritenuto inflessibile e che non ascolta le persone».

In Libano lo street artist Mohamed Kabbani, autore di un famoso murales a Beirut con il personaggio e una molotov, ha dichiarato alla CNN che «Joker siamo noi, e Beirut è la nuova Gotham City». A Hong Kong, invece, la maschera è stata usata per sfidare una legge emergenziale che punisce ogni tipo di travisamento. Una mossa controversa, ma non inedita: anche le maschere di V per Vendetta e di Dalì sono state oggetto di provvedimenti simili nel corso degli ultimi anni.

I governi hanno dunque imparato a confrontarsi non solo con la rabbia dei cittadini, ma anche con la loro simbologia. In molte occasioni le maschere sono state messe al bando in modo tale da evitare che i cittadini non siano riconoscibili e per mettere fuori legge il dissenso. Ma il timore più importante dei governi è che questi simboli possano creare un senso di solidarietà e identità collettiva diffusa.

Se gli anni Dieci del Ventunesimo secolo sono stati infuocati, il prossimo decennio promette di essere ancora più instabile. Con molta probabilità continueranno gli scontri e ne nasceranno di nuovi e Guy Fawkes, Dalì e Joker saranno ancora in prima linea, in attesa di un’altra maschera, simbolo di rivolta e unione popolare, che si unisca a loro.

Martina Soligo

26 anni, da Treviso a Milano per seguire il mio sogno. Laureata in Lettere all'Università Ca' Foscari di Venezia e in Editoria e Giornalismo all'Università degli studi di Verona, ora frequento il Master in Giornalismo e scrivo per MasterX. Sogno di diventare una grande giornalista sportiva.

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