Una storia di Natale che parla di periferia, emarginazione e sfruttamento. A Babbo Morto, l’ultimo fumetto di Zerocalcare, al secolo Michele Rech, non è certo la solita favola edulcorata e piena di retorica, tanto che dietro il volume si legge: «Se proprio dovete fare dei figli, almeno dite loro la verità».
La verità è quella delle ingiustizie che avviluppano il mondo di oggi, colmo di oppressi che non sono rappresentati da nessuno. Il fumettista di Rebibbia le mette a nudo, stavolta trasfigurando i classici riferimenti d’infanzia: Babbo Natale, gli elfi, le renne. Una scelta che ricorda quella presa da Wu Ming nel racconto a tinte noir Pantegane e sangue, dove Topolino è un investigatore infelice e maudit. Anche qui si leggeva tra le righe: «Dite ai bambini la verità».
Per capirne di più su Zerocalcare sul panorama fumettistico italiano abbiamo fatto alcune domande a Luca Barnabé, critico cinematografico e di fumetto.
Ad appena un mese dall’uscita di Scheletri, la penultima graphic novel di Zerocalcare, è arrivato A Babbo Morto.
Uno degli aspetti più interessanti di questo libro è sicuramente la capacità di mettere a fuoco alcune caricature del potere, tra cui le multinazionali del giocattolo che dominano il mercato. Le individua, si fa beffe del pensiero unico che spesso nella storia si è rivelato principio di tragedie.
Il tutto in 80 pagine.
Siamo stati abituati da Zerocalcare a opere corpose. Quindi la brevità può lasciare il fan spiazzato, ma l’opera è compiuta, essenziale, ricca, efficace e potente.
Qual è secondo lei il punto di forza di A Babbo Morto?
Il fatto che sia una favola antimelassa, contro la retorica natalizia (nelle prime tavole troviamo Babbo Natale già morto). Il formato è anomalo per l’arte di Zero, con tavole colorate a tutta pagina, frammenti di racconto a parole, in vero stile favolistico. Il materiale è comunque molto zerocalcariano: è un fumetto scorretto, intelligente, amaro, destabilizzante.
Il coraggio e l’impegno che troviamo nei suoi fumetti è difficile trovarlo altrove.
L’arte di Zerocalcare è unica. Fin dalle sue prime tavole è riuscito a scandagliare la società e le sue storture. Lo fa con un tono agrodolce, con il suo tratto naïf, che ricorda in parte quello di James Kochalka, un maestro del fumetto americano. Calcare ci fa ridere dei problemi che mette a fuoco, ma mai in modo assolutorio. In Italia è unico in tanti sensi.
Unico anche in termini di successo?
Sicuramente Zerocalcare rappresenta un’eccezione: è un autore di bestseller in un periodo in cui il mondo editoriale è in crisi. Scheletri è in cima alla classifica dei libri più venduti, e questo grazie anche al suo essere transgenerazionale.
Per linguaggio e temi trattati…
Con il suo blog è riuscito a dialogare con i giovani. Iniziò con una striscia in cui prendeva in giro Trenitalia, era facile riconoscersi nei suoi racconti. Da quel momento ha avuto un successo crescente, conquistando molti giovani ma anche i lettori adulti.
Forse anche per questo motivo è entrato a far parte dei cosiddetti “intellettuali”?
In Italia c’è sempre il bisogno di prendere degli artisti, in questo caso i fumettisti, e incasellarli, celebrarli, vilipenderli o caricaturizzarli. Il mio augurio è che il successo non lo schiacci mai e non addomestichi mai la sua arte sghemba.
Con lui però il mondo culturale si è accorto della tanta trascurata arte fumettistica.
Quello che sconcerta è proprio la totale disattenzione del mondo culturale, giornalistico e dei media in generale nei confronti del fumetto. C’è tanta negligenza verso questa forma espressiva. Si considerano quasi solo Zerocalcare e Gipi tra gli artisti controcorrente e “adulti”.
E invece?
E invece ci sono molti altri fumettisti che meriterebbero altrettanta attenzione. Veri artisti liberi e libertari.
Sembra che abbia in mente qualcuno…
Uno su tutti, Gabriele Di Benedetto, in arte AkaB, scomparso nel 2019. È stato un grande artista. Autore di “antigraphic novel” come DEFRAGMENT o di strip corrosive come Pop!. Prima di andarsene ha dato vita al Progetto Stigma, un gruppo che purtroppo non trova ancora l’attenzione che meriterebbe nei media, sia di nuova sia di vecchia generazione. Di Benedetto non è l’unico artista “dimenticato”.
Qualche altro esempio?
Penso ad artisti del fumetto contemporaneo come Darkam o Spugna. Alberto Ponticelli è stato candidato all’Eisner Award, il più importante premio internazionale del fumetto. Un riconoscimento avuto grazie a Unknown Soldier, una graphic novel sulla guerra in Uganda, realizzata insieme allo scrittore americano Joshua Dysart. Eppure in Italia non se ne è parlato molto…