Giornata della Radio, l’onda che ha cambiato il mondo

Una vecchia radio e uno smartphone: passato e presente di un mezzo destinato a prosperare ancora a lungo.

Il 13 febbraio è la data scelta dall’UNESCO (l’agenzia delle Nazioni Unite dedita alla tutela del patrimonio culturale dell’umanità) per celebrare, sin dal 2011, il World Radio Day. La Giornata Mondiale della Radio cade nel giorno in cui, nel 1946, venne effettuata la prima trasmissione targata ONU. Ma la celebrazione 2024 è molto più importante, in fatto di anniversari. Soprattutto per il nostro Paese.

Guglielmo Marconi e la nascita di un medium

Per iniziare, quest’anno la radio fa gli auguri al suo papà. Non è un segreto che il medium più pervasivo della prima metà del ‘900 sia figlio di una persona in particolare: l’italiano Guglielmo Marconi. Di cui, nel 2024, ricorre il 150° anniversario di nascita. Bolognese, Marconi nacque il 25 aprile 1874. Figlio di un proprietario terriero e di una donna irlandese, il giovane è sin da subito un appassionato inventore. Nel 1894, aiutato dal suo maggiordomo, costruisce un rilevatore di temporali, collegato a un campanello. Di lì l’idea, forte di analoghi esperimenti di quegli anni (su tutti quelli di Nikola Tesla e Aleksandr Popov), di provare a far suonare quello strumento a distanza. Senza fili.

Guglielmo Marconi posa con alcune delle apparecchiature radio da lui inventate.
Guglielmo Marconi posa con alcune delle apparecchiature radio da lui inventate.

È sempre il 1894. Dopo settimane di tentativi, Marconi riesce a far trillare un campanello premendo il tasto di un telegrafo, uno strumento molto diffuso ma ancora imbrigliato dall’utilizzo dei cavi, posto all’estremità opposta della stanza. Compresa la fattibilità della comunicazione senza fili, Guglielmo torna alla carica. Nel 1895 il successo: inviando segnale telegrafico da dietro una collina riesce a far risuonare tre trilli di campanello a oltre un miglio di distanza. Il maggiordomo, appostato accanto allo strumento, spara in aria un colpo di fucile per segnalare la riuscita dell’esperimento. Quel colpo è considerato ancora oggi il battesimo del nuovo mezzo di comunicazione. La radio.

Il trionfo

L’anno successivo, a Londra, Marconi ottiene il brevetto della sua invenzione, il radiotelegrafo. Giusto in tempo: 21 giorni dopo avrà successo l’esperimento del russo Aleksandr Popov, che si vede “soffiare” il primato. Da quel momento i risultati dell’inventore italiano non faranno che crescere. È soprattutto la distanza coperta dal segnale a aumentare: il canale di Bristol (1897, 14 chilometri), quello della Manica (1898, 51 chilometri), l’Oceano Atlantico (1901, oltre 3 mila chilometri).

Guglielmo Marconi in sala radio. Si noti il gran numero di apparecchiature necessarie a inviare e ricevere i segnali.
Guglielmo Marconi in sala radio. Si noti il gran numero di apparecchiature necessarie a inviare e ricevere i segnali.

Ma la radio è ancora uno strumento tecnico, per addetti ai lavori. Lo utilizzano i servizi postali, accanto al più classico telegrafo cablato. La iniziano a impiegare gli ambienti militari e marittimi, anche in ottica di soccorso in mare (nel 1909 avviene il primo salvataggio grazie a un segnale di soccorso). Nel 1909 Marconi riceve il premio Nobel per la fisica. La sua vita sarà sempre segnata dallo strumento di comunicazione che ha creato e al suo miglioramento. Morirà il 20 luglio 1937 e, in suo onore, tutte le stazioni radio del mondo si fermeranno in contemporanea, per due lunghi minuti.

Voci e suoni

Ma quali stazioni? Come si è passati dalla mera radiotelegrafia (in codice Morse) alle voci dei conduttori e alla musica? All’inizio non è concepibile l’idea di un segnale “di massa”: serve un trasmettitore che, su una singola specifica frequenza, invii un messaggio a un ricevitore (che a sua volta è in grado di inviare una risposta). Questo non può funzionare, a livello popolare. Men che meno se tutto ciò che si può inviare sono vaghi “bip” telegrafici. Serve ben altro.

Reginald Fessenden davanti alle sue apparecchiature. Fu lui l'autore della prima trasmissione radiofonica.
Reginald Fessenden davanti alle sue apparecchiature. Fu lui l’autore della prima trasmissione radiofonica.

In soccorso arrivano i progressi di un canadese, Reginald Fessenden, che nel 1900 riesce per la prima volta a riprodurre una voce nell’etere. Debole, ma presente. È una svolta: inviare segnali più umani è possibile. Nel 1906 la prima trasmissione radiofonica in senso moderno va in scena in Massachussets: la Vigilia di Natale, Fessenden si mette a suonare “O’ Holy Night” con un violino e a leggere dei passi della Bibbia. Le navi in rada, sintonizzando gli apparecchi, sentono tutto. I loro equipaggi sono i primi radioascoltatori della Storia.

Radiomania

Nel 1909 l’americano Charles David Herrold tenta l’impensabile (fino ad allora). Progetta un sistema di radiodiffusione (un trasmettitore invia segnale a tutti i ricevitori su una determinata sequenza, in contemporanea, e senza ricevere risposta) e si mette a parlare. È nata la prima stazione radiofonica (che, secondo alcuni, sopravviverà fino a divenire la KCBS di San Francisco, tuttora attiva). Ma se quella prima esperienza è avvolta da una leggera nebbia di dubbio (non tutti gli studiosi riconoscono a Herrold il primato), la “radiomania” scoppia comunque pochi anni dopo.

Una famiglia britannica ascolta la radio nel 1925. Tutti con le cuffie.
Una famiglia britannica ascolta la radio nel 1925.

Nel 1919 parte la prima trasmissione stabile di musica e voce negli Stati Uniti, seguita dal primo programma d’intrattenimento regolare nel 1920, in Argentina. Nello stesso anno a Detroit viene rilasciata, all’emittente WWJ, la prima licenza di radiotrasmissione commerciale e va in onda, sulla WWM, il primo radiogiornale. Anche Marconi, con la sua società in Gran Bretagna, lancia la sua programmazione di intrattenimento. Fino al 1922, quando il governo inglese co-fonda con altre aziende la BBC (British Broadcasting Company, poi Corporation). È la consacrazione di un mezzo che da allora, tra alti e bassi, non lascerà più l’immaginario collettivo globale.

E in Italia?

La patria di Marconi si allinea quasi subito al grande fervore mondiale. Complice un regime autoritario, il fascismo, in cerca di legittimazione popolare, un mezzo di comunicazione come la radio riceve grande attenzione. Il 5 ottobre 1924 Benito Mussolini parla per la prima volta ai microfoni della neonata URI, Unione Radiofonica Italiana, mentre la sera successiva va in onda il concerto inaugurale. Un secolo fa. Un altro anniversario, per questo 2024 radiofonico. A fine novembre 1924 lo Stato, con una convenzione, assegna all’Unione il monopolio dell’etere. Quella decisione resterà valida per più di mezzo secolo.

L'annunciatrice Ines Viviani Donarelli. Fu la sua voce a inaugurare le trasmissioni radiofoniche dell'URI.
L’annunciatrice Ines Viviani Donarelli. Fu la sua voce a inaugurare le trasmissioni radiofoniche dell’URI.

Negli anni seguenti vengono inaugurate nuove stazioni di trasmissione nelle principali città. Ma il pubblico è ancora basso: un apparecchio ricevente costa quasi 3mila Lire dell’epoca, risultando inaccessibile alla maggioranza degli italiani. Nel 1928 l’URI diventa EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) e nel 1930 si trasforma una vera e propria azienda statale. Le radio (quelle fisiche) si diffondono in giro per il Paese, nei bar e nei locali pubblici dove la gente, che non ha i soldi per possederla a casa, si raccoglie per ascoltare musica, notizie, varietà e discorsi di propaganda.

Un libretto per la sottoscrizione familiare ai servizi EIAR, risalente agli anni '40.
Un libretto per la sottoscrizione familiare ai servizi EIAR, risalente agli anni ’40.

Il successo spinge il fascismo a lanciare, nel 1933, il progetto Radio Rurale. La diffusione di apparecchi nei piccoli centri, soprattutto nelle scuole, contribuisce a insegnare la lingua nazionale a una popolazione che, in massima parte, ancora non la parla. E ancora, arrivano le pubblicità (1930), le radiocronache sportive (1931), le riviste tematiche (1934). Il trionfo si registra nel 1938: un milione di abbonati, ma gli ascoltatori sono almeno otto volte tanto.

Ascesa

La Seconda guerra mondiale segna profondamente la radio. Strumento principe per la scarna informazione di regime (o forse sarebbe meglio chiamarla propaganda), ben presto si rivolterà contro i suoi stessi padroni. L’etere, in fondo, non ha dei veri confini. Accanto all’EIAR inizia, clandestinamente, l’ascolto di radio straniere e “nemiche”, che trasmettono in italiano programmi di controinformazione. Con l’armistizio dell’8 settembre 1943, come il Paese, anche la radio si spacca. A sud dominano stazioni locali controllate dagli Alleati e, dal 1944, la riorganizzazione della vecchia emittente monopolista: si chiama RAI, Radio Audizioni Italiane. A nord, nella Repubblica Sociale, continua a operare l’EIAR. Ma nelle case dominano Radio Londra, Radio Mosca, Radio Vaticana.

L'arrivo della televisione nel 1954 cambierà il panorama mediatico. Non a favore della radio.
L’arrivo della televisione nel 1954 cambierà il panorama mediatico. Non a favore della radio.

Al termine del conflitto la RAI assume nuovamente il monopolio dell’etere. I suoi due canali (Rete Rossa, poi Programma Nazionale, e Rete Azzurra, poi Secondo Programma) accompagnano l’Italia della ricostruzione e della Repubblica. Sono anni di grande boom, in cui il medium si afferma ancor di più nelle case della gente. Tanta musica, intrattenimento, informazione. E nel 1952 il Terzo Programma, un nuovo canale. Ma, come una spada di Damocle, arriverà la televisione. Già l’EIAR aveva sperimentato le trasmissioni video, ma è la RAI a concludere l’opera. Nel 1954 parte la programmazione. Subito gli effetti non si fanno sentire. Ma arriveranno.

Far west

Sono gli anni ’60 a registrare una prima fase critica. La tv ha ormai eguagliato la radio in termini di diffusione. Anzi, nelle case inizia a soppiantarla. I tre canali RAI, rinominati numericamente, si specializzano (il Primo informazione, il Secondo musica e varietà, il Terzo cultura) e vengono via via più ascoltati in automobile, grazie all’arrivo dell’autoradio. I giovani ottengono programmi a loro dedicati (in gran parte guidati dalla coppia Renzo Arbore-Gianni Boncompagni). Ma, con il 1968 e l’ondata della contestazione, il monopolio inizia a scricchiolare.

Lo studio improvvisato di una "radio libera" anni '70. Non molto diversi apparivano gli spazi delle emittenti illegali del decennio precedente.
Lo studio improvvisato di una “radio libera” anni ’70. Non molto diversi apparivano gli spazi delle emittenti illegali del decennio precedente.

Fare radio non è più complesso come mezzo secolo prima. Le apparecchiature sono economicamente abbordabili e non serve grande competenza tecnica. In ogni angolo del Paese iniziano a fiorire piccole emittenti pirata. Illegali. Ma il loro numero cresce così rapidamente da rendere impossibile il controllo. In contemporanea avviene lo stesso per le tv. La RAI perde il comando. E la Corte Costituzionale, con la sentenza 202 del 1976, certifica la fine di un’era: il monopolio è morto. Viva le radio libere!

Caduta

Sempre più in sofferenza davanti alle televisioni, la radio è costretta a reinventarsi. La RAI, di fronte alla spietata concorrenza privata, spinge verso una maggiore vocazione informativa. Ma non basta. Le altre emittenti sono troppe, e molte iniziano ad attirare grande pubblico. Gli anni ’80 trascorrono all’insegna di una sempre crescente professionalità degli speaker e dei tecnici.

Alle porte degli anni ’90 la RAI accetta la sconfitta: non può continuare a rincorrere le altre reti per racimolare ascolti. Per differenziarsi, il servizio pubblico punta sulla qualità. L’operazione riesce, fermando almeno in parte l’emorragia di ascoltatori del decennio precedente. Sul fronte privato nascono grandi network nazionali come Radio Deejay (emersa da un’intuizione di Claudio Cecchetto nel 1981), Radio 24 e Radio Capital. Ma il confronto con la tv è impietoso. La battaglia è perduta. E in tutto il mondo della comunicazione, la frase che si sente ripetere è sempre la stessa: la radio è morta.

Rinascita

La sentenza è però prematura. Sul finire del millennio emerge un nuovo attore, destinato a dare nuova vita al più vecchio mass media esistente: Internet. Se creare una radio da zero era abbastanza semplice, farlo sul web è un gioco da ragazzi. Non solo: in rete non ci sono confini, quindi una nuova emittente non nasce per forza locale, ma può ambire a diffusione internazionale. I grandi attori del mercato sono tra i primi ad accorgersene, investendo in piattaforme digitali dove permettere un tipo di ascolto mai visto prima: quello in differita. Così il pubblico può accedere ai programmi che ama anche in orari molto lontani da quelli di messa in onda, riascoltando le puntate quando gli pare e piace.

Un'applicazione per smartphone che raggruppa molte delle principali emittenti radiofoniche italiane, fruibili grazie a Internet.
Un’applicazione per smartphone che raggruppa molte delle principali emittenti radiofoniche italiane, fruibili grazie a Internet.

Ma il web si dimostra esplosivo anche per un altro fattore. Prima la radio si ascoltava solo… alla radio. Serviva un apparecchio dedicato, da portarsi dietro appositamente. Ora, con Internet, qualunque dispositivo collegato alla rete diventa una radio. E con lo sviluppo di pc portatili e smartphone questo segnerà la rinascita del medium. La tv vede calare gli ascolti, per disaffezione e mancanza di tempo. La radio vive l’opposto: non impegnando nessun senso al di fuori dell’udito, essendo facilmente trasportabile e accessibile e garantendo maggiore flessibilità oraria (almeno fino all’arrivo dei servizi di video on-demand), l’audio torna a dominare. Anche e soprattutto tra le giovani generazioni: al 2022 il 69,7% dei ragazzi italiani tra i 14 e i 24 anni dichiara di ascoltare trasmissioni almeno una volta al giorno.

Perché ci piace così tanto?

È facile capire perché la radio, soprattutto oggi, è uno dei mezzi di comunicazione migliori di cui disponga l’umanità. Anzitutto, come già ricordato, è trasportabile: nell’era degli smartphone si può accedere a qualunque emittente in qualunque luogo e momento. In secondo luogo, il suono impegna un solo senso, lasciando libero l’ascoltatore di fare ciò che vuole. Può allenarsi, studiare, cucinare, viaggiare. Tutto mentre la radio lo accompagna. Provate a correre o a lavare i piatti guardando la tv. Pensate di riuscirci? Probabilmente sì. Ma se ci riflettete bene non è così: o guardate o lavorate, le due cose non vanno insieme. Al massimo ascoltate mentre fate altro. E vivete quindi un’esperienza radiofonica.

Infine l’elemento più importante: la radio è immediata. Racconta cosa succede nel mondo senza distrazioni, e lo fa direttamente dal posto di cui parla. È familiare, perché la voce umana da sola dà un senso di sicurezza, di casa, che la tv allontana con le immagini: la radio permette di immaginare, la tv no. Ed è proprio l’immaginazione che, in definitiva, ci fa amare così tanto un medium così vecchio: ogni mondo, alla radio, è possibile. E, cambiando ascoltatore, non sarà mai lo stesso. Il trionfo dell’individualità, in una cornice comunicativa da uno a molti. Cosa c’è di più meraviglioso di questo?

Umberto Cascone

Nasco a Savona in un rovente mattino di agosto del 2000. Sin da bambino mi interesso di tematiche militari, passione che porto avanti ancora adesso. Negli anni nuovi argomenti iniziano a affollarmi la mente: dalla politica estera a quella interna, passando per una dose abbondante di storia. L'università mi regala l'amore per la radio, che mi spinge a entrare in RadioIULM e a prendere le redini prima del reparto podcast (marzo 2022-ottobre 2023) e poi dell'intera emittente (settembre 2022-gennaio 2023). Ho tanta voglia di fare, di raccontare il nostro tempo, fatto anche di argomenti spesso trascurati, eppure importantissimi. Ci riuscirò? Sarebbe bello dire, alla Manzoni, che lo giudicheranno i posteri. Ma l'unica risposta sincera è: lo spero.

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