Giacomo Poretti ai giovani: «Trovate soluzioni per riaprire i teatri…»

Anche le interviste si fanno in streaming e i ragazzi del Master in Giornalismo IULM hanno “incontrato” Giacomo Poretti su Teams. Il comico dello storico trio Aldo, Giovanni e Giacomo è riuscito a portare il buon umore anche attraverso lo schermo di un incontro a distanza.

Da artista eclettico, Poretti ha parlato agli studenti IULM delle sue esperienze nel mondo del cinema, del teatro e della scrittura, svelando anche qualche aneddoto e trucco del mestiere, dando infine un’anticipazione sul suo prossimo libro. Giacomo, nel tempo, ha mostrato notevole versatilità attoriale, sia nel trio, dove ha interpretato a volte il precisetto borghese, altre volte l’intellettuale, oppure il furbetto, o il vecchietto molesto, sia nei monologhi teatrali (Fare un’anima, Chiedimi se sono di turno), che uniscono esperienza autobiografica e guizzo comico surreale.

IL SEGRETO PER FAR RIDERE

La prima cosa su cui fare chiarezza è com’è cambiato il modo di ridere in un periodo di crisi mondiale. «Si ride ancora», spiega Poretti, «sorridere ha tantissimi significati ed è giusto farlo anche nei momenti difficili. Per un comico la prima regola è non prendersi mai troppo sul serio. Per fare questo collegamento mi sono comprato una lampada da blogger e mio figlio mi ha chiesto se volessi cambiare mestiere. Si può ridere anche per queste m*******e».

Proseguendo a Poretti viene chiesto quale sia l’ingrediente per far ridere. «Non lo so», dice, «forse perché io, Aldo e Giovanni siamo “tre scemi inconsapevoli”, come ci hanno definiti. Un complimento bellissimo! Penso che l’inconsapevolezza di quello che si fa faccia parte del talento. Quello che posso dire è che quando sono con loro viene tutto spontaneo e naturale».

Giacomo assieme ad Aldo e Giovanni, i suoi compagni del trio comico
IL CINEMA E L’EVOLUZIONE DEGLI ARTISTI

Passando al cinema Poretti chiarisce perché in Odio l’estate, il loro ultimo film, tutti e tre hanno una famiglia e dei figli. «È un’esigenza legata al tempo che passa. Siamo cambiati rispetto ai primi film e abbiamo bisogno di storie nuove». A proposito dell’improvvisazione sul set precisa: «A teatro il 60% di quello che facciamo è improvvisazione, al cinema no: puoi cambiare una battuta, ma non puoi stravolgere una situazione, perché ciò implicherebbe costi aggiuntivi. In Tre uomini e una gamba, però, avevamo una tale povertà di mezzi che la scena dei gangster è tutta improvvisata. Lì si racconta la storia di tre killer americani che sono in un albergo a Dallas e si stanno preparando per sparare a Kennedy. Noi avevamo richiesto due letti king-size e armadi a sei ante, invece ci siamo ritrovati a girare in una falegnameria con due lettini singoli e armadi a due sportelli. Durante la scena si è staccata un’anta e sembrava fatto apposta. Era talmente perfetta che l’abbiamo tenuta».

Aldo, Giovanni e Giacomo in un selfie dal set del loro ultimo film Odio l’estate

Quando gli viene chiesto se ci sia un personaggio a cui è più affezionato, sorride: «La cosa bella per un attore è interpretare ruoli e personaggi che sono molto diversi da te. Io mi sono divertito tantissimo a fare Jack in La leggenda di Al, John e Jack. Lì sono un impasticcato e un assassino. In quel film c’è la battuta “quanto è bella la mafia”, una cosa scorrettissima. Eppure mi è piaciuto tantissimo quel ruolo. L’importante è capire che non c’è intenzionalità, ma si sta addirittura prendendo in giro il mondo mafioso. Poi, molti mi dicono che il personaggio che mi rispecchia di più è quello dello scontro con la dottoressa Gastani Frinzi, quando le urlo addosso Gastani Frinzi dei miei c******i. Gli amici riconoscono che in quella gag viene fuori un mio aspetto molto caratteristico: il fastidio per l’ignoranza e l’arroganza».

IL TEATRO E I TRUCCHI DEL MESTIERE

«Nel teatro s’improvvisa molto… Nel ’91», racconta il comico, «C’era un caffè teatro vicino a Malpensa che ci propose di esibirci tutti e tre insieme. Facevamo cabaret e, anche se non eravamo ancora un trio, accettammo di andarci la domenica. Il pubblico sapeva che improvvisavamo e la cosa piaceva. Noi ci trovavamo il pomeriggio e decidevamo che sketch fare. Facciamo i poliziotti? Giovanni diceva: “io sono il capo pattuglia”. Io ribattevo: “voglio fare quello bastardo che picchia tutti”. Tu Aldo? “Io faccio il m*******e”. Poi si strutturava un mini canovaccio: inizio-metà-fine. Col tempo abbiamo fatto tanta palestra, ma non saprei spiegare come si fa a improvvisare. A noi è sempre piaciuto farlo e non ci ha mai spaventato non avere un testo».

«Una sera,» prosegue, «eravamo al Mediolanum Forum e stavamo facendo lo sketch della galleria d’arte, con un pubblico di novemila persone. Eravamo davanti a una cornice vuota, intenti a fare le nostre considerazioni di “critica feroce all’arte contemporanea”. A un certo punto abbiamo mandato via Aldo, perché io e Giovanni dovevamo dire delle battute. Finiamo… silenzio. Aldo rimane zitto, con le braccia conserte. In quei casi basta guardare il pubblico per farlo ridere. Poi c’è una pausa e io dico: “dovrebbe parlare Aldo”. E il pubblico ride di nuovo, ma Aldo rimane indifferente. Allora io e Giovanni abbiamo cominciato a prenderlo in giro: “Soffre di Alzheimer…  anzi, è rincoglionite genetica”. E il pubblico giù a ridere. Abbiamo continuato per qualche minuto, ma lui niente. Alla fine ci siamo avvicinati e gli abbiamo tirato una sberla sul coppino: “Non dovevi parlare tu?” Finalmente Aldo si è svegliato e ha detto: “M*****a mi è venuto un semi svenimento”. E gli spettatori hanno continuato a ridere. Questo per dire che ce la caviamo sempre, perché siamo abituati a non spaventarci di ciò che succede».

«Negli anni ’80 frequentavamo il Derby Club, un locale da cui sono passati tutti i comici; da Dario Fo, a Giorgio Gaber, a Giorgio Faletti… C’erano 150 posti e si faceva cabaret. Il pubblico si sentiva autorizzato a intervenire e quando qualcuno saliva sul palco veniva insultato. Era questa la sfida: il comico doveva imporsi con l’ironia e condurre lo spettacolo, se non ci riusciva andava a casa. Questa è stata una palestra molto formativa». Per concludere, Giacomo Poretti spiega che c’è un personaggio che non ama ed è proprio quello che gli ha portato più successo. «Quello che sopporto meno è Tafazzi… È la bellezza e la condanna di essere famoso. Tutti si identificano in un personaggio e ti chiedono continuamente di farlo e raccontarlo. Alla fine non ne puoi più!».

«Questo per dire che ce la caviamo sempre, perché siamo abituati a non spaventarci di ciò che succede».

Dopo gli aneddoti di vita professionale, il comico focalizza l’attenzione su come potrà diventare il Teatro nei prossimi anni. Un esempio è il progetto creato dallo stesso Poretti per contrastare la chiusura dei teatri a causa della pandemia. «Il Covid-19 ha cambiato la vita di tutti», osserva l’attore, «viviamo un periodo di transizione e dovremmo tutti ripensare al lavoro che facciamo. È quello che abbiamo provato a fare con il Teatro Oscar di Milano. Ci siamo ritrovati con Luca Doninelli e Gabriele Allevi e abbiamo creato Il Teatro del Lunedì, per rimanere vicini al pubblico». L’appuntamento è tutti i lunedì su Zoom alle 18:30: ospite di oggi Claudio Longhi, neo direttore del Piccolo Teatro di Milano, ndr).

Il Teatro del Lunedì, la locandina

«L’idea», precisa il comico, «è nata per rispondere al desiderio di dialogo degli spettatori, che con questa iniziativa trovano uno spazio per riprendere tutte le conversazioni interrotte dall’emergenza sanitaria. Agli incontri partecipano ospiti speciali e con loro si parla di teatro, della città, di poesia e si affrontano tanti altri temi. Qual è la parte più bella? Che si può partecipare da ovunque. Per esempio, qualcuno mi ha detto che si è collegato mentre cucinava e ha seguito i dibattiti come se fossero dei podcast. Un’altra iniziativa che ha riscosso successo è quella del Moto Teatro: siamo andati in giro per Milano con un’Ape Car e ci siamo fermati nei luoghi più belli della città. Poi uno o due attori salivano sul retro del veicolo e facevano uno spettacolo. Era come se il pubblico si fosse riappropriato della scena. Il futuro? Dovremo ripensare tutto e non si sa cosa succederà, stiamo ancora sperimentando. Penso che quando torneremo a teatro cambieranno molte cose e abbiamo bisogno dei giovani e delle loro idee. Se ne avete, proponetele!».

Giacomo a fianco dell’Ape Car che lo ha portato ad esibirsi nei luoghi iconici di Milano
LA SCRITTURA E IL NUOVO LIBRO

Dopo Alto come un vaso di gerani e Al Paradiso è meglio credere (ed. Mondadori), Poretti si sta ora dedicando a un nuovo libro. «La scrittura mi ha sempre appassionato», osserva, «ma fino a qualche tempo fa non ho mai potuto cimentarmi in quest’arte. La cosa più bella della notorietà è che ho conosciuto tante persone e, grazie a loro, ho iniziato a scrivere. Tra chi mi ha incentivato a cominciare ci sono Mario Calabresi e Gianni Riotta.

 La scrittura mi piace molto e ora sono alle prese con un nuovo libro, ma è durissima.

Su cosa lo sto scrivendo? Me lo chiede anche il mio editore! Non ne posso parlare molto, però mi piacerebbe riprendere il tema dello spettacolo Chiedimi se sono di turno; l’ambientazione in ospedale è molto interessante».

INTER, UNA GRANDE PASSIONE

Infine, è d’obbligo un accenno all’Inter, la squadra del cuore del trio. Nei film e negli sketch di Aldo, Giovanni e Giacomo sono tantissimi i riferimenti al club nerazzurro. Forse il più famoso è quello nel film Tre uomini e una gamba, quando Giacomo indossa la maglia numero 21 di Sforza e Aldo e Giovanni gli dicono: “Ma proprio con la maglietta di Sforza?” “Eh… quella di Ronaldo era finita!”, risponde lui.

«Ho incontrato tanti giocatori dell’Inter», racconta il comico con un sorriso, «ma Sforza no. Però ho conosciuto Ronaldo che, con tutto il rispetto per Sforza…». Da quando Poretti ha cominciato a recitare, l’Inter è cambiata molto, a partire dall’abbandono della proprietà Moratti. «La conduzione paternalistica dei Moratti era criticabilissima», aggiunge l’attore, «ma ora siamo passati dal bauscia milanese a degli stranieri, arrivando infine a quello che sembra essere un fondo inglese. Hanno chiesto anche a me di entrare in società. Si tratta di un’operazione romantica ma velleitaria…».

Aldo, Giovanni e Giacomo alla Pinetina con Roberto Baggio
Roberto Balestracci

24 anni, quasi 25. Laureato in Scienze della Comunicazione, coltivo da sempre la passione per lo sport e per le sue emozioni. Interista, porto la Maremma nel cuore. Ma non solo. Il diploma in violino al conservatorio di Siena mi permette di collegare due mondi, sport e musica, apparentemente lontani

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