Musica, contaminazione, spettacolo, personalità, battaglie per i diritti civili, aver fondato i Genesis a 17 anni. Sono alcuni dei motivi per cui fare gli auguri a Peter Gabriel per il suo settantesimo compleanno e ringraziarlo per la sua arte.
Un’arte che attraverso i primi Genesis ha perfezionato e codificato il concetto di progressive rock e glam rock. Un’arte che nella carriera solista ha dato un contributo fondamentale alla world music e ha portato il pop alle stelle. Ed è proprio su questa seconda vita musicale che ci si vuole soffermare.
Sulla collina di Solsbury Hill: l’esodo dai Genesis e gli album da solista
“When illusion spin her net / I’m never where I want to be / And liberty she pirouette / When I think that I am free”, canta Gabriel in Solsbury Hill, la sua prima hit dopo i Genesis. Versi che incarnano l’arte istrionica del musicista nativo di Chobham, a qualche chilometro da Londra.
«Quando l’illusione tesse la sua trama, non sono mai dove vorrei essere». È il 1977, Gabriel ha 27 anni e ha da poco lasciato il gruppo con cui, in sei album, ha scritto la storia del prog. Solsbury Hill è il manifesto della sua separazione dal gruppo e della sua nuova esperienza artistica, ancora tutta da scoprire e inventare.
È al primo album solista, l’inizio di un lungo percorso musicale. Muovendosi negli anni dal prog al folk e al pop, pioniere della world music, fino alla new wave e alle colonne sonore di film. Nessun punto d’arrivo prefissato, soltanto la libertà di creare musica.
«La libertà volteggia, quando penso di essere libero». Non è facile da gestire, però, la libertà. Specialmente se sei Peter Gabriel. I primi due dischi, senza titolo – così come anche i successivi due – e poi rinominati Car e Scratch dalle immagini poste in copertina, non hanno infatti grande successo.
Le vendite prendono il volo solo con Melt, o semplicemente Peter Gabriel III, capolavoro del 1980 che vede la partecipazione di Phil Collins. La chiusura del disco è Biko, ballata scritta in onore dell’omonimo attivista antirazzista, catturato dalla polizia sudafricana e morto in prigione. Un vero inno contro le diseguaglianze che Gabriel canterà nei live col pugno alzato al cielo insieme al suo pubblico, riprendendo il gesto di Nelson Mandela.
Successo commerciale e impegno civile proseguono per Gabriel anche in seguito, a partire dal successivo album, IV o Security. Nello stesso periodo il musicista di Cobham ha dato vita al WOMAD, festival internazionale di musica, arti e danze, con lo scopo di favorire e integrare le diverse culture sotto l’idioma comune dell’arte. Un progetto economicamente impegnativo, che rischia di fallire già alla prima edizione per gli alti costi di organizzazione. Sarà una reunion dei Genesis a fornire i ricavi necessari per salvare la società.
Pochi anni dopo, nel 1989, il musicista inglese fonderà anche la Real World Records, etichetta musicale volta a promuovere la musica etnica e world.
Bologna Grazie mille! You're great!!!! So great!
Pubblicato da Peter Gabriel su Venerdì 21 novembre 2014
Il pop raggiunge la vetta: l’album So
Il quinto album, So, è un capitolo a parte. L’artista, reduce da impegnative composizioni per film, si prende la scena pop. Come pochissime altre volte nella storia di questo genere, Gabriel riesce a coniugare l’ascoltabilità alla qualità dei brani. Provate a non battere i piedi o picchiettare sul tavolo ascoltando Sledgehammer: semplicemente impossibile. La canzone diventa in breve una hit mondiale, con una particolarità: l’intro è suonata da un flauto dritto giapponese in bambù, lo Shakuhachi.
Anche tutte le altre tracce sono memorabili. Red Rain, con Steward Copeland dei Police alla batteria. Il duetto da pelle d’oca con Kate Bush in Don’t Give Up. La magia cupa di Mercy Street, ispirata dal testo della poetessa americana Alan Sexton. In Your Eyes, la ballata perfetta che narra l’amore terreno e divino, dalla musica inconfondibile: la chitarra di David Rhodes, il groove alla batteria di Manu Katché, i cori del bassista Tony Levin e i vocalizzi di Youssou N’Dour.
Senza confini e in base alle proprie esigenze: l’arte di Peter Gabriel
Cantante, polistrumentista, compositore. Eppure Gabriel è andato oltre la musica: i costumi con cui saliva sul palco, in alternativa ai trucchi di David Bowie. Ma anche l’instancabile sforzo di sostenere le espressioni artistiche rimaste nell’ombra e le lotte politiche contro la discriminazione razziale. Fino alla maniacale valorizzazione delle visuals nei concerti e ai leggendari stage diving.
Ragion per cui, in giorni in cui ci si appella spesso agli artisti di riferimento e rivoluzionari per la storia della musica, il nome di Peter Gabriel merita di essere in cima alla lista.