“I am an uneasy dancer”, una ballerina incerta. Si definisce così Betye Saar nell’unico pannello presente nella personale antologica a lei dedicata nel padiglione nord della Fondazione Prada a Milano. Nata a Los Angeles novant’anni fa, Betye Saar è un’artista concettuale le cui opere, composizioni ed assemblaggi di oggetti e materiali di varia forma e destinazione, saranno visibili fino all’8 gennaio.
La mostra, che è curata da Elvira Dyangani Ose e raccoglie ottanta opere realizzate tra il 1966 e il 2016, non vuole celebrare l’artista ma essere uno strumento, una chiave per entrare nella sua vita e nel suo modo di guardare il mondo. Un mondo che in cinquant’anni è cambiato, si è evoluto, specie agli occhi di un’artista afroamericana. Inevitabilmente, temi come la questione razziale e l’emancipazione femminile sono molto presenti, ma in modo discreto, non ingombrante. Perché, come spiega la stessa Saar, la sua arte “ha più a che fare con l’evoluzione che con la rivoluzione”. Ecco quindi che tutto assume un aspetto familiare, che rimanda alla normalità: non si mostra il superamento, ma il mutare delle condizioni, progressivo e naturale. Betye Saar non racconta l’evento ma la quotidianità della vita che riflette in se stessa il progresso, il cambiamento, la storia.
Ad accentuare l’impressione di trovarsi in un ambiente domestico, poi, è lo stile di Betye Saar che assembla materiali diversi ed insoliti, ed utilizza oggetti propri della vita quotidiana, dai guanti ai giornali, passando per biancheria, libri e strumenti musicali. Ci sono, poi, alcuni elementi ricorrenti in tutta la produzione di Saar. Innanzitutto gli orologi, di varie misure e forme, simbolo di un’evoluzione inarrestabile. Altra immagine ricorrente è il corvo nero, riferimento all’emarginazione degli afroamericani. Molto presenti, inoltre, sono le composizioni realizzate collocando oggetti e figure all’interno di scatole di legno o gabbiette per uccelli.
Un’attenzione particolare, infine, va a “The Alpha and the Omega”, l’installazione realizzata appositamente per la mostra. Si tratta di una stanza ellittica dipinta di azzurro, in cui si osserva il ciclo della vita, dall’infanzia, rappresentata da una culla piena di palle colorate, fino alla morte, con la chiglia di nave appesa al soffitto che sembra alludere ad un lento viaggio verso l’aldilà.