Era il 30 gennaio 1969, esattamente 50 anni fa, quando le prime note di Get Back dei Beatles iniziavano a risuonare nel freddo mezzogiorno londinese.
Uno a uno, gli sguardi incuriositi dei passanti si sollevarono verso la cima del palazzo della Apple Records, al numero 3 di Savile Row: una decina dei più intraprendenti tra loro, attirati dalla musica, si affrettò a raggiungere il tetto della casa discografica.
Nessuno tra questi, probabilmente, immaginava di essere testimone di uno dei momenti più leggendari nella storia del Rock.
«C’era l’idea di suonare dal vivo in qualche posto. Ci stavamo domandando dove saremmo potuti andare — magari il Palladium o il deserto del Sahara. Ma avremmo dovuto portarci dietro tutta la roba, così decidemmo: “Saliamo sul tetto!”». Così racconterà Ringo Starr nella Beatles Anthology (1995), il progetto multimediale che ripercorre la storia del gruppo.
Un’improvvisazione irriverente, al centro del quartiere Mayfair, cuore pulsante della capitale britannica, resa ancor più imprevedibile dal momento vissuto dalla band: i rapporti tra i Beatles erano infatti già ai minimi storici e l’ultimo live tour dei “Fab Four” risaliva al 1966, tre anni prima.
Il gruppo, in realtà, aveva pianificato fin dai primi giorni del 1969 di esibirsi dal vivo per le sessioni di un progetto cinematografico: la performance venne ripresa integralmente dal regista Michael Lindsay-Hogg e fu inclusa nel film documentario Let It Be – Un giorno con i Beatles (1970). La pellicola, l’anno successivo, avrebbe vinto i premi Grammy ed Oscar alla miglior colonna sonora.
In occasione del “Rooftop Concert”, il quartetto di Liverpool fu affiancato dal tastierista americano Billy Preston. Lo statunitense, invitato dal chitarrista George Harrison, è stato l’unico musicista con cui i Beatles abbiano condiviso il nome sull’etichetta di un disco.
La notizia dell’evento non impiegò molto a diffondersi nella strada sottostante: la voce circolò rapidamente tra gli impiegati in pausa pranzo che popolavano la via e ben presto una nutrita folla di spettatori iniziò a radunarsi ai piedi del palazzo.
Lassù, cinque piani più in alto, soffiava un vento gelido, tanto che John Lennon si riparava indossando la pelliccia della compagna Yoko Ono. Ma nemmeno questo bastò a spaventare i fans: i più temerari tra quelli che non erano riusciti a entrare nell’edificio dell’Apple Corps si arrampicarono sui tetti circostanti, in cerca di una vista migliore.
La maggior parte dei presenti accolse il concerto a sorpresa con grande entusiasmo, ma il traffico ed il rumore generatisi finirono inevitabilmente per infastidire alcuni residenti. La polizia fu allertata e, ad appena 42 minuti dall’inizio dell’esibizione, gli impiegati della Apple si videro costretti a concedere l’ingresso agli agenti, nonostante le iniziali resistenze.
I Beatles, nel frattempo, erano riusciti ad eseguire nove versioni di cinque loro canzoni: Get Back, Don’t Let Me Down, I’ve Got a Feeling, One After 909 e Dig a Pony. La polizia raggiunse il tetto mentre il gruppo si esibiva in una terza interpretazione del brano Get Back, ma il gruppo continuò imperterrito a suonare.
Il bassista Paul McCartney, ironizzando sulla situazione, improvvisò sulle note del pezzo: «Siete andati ancora a suonare sul tetto, e questo non è bello, sapete che non fa piacere alla vostra mamma… si arrabbia… vi farà arrestare tutti! Tornate indietro!».
Ancor più celebre divenne poi la frase pronunciata da Lennon al termine della traccia, quando il concerto venne interrotto in via definitiva: «Vorrei ringraziare a nome del gruppo e di noi stessi e spero che abbiamo superato l’audizione!».
I’d like to say thank you on behalf of the group and ourselves and I hope we’ve passed the audition!
Fu proprio con questa battuta del cantante che si chiuse una delle performance più rivoluzionarie della storia della musica: l’ultimo canto dei Beatles, che si sarebbero ufficialmente sciolti nell’anno successivo, il 4 aprile del 1970.
Prima dell’addio, la band incise un nuovo album in studio: Abbey Road (autunno 1969), il loro prodotto finale prima della separazione. Con questo disco, che veste una delle copertine più celebri di tutti i tempi, il quartetto di Liverpool entrò definitivamente nell’olimpo musicale. Un anno dopo avrebbe invece visto la luce la loro ultima raccolta, Let It Be, a divorzio ormai compiuto.
Il Rooftop Concert, però, ebbe forse un impatto ancor più grande sull’immaginario collettivo, segnando la fine di un’epoca per gli appassionati del genere e i fans del gruppo: divennero iconici persino gli abiti indossati dal gruppo, come l’impermeabile rosso di Ringo Starr e la pelliccia di Lennon.
L’episodio lasciò un’eredità ricchissima di parodie e riferimenti: dai The Rutles ai Simpson, furono molte le serie televisive che riproposero in chiave più o meno ironica l’esibizione; per non parlare del mondo della musica, con numerose band che rivisitarono il format del concerto sul tetto, inclusi gli irlandesi U2.
Fu così che l’ultima performance dei Beatles penetrò a fondo nella cultura di massa, divenendo a tutti gli effetti un fenomeno.
Un evento che definì non solo la storia del rock, ma quella di una generazione intera.