E lasciava desiderio di sé, la tubercolosi tra arte e cronaca

Mimì si è assopita accanto al suo amato, eppure nessuno sembra essersi accorto che si è ormai congedata dal mondo. Creatura pucciniana esemplare della Bohème, si è spenta con dolcezza a causa di quello stesso «chiuso morbo» da cui la Silvia di Leopardi è stata vinta. E ancora Violetta, che nel Terzo atto della Traviata si alza dal letto, ma poi, in un batter d’occhi: cade. Tra eros e thanatos, la malsana periferia di Parigi e le speranze giovanili di un poeta, la vera protagonista di simili drammi, reali o immaginati, è stata la tubercolosi.

Malattia dei poveri e delle prostitute, per tutto l’Ottocento e per buona parte del Novecento ha colpito ricchi e meno abbienti cancellando molte linee di confine tra le classi sociali. Sotto il nome di “mal sottile” o “mal di petto”, costituì infatti una vera e propria pandemia, portando alla morte, tra gli altri, di artisti quali Amedeo Modigliani, Wolfgang Goethe, Emily Brontë, Anton Čechov e Fryderyk Chopin che, all’acme della malattia (1835-1839), compose i suoi “Preludi”.

 

Ma, fuori dalle pagine che l’hanno romanticizzata allora, quando molte persone credevano che causasse sensazioni di euforia definite come “spes phtisica” e “speranza del consunto”, o che le sue vittime avessero barlumi di creatività al suo progredire, la malattia ha continuato il suo percorso attraverso i secoli. Lo dimostrano i più recenti casi di cronaca nostrani: dallo studente di una scuola media in provincia di Monza, che nel settembre 2018 ha manifestato i primi sintomi della patologia; alla notizia di due minorenni affetti da tubercolosi polmonare a Varese nel febbraio dello scorso anno; sino a quanto accaduto nel casertano nel 2017, dove un’intera scuola è stata chiusa a causa di un alunno tubercolotico. Ne è derivato l’allarme, il sensazionalismo di una «malattia che è tornata». Fenomeni che sorprendono solo fermandosi a una visione superficiale. Perché, come spiega Daniela Cirillo, medico a capo dell’unità Patogeni batterici emergenti all’Ospedale San Raffaele di Milano, «la verità, è che la Tbc non se ne è mai andata, benché si tratti di una delle malattie infettive più antiche».

Antica sì, addirittura millenaria. Le sue prime tracce storiche, infatti, si perdono nella notte dei tempi: rintracciabile nei testi medici delle civiltà arcaiche (cinese, indiana, mesopotamica), in cui si fa riferimento a malattie destruenti, consumatrici di uomini. Le indagini della moderna paleopatologia, pur non documentando con assoluta sicurezza l’esistenza di lesioni tubercolari nelle mummie egizie dell’età faraonica, hanno permesso di rilevare la presenza di silice nei polmoni di alcune di esse: inducendo a ritenere che l’inalazione della sabbia del deserto, ad alto contenuto siliceo, abbia potuto favorire la diffusione tra gli antichi egizi della forma polmonare della malattia (dal momento che: «La silicosi è il letto della tisi», come sostenuto dal patologo tedesco Marc Armand Ruffer nel 1910).

Maggio 1936: alcuni pazienti del St. Thomas Hospital di Londra riposano sulle rive del Tamigi durante l’ora di “aria pulita” che si riteneva necessaria ai fini della guarigione dalla tubercolosi. (Photo by Fox Photos/Getty Images)
Gennaio 1933: I pazienti paralizzati dalla tubercolosi vengono curati all’aperto sulla neve presso l’Harlow Wood Orthopaedic Hospital nel Nottinghamshire. Qualunque sia il tempo, trascorrono le loro giornate sdraiati su reti di ferro all’aria aperta, come misura curativa. (Photo by Harry Shepherd/Fox Photos/Getty Images)

Ma andiamo con ordine. La parola “tubercolosi” deriva dalle lesioni, chiamate “tubercoli”, che compaiono nei diversi organi colpiti dall’infezione. La stessa che in Grecia, nel decorso in malattia, venne definita «tisi» e tramandata dalla medicina ippocratica come «quella che più di ogni altra uccide». Ma che fosse tisi, tubercolosi, o la “tabe” dei latini, con l’una o con l’altra etichetta si trattava della consunzione, la malattia che distruggeva i polmoni e consumava uomini e regnanti da ogni dove. «Suonava il corno sino a sfinirsi, si fermava solo per sputar sangue», scriveva a proposito del Re di Francia Carlo IX il biografo Jean Oriex. E così la malattia, nella dinastia dei Valois apparentemente ereditaria data la sua alta incidenza, assunse i contorni di una lugubre maledizione. La causa? Un comune costume dell’epoca, che attribuiva ai re il potere di guarire i malati con il solo tocco della mano destra, quale segno “tangibile” della loro discendenza divina (una pratica che si protrasse fino a Carlo X di Francia, che in vista della sua incoronazione toccò “appena” 121 malati).

Da cinquecentesca «maledizione dei Valois», e da barocca «malattia delle persone del gran mondo», come la definì il medico Samuel Auguste Tissot, la tisi diventò nel tardo Settecento la regina delle malattie. Ma è nell’Ottocento che il modo di considerarla subì una profonda trasformazione, divenendo la patologia letteraria delle “peccatrici” come Violetta e Mimì. Contrappasso narrativo nel segno di una tinta purpurea: con il rosso del peccato da una parte e quello del sangue dall’altra. Quello che colorava le gote di una pelle lunare e bianchissima, come la carnagione esangue di Lisbeth protagonista de La cugina Bette di Honoré de Balzac. Lo stesso candore perlato che contraddistinse la giovane moglie di Edgar Allan Poe, Virginia Clemm, su cui la cronaca scriveva: «Si sentiva che era quasi uno spirito svestito, e quando tossiva si era sicuri che stava scomparendo rapidamente».

L’apice della “consumptive chic”, dalla tendenza di voler apparire affette da tubercolosi, con guance rosee e labbra scarlatte, arriva nel 1800, quando i corsetti vengono stretti a tal punto da far sembrare le ragazze delle figure scheletriche e mortifere. Illustrazioni da Consumptive Chich, di Carolyn A. Day

Eppure, lontani da simili ritratti languidi, nonostante gli avanzamenti scientifici di tubercolosi continuiamo ad ammalarci. «Il motivo è semplice: non è mai stata debellata», continua Cirillo. «Essendo una malattia che si trasmette per via aerea, benché sostenuta da batteri di per sé non così infettivi come i virus, è facilmente trasmissibile. Basta che un individuo malato tossisca a lungo in una stanza chiusa per dare inizio al contagio. A questo punto, degli infetti non tutti sviluppano la malattia. Qualcuno lo fa rapidamente, i più nel giro di due anni, mentre in altre persone l’infezione rimane latente e si attiva nel momento in cui le difese immunitarie dell’individuo si abbassano». È il caso riportato dai quotidiani nazionali lo scorso 7 aprile 2019: il batterio della Tbc era rimasto nascosto per quasi 40 anni, sopito nel corpo di una maestra di una scuola elementare del trevisano finita in ospedale con tosse e febbre molto alta. Dopo appena pochi giorni, sette dei suoi alunni si sono ammalati l’uno dopo l’altro, tutti colpiti da una forma acuta di tubercolosi. E a proposito della latenza: «In Italia si stima che le persone che evidenziano una tubercolosi latente, e quindi che sono entrate in contatto con il bacillo ma non presentano sintomi della malattia, né sono infettive, siano 7,2 milioni», spiega Cirillo. «Dobbiamo ricordarci che fino a 50 anni fa da noi la tubercolosi aveva un’incidenza media. Molte persone infette già all’epoca, diventando anziane riattivano la malattia in quanto carenti di difese immunitarie. Ed è per questo che pensare che la tubercolosi sia legata solo ai migranti non è solo fuorviante ma proprio sbagliato».

Ci si ammala ancora, quindi, perché la malattia è presente nella popolazione, anche in quella italiana. «Basti pensare che 2 miliardi di persone in tutto il mondo sono contagiate dal bacillo della tisi», afferma Luigi Codecasa, direttore responsabile di Villa Marelli di Niguarda, Centro di riferimento regionale per la tubercolosi: «Per questo è inevitabile che la patologia si rifaccia viva ogni tanto».

Tra i motivi da cui dipende la sua permanenza, il principale ha a che fare con una mancanza scientifica. «Con i test diagnostici odierni non è possibile controllare tutti i possibili infetti», ammette Cirillo, in riferimento all’esame Mantoux, il più diffuso per diagnosticare una forma tubercolare. Consiste nell’iniettare una piccola quantità di tubercolina, l’estratto del bacillo della malattia, nel braccio del paziente. Una reazione positiva indica che il sistema immunitario è già venuto a contatto con il batterio della tubercolosi. «Il fatto è che dei positivi al test, solo alcuni svilupperanno la malattia. E, qualora si tratti di persone anziane, come spiegare che dovranno essere trattati con una terapia antibiotica non priva di effetti collaterali di minimo tre mesi perché, forse, prima o poi svilupperanno la malattia?», commenta l’esperta. È quanto emerso inoltre da una ricerca condotta dalla rivista Nature, che ha valutato l’impatto del trattamento dell’infezione latente su un campione di anziani infetti in Cina: gli effetti collaterali e i rischi sono stati valutati troppo alti rispetto ai benefici. «Con simili limiti è come procedere alla cieca, sperando di aver selezionato gli infetti giusti», afferma Cirillo.

Londra 1942: una paziente affetta da tubercolosi riposa davanti alla finestra. (Photo by D. Hess/Fox Photos/Getty Images)
Londra 1942: pazienti affetti da tubercolosi. (Photo by D. Hess/Fox Photos/Getty Images)

«La contessina Bice spegnevasi lentamente. Di malattia di languore, dicevano gli uni. Di mal sottile, dicevano gli altri», scrive Giovanni Verga nella novella Dramma intimo, tracciando (in modo involontario) una breve storia ragionata della tubercolosi. Ma da cosa è causata davvero? «L’infezione polmonare è provocata da un micro batterio, comunemente conosciuto come “Bacillo di Koch” (dal nome del medico che lo scoprì nel 1882) e colpisce prevalentemente le vie respiratorie», spiega Codecasa. Per questo si trasmette facilmente, entrando in contatto con il bacillo attraverso tosse e starnuti. E così perseguita l’umanità dai tempi più remoti, e fin dai tempi più remoti datano gli sforzi dell’uomo per combatterla.

Eppure, anche se in Italia e nel mondo (dove il numero di nuovi casi diminuisce del 2% all’anno, con riduzioni più rapide in Europa, 5% all’anno, e in Africa, 4% all’anno, tra il 2013 e il 2017), il numero di casi di Tbc notificati mostra una lenta e progressiva diminuzione dell’incidenza, basta scovarla tra i titoli di giornale per sussultare. E il vampirismo cui talvolta veniva associata prima della Rivoluzione industriale non c’entra niente. Perché ormai siamo troppo evoluti per dare a una malattia connotati tanto mostruosi. Forse. «È pur sempre stata il primo “killer” che ha decimato la popolazione mondiale e influenzato la nostra cultura», continua Codecasa. «E se un tempo era “il vampiro”, adesso troppo spesso la associamo al migrante, all’uomo che viene da fuori e ci ammala tutti. A questo si aggiunga l’ignoranza di chi la considera sparita del tutto, e di quanti non sanno che è assolutamente curabile». E chissà cosa ne penserebbe Guido Gozzano, lo scrittore che ci ha regalato una delle pagine più struggenti sul suo mal sottile e sul modo per (non) guarirne: «Mi picchiano in vario lor metro spiando non so quali segni / m’ascultano con li ordegni il petto davanti e di dietro. / E senton chi sa quali tarli i vecchi saputi… A che scopo? / Sorriderei quasi, se dopo non bisognasse pagarli». Per curarsi, ora, è necessaria una terapia composta da una combinazione di antibiotici. Per prevenire, invece, esiste un vaccino (il BCG) che però, come illustra Codecasa: «È troppo vecchio e poco efficace. Purtroppo è l’unico finora disponibile, ed è causa di numerosi effetti collaterali. Inoltre sono stati registrati casi di infezione in persone vaccinate con il BCG durante l’infanzia. Vi è quindi una ricerca costante per migliorarlo, poiché sarebbe la soluzione migliore per ridurre a zero il rischio di trasmissione».

Oggi le politiche sanitarie a riguardo variano da Paese a Paese: in alcuni i bambini vengono ancora vaccinati a tappeto, in altri si decide caso per caso, in altri ancora viene somministrato solo a specifici gruppi di popolazione. Nel frattempo, il 29 ottobre 2019 il New York Times ha riportato la notizia secondo cui i ricercatori avrebbero sviluppato un nuovo vaccino (GSK) che nonostante sia «ancora in fase sperimentale, ha già dimostrato la sua efficacia nei test su circa 3 mila adulti del Kenya, Zambia e Sudafrica affetti da un’infezione latente. Solo 13 di loro hanno sviluppato la tubercolosi».

Luglio 1955: le studentesse fanno la fila per le vaccinazioni contro la tubercolosi, durante una “vaccinazione di massa” effettuata alla Kilmorie Secondary School. (Photo by Edward Miller/Keystone/Getty Images)
Parigi, 1945: Una sessione di “screening” della tubercolosi per i bambini, dopo che i casi di infezione primaria vennero rilevati in due stabilimenti parigini. (Photo credit should read -/AFP via Getty Images)

Lontano dal pragmatismo, però, è stata sublimata; dal romanzo naturalista ottocentesco che l’ha incastonata in un universo vizioso, lo sguardo sull’abisso dei pittori scapigliati, l’ultimo atto di un mondo giunto al collasso. Ne soffrivano i personaggi di Émile Zola, che nelle sue storie riversò le viscere febbricitanti di una Parigi condannata. Si consumavano le borghesi di Tolstoj nella novella Tre morti, dotate di un’attrazione fatale che legava le donne alla morte: tremavano di una bellezza non dicibile, languivano. Loro che spesso, anche nella realtà, ne erano affette davvero. «Le giovani donne, i bambini, gli anziani, e tutti coloro che soffrono di patologie che danno problemi di tipo immunitario sono più predisposti a sviluppare la malattia. Oggi lo sono soprattutto i sieropositivi», continua Codecasa. Non a caso, i Paesi a maggior incidenza come l’India, la Cina, le ex repubbliche sovietiche e l’Africa subsahariana, sono quelli dove è più alta la presenza del virus HIV. «Nelle persone infette dal virus, la Tbc è una patologia che segna il passaggio all’AIDS conclamata. Non solo: essa rappresenta oggi la causa di mortalità più comune tra le persone sieropositive nel mondo ed è una delle più diffuse malattie correlate all’AIDS in Europa», afferma Cirillo. «Questo perché mentre il soggetto non immunodepresso tende a controllare la malattia, e quindi a non sviluppare la tubercolosi, nel sieropositivo ha un decorso rapidissimo con forme molto pericolose e più subdole da diagnosticare». Per prevenirla, tutti i portatori di HIV sono in costante profilassi antibiotica. «Curarla invece è possibile, ma molto complicato», aggiunge l’esperta. Nel trattare contemporaneamente tisi e HIV infatti, bisognerebbe assumere una quantità enorme di medicinali, e fare attenzione alle possibili interazioni tra i farmaci impiegati nei due trattamenti. «I pazienti sono già deboli, e il rischio che questa combinazione non abbia effetto rimane elevato», conclude.

Deboli. Come i bambini, gli adolescenti, le giovani donne. Forse è per questo che la tubercolosi anche oggi atterrisce. Perché, nell’immaginario comune, falcia ancora giovani vite piene di promesse e le speranze che in loro vorremmo riporre. Come Matilde Manzoni, che ne è simbolo con i suoi 26 anni strappati alla vita. «Qui risposa spenta dal lento morbo», scriveva il padre e poeta, Alessandro Manzoni, nella sua epigrafe. A lei e forse a tutti gli altri che, per la tisi, lasciavano «desiderio di sé, per una vita bella di tante virtù».

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