Ha confermato quello che aveva detto nell’estate 2018, Francesco Tedesco, uno dei cinque carabinieri imputati nel processo bis sulla morte di Stefano Cucchi. Ha testimoniato in aula e ha ammesso di aver assistito al pestaggio di Cucchi, accusando Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernando, i due carabinieri a processo con lui con l’accusa di omicidio preterintenzionale, di esserne i responsabili.
Era presente la notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009, durante il pestaggio, iniziato da uno schiaffo dato a Stefano da Di Bernardo. «Lui e Cucchi avevano battibeccato più volte per tutta la notte, erano arrivati all’insulto. Cucchi non voleva fare il fotosegnalamento, non voleva sporcarsi con l’inchiostro e aveva mimato il gesto dimostrativo di una sberla. Di Bernardo invece diede a Cucchi uno schiaffo violentissimo mentre D’Alessandro gli sferrò un calcio vicino all’ano. Poi Di Bernardo spinse a terra Cucchi, che cadde col bacino e picchiò la testa, tanto sentii il rumore. E mentre stava giù gli arrivò un calcio in faccia da parte di D’Alessandro. Intervenni, gridai “che cazzo fate, come vi permettete, fatela finita”. E se non fossi intervenuto, allontanandoli da Stefano, i due colleghi avrebbero proseguito».
Tedesco avrebbe poi aiutato Cucchi a rialzarsi chiedendo come stesse. Lui rispose: «Sono un pugile, sto bene». Dopo aver chiamato il suo superiore, Roberto Mandolini, Francesco Tedesco rientrò in macchina alla caserma dell’Appia. «Di Bernardo e D’Alessandro, che stavano seduti davanti non sembravano per nulla preoccupati. Io, sotto choc, stavo dietro con Cucchi, che si era tirato su il cappuccio, stava a capo chino e non diceva una parola. Solo una volta arrivati in caserma, mentre i due colleghi erano a rapporto nell’ufficio di Mandolini, Cucchi cominciava a parlarmi, mi chiese del metadone e un farmaco».
Tedesco ha voluto chiedere scusa alla famiglia di Cucchi, parlando di questi anni come un muro insormontabile. «La mia relazione di servizio sui fatti di quella sera – ha raccontato ancora – era stata fatta sparire, avevo fatto delle denunce precise e non c’era più niente. Sono state modificate le annotazioni in mia presenza come se non esistessi, Mandolini mi ha invitato più volte a sorvolare su alcuni episodi, tanto ci avrebbe pensato lui come comandante della caserma a gestire la cosa». Mandolini avrebbe inoltre intimato Tedesco di dire di fronte al pm che Cucchi stava bene la notte del 15 ottobre, intimandogli di «seguire la linea dell’Arma. Nel 2015, quando siamo stati sentiti in procura, abbiamo capito che le cose si stavano mettendo male e allora ho deciso di raccontare al mio avvocato tutto quello che sapevo».
«Quando ho letto il capo di imputazione per questo processo – ha continuato il vicebrigadiere – era esattamente descritto quello che io avevo visto con i miei occhi. Ci ho pensato e ho capito che non riuscivo più a tenermi questo peso. Probabilmente avevo sottovalutato i fatti: non pensavo che tra la caduta e il pestaggio potesse esserci un nesso con l’evento morte».
Proprio ieri il comandante generale dei carabinieri Giovanni Nistri ha detto in una lettera a Ilaria Cucchi che l’Arma potrebbe costituirsi parte civile nel processo. La sorella di Stefano ha anche commentato la deposizione di Tedesco: «Dopo dieci anni di menzogne e depistaggi in quest’aula è entrata la verità raccontata dalla viva voce di chi era presente quel giorno. Sentivo il carabiniere Tedesco descrivere come è stato ucciso mio fratello – ha aggiunto – e il mio sguardo cercava quello dei miei genitori che sentivano raccontare come è stato ucciso il loro figlio. È stato devastante, ma a questo punto quanto accaduto a Stefano non si potrà mai più negare».