Scandalo Procure, i pizzini entrano al Palazzo di Giustizia di Roma

I pizzini sbarcano negli uffici del Palazzo di Giustizia di Roma. Rievocando una parte di storia italiana. Una delle più buie. Perché di quelle striscioline di carta, i pizzinu «piccolo pezzo di carta», nel gergo della Mafia siciliana, i boss di Cosa Nostra si sono serviti a lungo per comunicare. Ordinare omicidi, stragi, comandare a distanza le attività criminali dell’organizzazione e sfuggire alla giustizia italiana: da Totò Riina a Bernardo Provenzano, a Matteo Messina Denaro. I boss simbolo di Cosa Nostra, la «Piovra», che con i suoi tentacoli stritola e tiene sotto scacco lo Stato.

Stanza 324 della palazzina C del Palazzo di Giustizia di Roma: la Guardia di Finanza mette a soqquadro l’ufficio di Luca Palamara. Tra le carte del magistrato, coinvolto nello scandalo delle Procure, vengono rinvenuti dei bigliettini di cui Palamara si è servito per ritardare inchieste e rallentare sentenze.

Nei bigliettini il linguaggio utilizzato non è quello cifrato dei pizzini scritti dai boss siciliani. Ci sono invece frasi esplicite, con cui “clienti” chiedevano al magistrato favori processuali: «Questa è fondamentale che la rigetti». Indicazione dei processi e nomi di giudici,  dai pizzini emergono nuove prove che inchiodano Palamara, accusato dalla Procura di Perugia per corruzione dal 30 maggio scorso. Con una lucida consapevolezza, uno dei magistrati più importanti di Roma, avrebbe influenzato e indirizzato diversi processi.

Ma accanto ai pizzini, ci sono gli incontri notturni, e le lunghe conversazioni intercettate, tutti elementi inconfutabili a dimostrazione che dalla porta del Palazzo di Giustizia ha fatto ufficialmente il suo ingresso la corruzione.

Protagonista indiscusso dello scandalo che ha colpito il Consiglio Superiore della Magistratura e la credibilità delle toghe, è proprio lui, Luca Palamara. Ex membro del Csm, presidente dell’Associazione nazionale magistrati e leader di Unicost, corrente “centrista” della magistratura. Il pm è sospettato di aver intrattenuto dei rapporti inopportuni con  alcuni lobbisti, che avrebbe poi tentato di aiutare, manovrando le nomine delle Procure.

Trojan, il potente software spia installato nel telefono di Palamara, è stata la chiave che ha permesso di far emergere i fili sottili mossi dal magistrato. Ambizioso, secondo i i togati di Perugia, Palamara aveva dimostrato un forte interesse alla nomina del nuovo procuratore capo di Perugia e di Roma.

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