«L’ho uccisa e ho occultato il suo cadavere. La persona che ero allora non è la stessa che sono oggi. Ora sono una persona più lucida e consapevole. Questo processo mi ha cambiato molto».
Alessandro Impagnatiello, seduto al banco degli imputati il giorno dell’anniversario dell’omicidio di Giulia Tramontano, è chiamato a ricostruire l’intera vicenda. Il suo racconto, crudo e dettagliato, dipinge un’immagine vivida nella mente dei presenti, al punto da far emergere un senso di sgomento. Una reazione così intensa che molti degli spettatori, incapaci di sopportare l’intensità emotiva e l’impatto del racconto, hanno scelto di lasciare l’aula.
Il racconto di Impagnatiello appare quasi come un copione, fatto di frasi costruite e parole artefatte che non restituiscono la chiarezza necessaria. Una narrazione distaccata, a tratti cantilenante e contraddittoria, caratterizzata da pause, esitazioni e incoerenze che hanno spesso suscitato la critica dei presenti. Tra questi, a scuotere la testa in senso di dissenso, la madre di Giulia, una presenza coraggiosa che, tra silenzi e sguardi, ha fatto rumore. «Oggi siamo tutti Giulia. Parlate di Giulia» ha chiesto ai giornalisti, abbandonando l’aula del Palazzo di Giustizia.
La ricostruzione
Il barman, a distanza di un anno, non ha più l’intenzione di sviare le indagini. «Ho portato avanti questa versione dei fatti per troppo tempo. Una versione in cui non avevo ancora realizzato quanto accaduto. È stata una bugia che ho raccontato ai carabinieri, ma soprattutto a me stesso. Adesso sono in una fase di accettazione, ma sto ancora riallacciando i pezzi».
L’omicidio
È il 27 maggio 2023. Giulia torna a casa attorno alle 19 dopo aver parlato con Allegra Cerea, l’altra donna di Impagnatiello. Il clima è freddo. «Abbiamo avuto una discussione molto breve, senza toni accesi. Non era più il momento di continuare a raccontare il falso, ma non avevo il coraggio di affrontarla perché provavo un forte senso di vergogna». Impagnatiello inizia così il suo racconto, narrando le dinamiche dell’omicidio in un modo così distaccato da suscitare l’inquietudine dei presenti. La descrizione continua con i dettagli vividi della scena. I due si evitano in casa, lui in salotto e lei in cucina a preparare la cena. “Udí un piccolo lamento”. Giulia si era ferita, tagliando le verdure. «Arrivai alle sue spalle con il coltello in mano, mentre lei era china davanti al mobile della televisione per cercare un cerotto. Si voltò verso di me. Per un attimo rimanemmo impalati a guardarci. Poi la colpì al collo – e singhiozzando continua – Non ha avuto occasione di difendersi». Particolari che costruiscono una fotografia nelle menti degli spettatori, molti dei quali, forse sopraffatti da questo racconto, sono usciti dall’aula.
L’imputato ricorda di averla colpita 3-4 volte e di aver appreso il numero esatto dei fendenti – 37 – guardando un telegiornale in carcere. «Il numero di fendenti non è mai stata un’informazione a mia disposizione. – e commentando questo blackout, aggiunge – Mi ci sono voluti diversi mesi per arrivare ad accettare una realtà più limpida».
Gli spostamenti
«Subito dopo l’omicidio sono entrato in una fase negazione. Volevo cancellare quanto accaduto e ho cercato di far sparire il corpo. L’ho spostato nella vasca da bagno e ho provato a dargli fuoco per la prima volta». Un tentativo che Impagnatiello fa intendere di non aver premeditato, nonostante la ricerca “ceramica vasca bruciata” risulti precedente al momento dell’omicidio. Uscito di casa per vedere Allegra Cerea, si ferma a comprare la benzina in una stazione di servizio. «Volevo renderla cenere, così ho provato a darle fuoco una seconda volta, ma solo dopo aver spostato il corpo nel box, passando per le quattro rampe di scale del condominio. Speravo che qualcuno mi vedesse». Nonostante la mancanza di lucidità, che l’imputato sottolinea più volte di aver vissuto, i tentativi disperati di occultare il cadavere non finiscono qui e, scandendo il tempo con la mano sul banco, parla dell’imminente sopralluogo che lo costringe a sgomberare il box, rivelando anche la presenza di alcune piante di marijuana coltivate ad uso personale nel posto auto. Il 29 Maggio, il giorno dopo la denuncia di scomparsa di Giulia, gli ultimi spostamenti. Il corpo viene posizionato nella cantina e poi nuovamente nel box, prima di essere caricato in auto.
Il depistaggio
«Una parte di me continuava a cercare Giulia, aspettavo che il telefono squillasse». Quella che Impagnatiello descrive quasi come un’alienazione dalla realtà è poi diventata un vero e proprio depistaggio delle indagini. Alla madre di Giulia e ai carabinieri parla infatti di valige e contanti mancanti e in un audio, inviato alla stessa Giulia, fa riferimento alla possibilità che lei sia andata in Francia per raggiungere una vecchia amica. Tutte informazioni che in un primo momento hanno portato a pensare che potesse essersi trattato di un allontanamento volontario della ragazza.
Finché, l’imputato non riferisce agli inquirenti che in casa c’è ancora il passaporto di Giulia. Elemento che apre un nuovo scenario: il suicidio. «I messaggi che mandavo a Giulia erano come lettere di addio, ma non ho mai parlato a nessuno di un possibile suicidio. Continuavo a sperare che lei sarebbe tornata, dicevo alla madre che mancavano i suoi oggetti per convincermi del fatto che se ne fosse andata».
Il veleno
Alla domanda del Pm «Hai somministrato del veleno a Giulia?», Impagnatiello risponde con secco “Sì”, rivelando solo in seguito di averle fatto ingerire una pastiglia di topicida da un grammo, per ben due volte durante il sonno, nella prima metà di Maggio. Secondo l’autopsia, però, sembrano esserci due opzioni: il tasso di veleno individuato nel corpo denota o che la somministrazione sia stata ripetuta e crescente nel tempo; o che sia avvenuta poche volte, ma con un dosaggio alto. Inoltre, le ricerche “Veleno letale, quanto ne serve” dimostrano proprio l’intenzione di conoscere la quantità esatta per uccidere. Una teoria che, però, l’imputato ha specificato non essere corretta: «Non volevo assolutamente fare del male a Giulia. Volevo colpire il feto. È sempre stato così». Ed è per questo motivo che, già a dicembre, quando viene a conoscenza della gravidanza, nella sua cronologia appaiono parole come: “Veleno per topi”, “Veleni fetali” e “Veleni mortali fatti in casa”. Tra le ricerche effettuate, anche “Cloroformio sonnolenza/fazzoletto” che Impagnatiello dice di aver effettuato per informarsi su come sigillare il plexiglass di un acquario; e “Ammoniaca-Feto”, una sostanza di cui Giulia ha lamentato più volte l’odore bevendo dell’acqua.
Perché hai ucciso Giulia?
Dopo aver deposto per cinque ore e mezza, Impagnatiello ha risposto a tutte le domande che l’accusa gli ha rivolto, limitando la chiarezza ai soli fatti che possano escludere la premeditazione dell’omicidio perché «io non odiavo Giulia e avrei dato la mia vita per lei». Parole ritrovate anche in una lettera da lui datata estate 2022. “Juliet, Io non ti farei mai nulla, forse ora mi credi falso, non ti sei mai fidata di me. Purtroppo o per fortuna non si è presentata l’occasione per dimostrare che darei la mia vita per salvare la tua. A questo punto, spero che questa occasione arrivi, così da toglierti ogni dubbio”. Una lettera che per Impagnatiello testimonia l’amore incondizionato che provava per Giulia ma che, alla luce dei fatti, lascia l’amaro in bocca.
Un amore che il consulente psichiatra definisce malato. Secondo l’esperto, sulla base dei colloqui avuti con lui in carcere, Impagnatiello covava rancore identificando Giulia come «una donna cattiva, la nemica che mandava in pezzi la sua quotidianità».
Impagnatiello non si riconosce in questa fotografia e alla domanda diretta «Perché hai ucciso Giulia?» risponde: «È una domanda che non avrà mai una risposta. Gestire due vite parallele era stressante, ma non c’è stato un reale motivo».