Sono le 6.50 di domenica mattina quando l’Ong Alarm Phone riceve l’ultimo segnale da un barcone di migranti partito dalle coste libiche. Poco dopo il naufragio. Si tratta dell’ennesima imbarcazione di fortuna che trasportava 47 persone e che, già poco dopo la partenza, ha accusato i primi problemi di navigazione. Dopo ore in balia del mare, il barchino si è capovolto. Sono ancora 30 i dispersi, mentre 17 persone sono state recuperate in mare e portate in salvo da una nave mercantile.
La ricostruzione del naufragio
Il barcone, con a bordo 47 migranti, si trovava alla deriva a poche miglia dalla costa libica. Il viaggio di fortuna era iniziato nella notte tra venerdì e sabato, quando i passeggeri in fuga dalla Libia hanno contattato la Ong Alarm Phone. «Ci avevano comunicato la loro posizione Gps, che avevamo trasmesso alle autorità italiane, maltesi e libiche alle 2:28 dell’11 marzo» dice la Ong.
«La situazione era critica. La barca era alla deriva. Le condizioni meteorologiche erano estremamente pericolose. Le persone a bordo urlavano al telefono, dicendoci di avere bisogno di aiuto» prosegue Alarm Phone. Sentita la richiesta di aiuto, la Ong ha informato il Centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano (Mrcc), inviando le posizioni Gps e richiedendo l’intervento di navi da soccorso.
Non avendo ricevuto risposta positiva all’operazione, i volontari dell’Ong hanno ricontattato il Mrcc, chiedendo di inoltrare la segnalazione alla nave Amax Avenue che si trovava nelle vicinanze. Anche in questo caso però le autorità non hanno inviato nessun ordine e la nave ha proseguito la sua rotta.
Nove ore dopo, l’imbarcazione in pericolo è stata nuovamente avvistata da un velivolo di ricognizione della Sea Watch che, notando le condizioni di difficoltà, ha contattato le autorità. Di nuovo, hanno ignorato la segnalazione. Solo diverse ore dopo, una nave mercantile «non italiana e non facente capo all’operazione Irini» ha raggiunto il luogo del naufragio.
Le accuse della Ong
L’accusa dell’Ong: «Questo ritardo si è rivelato letale. Per molte ore, le navi mercantili si sono limitate a monitorare la situazione senza intervenire. Evidentemente, le autorità italiane stavano cercando di evitare che le persone venissero portate in Italia. Ritardando l’intervento, speravano che la guardia costiera libica arrivasse e riportasse con le persone in Libia, nelle condizioni di tortura da cui avevano cercato di fuggire».
Durante le prime comunicazioni fra Alarm Phone e la guardia costiera libica, le autorità avrebbero assicurato l’intervento di un’imbarcazione. Poco dopo però dalla Libia avrebbero ritrattato e fatto sapere di non avere mezzi a disposizione per il soccorso. «Hanno aggiunto che a coordinare quell’evento di ricerca e soccorso era l’Italia» ha dichiarato l’Ong.
L’ultimo contatto fra Alarm Phone e l’imbarcazione è avvenuto alle 6.50: «Le persone a bordo erano disperate, gridavano e chiedevano aiuto». Poi, alle 7.20, l’ultima chiamata senza risposta. Dopo pochi minuti, l’imbarcazione si è capovolta.
«Perché, data l’urgenza della situazione, le autorità italiane non hanno inviato immediatamente sul luogo dell’emergenza mezzi di soccorso adeguati? Perché, dopo il naufragio letale di Crotone, che si somma a innumerevoli morti e scomparse avvenute nel Mediterraneo negli ultimi anni, l’Ue continua a militarizzare i suoi confini, a scoraggiare le persone in movimento e a lasciarne annegare migliaia?».
Le critiche e la risposta dell’Ue
Dopo il secondo disastro in mare in appena una settimana, montano le critiche verso il Governo. Il Pd attacca la gestione dei flussi migratori da parte dell’esecutivo, ma è il portavoce della Commissione europea Peter Stano a scagionare l’Italia e l’Ue. «L’operazione navale Irini non può operare nelle acque della Libia, le operazioni di ricerca e soccorso in acque libiche sono autorizzate solo per le imbarcazioni libiche. Le navi di Irini pattugliano un’area determinata dall’accordo dagli Stati membri e questa area non è la rotta principale dei migranti» ha spiegato, sottolineando che il suo «compito primario è vigilare sull’applicazione dell’embargo Ue sulle armi alla Libia».