La questione sull’aborto torna ad essere attuale in diverse città italiane, coinvolgendo politici e cittadini da Nord a Sud. Recentemente, infatti, alcuni comuni italiani hanno discusso in merito all’approvazione della mozione anti-aborto, che vede la ridefinizione della legge 194 e la tutela del diritto alla vita.
Occhi su Milano e non solo
Milano è stata soltanto una delle sedi in cui la mozione anti-aborto ha scatenato le reazioni di chi sostiene la legittimità della libera scelta, anche in merito a questo argomento delicato.
Alcuni giorni fa, infatti, è stata discussa a palazzo Marino, sede del Comune di Milano, la mozione contro la legge 194, presentata dal consigliere di Forza Italia Luigi Amicone. La legge citata risale al 22 maggio 1978 e sostiene che «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite». «Lo Stato, le regioni e gli enti locali, – continua il testo – nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite». Di fatto, la norma citata regola la tutela sociale della maternità e stabilisce le norme per l’interruzione di gravidanza.
La discussione portata in consiglio a Milano da Amicone, ha suscitato la protesta silenziosa di alcune donne che per l’occasione hanno indossato un mantello rosso e un copricapo bianco, a imitazione delle protagoniste de “Il Racconto dell’ancella”, opera della scrittrice canadese Margaret Atwood. Le donne del romanzo, da cui è stata tratta la famosa serie televisiva “Handmaid’s Tale”, vengono infatti sfruttate esclusivamente per avere dei figli.
Le manifestanti erano tutte esponenti del movimento femminista “Non una di meno”, che da anni lotta per i diritti delle donne. «Siamo qui per difendere il diritto all’aborto – ha spiegato Carlotta, una delle attiviste entrate in aula – in una sede dove qualcuno vuole ridurci come le ancelle della serie tv. La mozione anti-aborto non riconosce la libertà di scelta delle donne». «In una regione come la Lombardia dove i cosiddetti centri per la vita sono già finanziati e dove gli obiettori arrivano al 70%, – ha continuato la manifestante – non serve di certo un provvedimento del genere. Sarebbe utile, piuttosto, spendere questi soldi per garantire i diritti delle donne».
Le proteste del movimento “Non una di meno” hanno ottenuto il risultato sperato: martedì 27 novembre Amicone ha ritirato la contestata mozione.
Il modello di Verona
L’argomento era già stato oggetto di dibattito in un’altra sede italiana. A Verona, il 4 ottobre, il consiglio comunale cittadino ha approvato una mozione contro l’aborto presentata dal consigliere leghista Alberto Zelger che in un’intervista a Radio24, ha dichiarato «l’aborto non è un diritto. Il mio esempio è la Russia di Putin, dove gli aborti sono scesi da quattro milioni l’anno a due con sussidi alla maternità. Fosse per me – ha continuato – la legge sull’aborto, la 194, non dovrebbe esistere. Sono contrario all’aborto, del tutto in linea con la posizione del ministro Fontana. Significa uccidere un bambino nella pancia della mamma».
Anche in questa occasione, le attiviste di “Non una di meno” avevano avviato la loro protesta silenziosa. Vestite di mantelli rossi e copricapi bianchi, avevano fatto il loro ingresso nella sala consiliare veronese, evocando l’immagine delle ancelle del romanzo distopico di Atwood, ormai divenuto simbolo mondiale della lotta delle donne contro la strumentalizzazione dei loro corpi.
La protesta delle attiviste ha attirato l’attenzione della stampa nazionale, ciononostante la mozione anti-aborto è stata approvata con 21 voti favorevoli e 6 contrari. Ciò che più ha suscitato clamore è stato l’appoggio di Carla Padovani, capogruppo del Partito Democratico. Un’adesione inaspettata che ha provocato reazioni di sgomento e rabbia tra le fila del suo partito: «la posizione di adesione alla mozione espressa dalla capogruppo è inaccettabile. – hanno confessato alcuni membri veronesi del PD – Crediamo che la consigliera Padovani non sia più compatibile con il ruolo di capogruppo, pertanto ne chiediamo formalmente le dimissioni».
È intervenuta sulla questione anche Maria Genneth, ginecologa e presidente dell’Aied di Verona, l’Associazione italiana per l’educazione demografica: «al momento in città il servizio per l’interruzione di gravidanza funziona abbastanza bene, ma Verona registra un tasso di obiezione di coscienza del 70%». «Ciò che più temiamo – ha confessato la Genneth – è che in futuro le organizzazioni cattoliche a favore della vita tentino di entrare all’interno dei consultori cittadini».
La città veneta ha quindi approvato una misura per la prevenzione dell’aborto e il sostegno alla maternità, autoproclamandosi città a favore della vita.
Secondo i dati ministeriali, in Italia dall’approvazione della legge 194, le interruzioni volontarie di gravidanza sono più che dimezzate. Ciononostante gli antiabortisti italiani continuano a sostenere che la legalizzazione dell’aborto sia una delle cause della bassa natalità della Penisola.