Le vasche per il contenimento del Seveso sono ancora in ritardo

Interi quartieri allagati, sommersi dall’acqua del fiume che riemerge dai tombini: i rigurgiti del Seveso rappresentano per Milano un’emergenza continua, che torna a colpire la città dopo ogni precipitazione abbondante, una o due volte l’anno. Dal 1975 si contano ben 118 episodi, di cui oltre 20 dal 2010. L’ultimo lo scorso 31 ottobre, quando l’acqua del fiume è risalita in superficie e ha inondato i quartieri di Isola, Niguarda e Maggiolina. Per affrontare questo problema le autorità hanno disposto la costruzione di quattro vasche di laminazione in grado di contenere le piene del Seveso. I lavori, però, sono in ritardo. E al momento l’unica struttura pronta a funzionare è quella di Milano.

Il corso del Seveso e i rigurgiti

Per comprendere le cause dei continui allagamenti e in che modo le vasche potrebbero evitarli, occorre anzitutto ricostruire il percorso del fiume. Il Seveso sorge da un piccolo monte al confine fra Italia e Svizzera, in provincia di Como. Poi scorre verso sud, arriva a Bresso e da lì entra a Milano. All’altezza di Parco Nord è stato “tombinato”, nel corso del Novecento, ossia interrato in un condotto sotterraneo e convogliato nel sistema fognario della città. In via Melchiorre Gioia il fiume si unisce poi al Naviglio Martesana, insieme al quale scorre fino al Cavo Redefossi.

Ecco, nel tratto interrato accade spesso di vedere le acque “rigurgitare”. Se un’”esondazione” si ha quando un fiume esce dagli argini, nel caso del Seveso si verifica invece una saturazione delle fogne dovuta alle abbondanti precipitazioni. Insomma, le acque non trovano più spazio per scorrere sottoterra e allora riemergono dai tombini, allagando aree settentrionali come quelle di Niguarda, Isola e Ca’ Granda. A causa dell’intensa urbanizzazione e cementificazione di questi quartieri, il terreno non è in grado di assorbire l’acqua e così si formano delle pozze in superficie. A tutto questo si aggiunge poi un altro fattore: il cambiamento climatico aumenta l’intensità delle precipitazioni, che finiscono per scaricare grandi quantità di acqua in poco tempo e in poco spazio.

Una veduta del fiume Seveso nel suo tratto scoperto fuori città
Una veduta del fiume Seveso nel suo tratto scoperto fuori città
Le vasche di laminazione

I rigurgiti del Seveso rappresentano dunque un grande rischio per le persone, le abitazioni, le infrastrutture e l’ambiente, con danni economici da milioni di euro. Da qui l’idea di costruire un sistema di vasche di laminazione lungo il tratto scoperto del fiume, ossia nei comuni a monte dove scorre in superficie. Un’idea concretizzatasi nel 2014, dopo le grandi esondazioni di luglio e novembre. In sostanza, si tratta di realizzare ampi e profondi bacini capaci di contenere il Seveso in caso di piena, evitando l’accumulo nel condotto che scorre sotto la città.

Marco Granelli, assessore alla Sicurezza del Comune di Milano
Marco Granelli, assessore alla Sicurezza
del Comune di Milano

Le vasche trattengono dunque l’acqua (per una capacità totale di 4 milioni di metri cubi) e la fanno tornare nell’alveo solo quando si conclude la piena. «Questo è il modo migliore, quello che viene usato in tutta Europa e in tutto il mondo», puntualizza Marco Granelli, assessore alla Sicurezza del Comune di Milano. «Quindi la strategia migliore è questa: fare le vasche, che permettono in tempi brevi di avere un sistema in grado di trattenere le acque per alcune ore, e nello stesso tempo proseguire con la realizzazione delle opere di de-impermeabilizzazione, di drenaggio e, soprattutto, di dispersione nei terreni per scopi irrigui. È chiaro che questo tipo di interventi hanno tempi di realizzazione più lunghi».

I costi e gli investimenti

L’idea delle vasche si è concretizzata a partire dal 2014, quando il Governo Renzi ha sbloccato i fondi per gli interventi in situazioni di dissesto idrogeologico, con un piano anti-esondazioni da 170 milioni di euro. L’anno dopo è arrivato un importante accordo siglato da presidenza del Consiglio, Regioni, Città metropolitana e Comune. Un accordo che prevedeva la realizzazione di quattro strutture, tra Monza e Milano: quelle di Senago (46 milioni di euro), Parco Nord (31 milioni), Lentate sul Seveso (27 milioni) e Varedo-Limbiate-Paderno Dugnano (92 milioni). Il testo prevedeva anche altre opere considerate prioritarie per il nodo idraulico di Milano, come la riqualificazione del Cavo Redefossi (15 milioni). In sostanza, una serie di interventi complementari mirati a ridurre la quantità di acqua e la velocità con cui arriva al fiume.

Gianluca Comazzi, assessore al Territorio e Sistemi verdi di Regione Lombardia
Gianluca Comazzi, assessore al Territorio
e Sistemi verdi di Regione Lombardia

La vasca di Milano e la sistemazione del Cavo Redefossi sono state affidate al Comune di Milano, tutte le altre opere all’Agenzia interregionale per il fiume Po (AiPo). A quanto afferma Granelli, «tutti questi progetti sono stati finanziati dal Governo per 115 milioni di euro, cui si aggiungono i 10 stanziati dalla Regione e i 20 del Comune». Più generose le cifre di Palazzo Lombardia: «Sul nodo idraulico di Milano abbiamo messo a terra 210 milioni di euro», fanno sapere dall’assessorato al Territorio, guidato da Gianluca Comazzi. «In totale negli ultimi cinque anni abbiamo investito circa un miliardo di euro in interventi di difesa del suolo e mitigazione del rischio idrogeologico. Siamo la prima Regione in Italia».

I continui ritardi

Al di là dei costi, il punto della questione è che tutti i lavori sono in ritardo, con Comune e Regione che si scaricano a vicenda le responsabilità. Al momento gli unici progetti conclusi sono quelli di competenza comunale: il Cavo Redefossi e la vasca di Parco Nord. In merito a quest’ultima, Granelli sottolinea come i lavori siano terminati tra settembre e ottobre, «nel senso che si sono conclusi i collaudi tecnici e sono ora in corso quelli amministrativi: dallo scorso 2 novembre la struttura è in “funzionamento provvisorio” e può già entrare in azione in caso di piena». Anche quest’opera ha subito dei rallentamenti, considerando che doveva essere pronta per fine 2022. Ma nel caso degli altri progetti la situazione è ben peggiore.

Quella più vicina alla conclusione è la vasca di Senago, che dovrebbe entrare in funzione la prossima estate, mentre a Lentate i lavori sono più indietro e stanno cominciando adesso gli scavi. Singolare è il caso dell’impianto di Varedo-Limbiate-Paderno Dugnano, spostato nell’ex area Snia, una zona abbandonata che va bonificata. I lavori, però, non sono ancora cominciati. A quanto si legge in una nota di AiPo, ora «si pensa di sostituire il progetto», visti i costi della bonifica e della costruzione. Ma Granelli smentisce: «A me non risulta che sia stato cambiato l’accordo di programma. I soldi che abbiamo a disposizione però non basteranno, per cui credo che la Regione sia orientata a chiedere al Governo un rifinanziamento».

I quattro impianti per il contenimento delle acque del fiume, con il relativo investimento e il punto sui cantieri
I quattro impianti per il contenimento delle acque del fiume, con il relativo investimento e il punto sui cantieri
Le cause dei rallentamenti

Per quanto riguarda l’impianto di Parco Nord, l’assessore comunale punta il dito contro i tre ricorsi presentati per fermare un’opera ritenuta non necessaria, non opportuna e dannosa a livello ambientale. «Ricorsi – lamenta Granelli – che ci hanno fatto perdere circa un anno e mezzo, prima dell’inizio dei lavori. Non si poteva infatti intervenire finché non si riceveva una risposta». Dopodiché, il Tribunale superiore delle acque pubbliche e la presidenza del Consiglio hanno dato ragione al Comune. E il progetto è stato approvato da tutti gli enti competenti.

Una volta aperto il cantiere, nel luglio 2020, sono però sorti altri problemi, legati principalmente all’«aumento dei prezzi delle materie prime causato dalla guerra in Ucraina. E così, il costo della vasca è passato da 30 a 31 milioni, mentre i lavori si sono interrotti per otto mesi». Ci sono stati poi altri ostacoli: per la vasca di Lentate, ad esempio, occorre spostare un metanodotto Snam e rallentare la tratta ferroviaria di Rfi. A tutto questo la Regione aggiunge gli effetti del Covid. «La pandemia ha praticamente bloccato i cantieri, non si è potuto scavare a causa del lockdown e delle misure di restrizione», sottolineano dall’assessorato al Territorio. «Purtroppo hanno interferito fattori esterni che esulano dal nostro controllo. Ma ora la situazione si è stabilizzata e i lavori procedono spediti».

Urge ultimare i lavori

Quali che siano le cause, rimane un dato di fatto: la vasca di Parco Nord, da sola, non può risolvere il problema. Se lo scorso 31 ottobre fosse stata in funzione avrebbe sì ridotto, ma non certo eliminato, le conseguenze dell’alluvione. I danni, i disagi e l’ampiezza dei territori coinvolti dipendono ovviamente dalla durata e dalla quantità di acqua che fuoriesce. A quanto sostiene Granelli, «rispetto a fenomeni di una, due o tre ore la vasca di Milano evita totalmente le esondazioni, mentre nei casi più intensi dimezza gli effetti». Come avrebbe potuto fare lo scorso 31 ottobre, quando gli allagamenti sono andati avanti per circa sei ore. Ecco perché occorre terminare al più presto i lavori delle altre vasche: senza di loro il Seveso continuerà a rigurgitare, allagando interi quartieri della città. E Milano non potrà mai dirsi completamente al sicuro.

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