«Consentitemi di non chiamarla finale di Coppa Campioni, è una semplice partita che viene giocata per motivi di ordine pubblico tra il Liverpool, in maglia rossa, e la Juventus».
Quando in telecronaca diretta dallo stadio Heysel di Bruxelles Bruno Pizzul pronuncia queste parole, l’orologio segna le 21:40 del 29 maggio 1985. In quell’esatto momento l’arbitro svizzero André Daïna fischia l’inizio di una gara che non si sarebbe mai dovuta giocare. Il clima attorno al rettangolo verde è grottesco, l’atmosfera surreale. In tribuna stampa aleggia l’incredulità per la decisione di far scendere in campo le squadre, chi segue l’evento dai teleschermi rabbrividisce all’idea che l’evento sportivo non abbia ceduto il passo al cordoglio. I primi bilanci della strage cominciano a circolare, i poliziotti hanno appena terminato di disporre i cadaveri ai piedi dello stadio. I 22 calciatori in campo sono fantasmi che sbiadiscono al cospetto di quanto accaduto solo due ore e venti minuti prima.
LA TRAGEDIA
Lo stadio dell’Heysel è un impianto costruito negli anni ’30 che nel 1985 ha ormai varcato la soglia della fatiscenza. Nonostante gli evidenti limiti strutturali e le reti tra un settore e l’altro più simili a un recinto per animali da fattoria, la UEFA lo sceglie come teatro della finale di quella che all’epoca si chiama ancora “Coppa dei Campioni”. La stessa UEFA che nei giorni antecedenti alla partita decide di non effettuare alcun sopralluogo nella struttura per verificarne l’integrità.
La mattina del 29 maggio il centro di Bruxelles è un cimitero di cocci di vetro e bottiglie gettate. La foga alcolica degli hoolingans giunti nella capitale belga genera disordini in città, la paura di ciò che potrebbe accadere è un presagio la cui trama sembra rubata da un romanzo di Edgar Allan Poe. Nonostante ciò il resto della giornata scorre senza patemi, le autorità sembrano essere in pieno controllo della situazione. Il calcio d’inizio è previsto per le 20:15 e i tifosi cominciano a recarsi all’Heysel già intorno alle 18.
La curva assegnata agli ultrà della Juventus corrisponde ai settori O ed N, mentre sul lato opposto dello stadio i tifosi del Liverpool occupano quelli X ed Y. Per gli spettatori neutrali viene messo a disposizione il settore Z, che confina proprio con quello X occupato dagli hooligans inglesi.
A dispetto delle aspettative, la tribuna Z è in gran parte popolata da sostenitori juventini non appartenenti al tifo organizzato; si tratta perlopiù di famiglie e gruppi di amici. I corpi di polizia in quel momento sono sorprendentemente sguarniti, a guardia di quell’area dello stadio sono rimasti solo 8 agenti. La maggior parte delle unità sono impegnate all’esterno dell’impianto nell’inseguimento di un fantomatico ladro di salsicce.
Alle 19:20, quasi un’ora prima del fischio d’inizio, il teatro degli orrori si anima e prende vita. Gli hooligans ubriachi del settore X si lanciano contro le reti del settore Z, allo scopo di provocare i tifosi juventini e scatenare la loro reazione. I supporters della Vecchia Signora si accalcano spaventati contro il piccolo muro al confine della tribuna. Nella foga e nel panico alcuni cadono e vengono calpestati dagli altri che cercano di mettersi al riparo. In una manciata di secondi il caos diventa indomabile.
Gli inglesi si lanciano in una seconda ondata, la struttura comincia a cedere, provata dalla pressione crescente delle persone in preda alla paura. Alla terza ondata il muro crolla, la fuliggine e i calcinacci si mescolano con il dolore e con il sangue. I morti saranno 39, i feriti oltre 600.
In quello stesso momento le squadre stanno mettendo a punto gli ultimi dettagli in vista dell’ingresso in campo. Nessuno ha idea di quello che è appena accaduto sulle tribune. Ad un certo punto nello spogliatoio del Liverpool si sente un tonfo che non lascia presagire nulla di buono. Il portiere Bruce Grobbelaar esce sul terreno di gioco, osserva gli spalti e si rende conto che è appena successo qualcosa di grave. Vorrebbe dare una mano ai soccorritori, ma viene ricondotto negli spogliatoi senza ricevere spiegazioni.
Poco prima delle 20 l’Avvocato Gianni Agnelli raggiunge lo stadio. Una volta all’ingresso viene informato dell’accaduto; non batte ciglio, decide di risalire subito in macchina e ripartire. Prima di andarsene però, lascia un preciso monito al presidente juventino Giampiero Boniperti: «Questa partita non si deve giocare».
Ma proprio mentre i corpi vengono ancora disposti in fila, i feriti curati e i parenti delle vittime avvisati, ecco che la UEFA prende la decisione che non ti aspetti: la partita si disputerà.
Tra i tifosi il caos regna sovrano: Antonio Cabrini e Marco Tardelli con grande coraggio si lanciano in mezzo alla folla per calmare gli animi e spiegare la situazione. Solo un timido palliativo che non può arginare quello che ormai è un fiume di rabbia e sofferenza.
Il capitano della Juventus, Gaetano Scirea, legge al microfono un comunicato rivolto a tutto lo stadio:
«La partita verrà giocata per consentire alle forze dell’ordine di organizzare l’evacuazione del terreno. Restate calmi. Non rispondete alle provocazioni. Giochiamo per voi».
Tra lo sgomento generale e coi giocatori che ancora non hanno ben compreso di quale portata sia la strage, la finale prende il via alle 21:40. Bruno Pizzul offre una telecronaca incolore, priva di entusiasmo e pathos sportivo, mentre molte emittenti straniere decidono di non trasmettere l’evento. La tv austriaca sceglie di mandare in onda la partita senza audio e con in sovraimpressione la scritta “questa che andiamo a trasmettere non è una manifestazione sportiva”.
Sul campo dell’Heysel è la Juventus ad avere la meglio. Vittoria per 1-0 con gol di Michel Platini, un rigore causato da un fallo su Zibì Boniek avvenuto fuori area. L’esultanza di Le Roi, col pugno al cielo in segno di giubilo, proprio ai piedi del settore Z, scatena delle inevitabili polemiche a cui lo stesso Platini avrà modo di rispondere in seguito:
«Il calcio è un circo che non si ferma mai, neppure di fronte alle tragedie»
La coppa viene consegnata direttamente negli spogliatoi. I giocatori la portano fuori per esibirla al pubblico e dare vita ad un giro d’onore che, così come la partita, sarebbe stato meglio non mandare in scena.
LE CONSEGUENZE
Nel 1987 Albert Roosens, segretario della Federcalcio Belga, venne accusato di omicidio colposo e massacro per i fatti dell’Heysel, mentre, nel 1989, 14 tra gli hooligans inglesi furono ritenuti colpevoli di omicidio volontario: scattò una condanna col beneficio della condizionale.
Nel maggio del 2017 il comune di Torino ha dedicato una piazza alle 39 vittime dell’Heysel di fianco alla biblioteca “Italo Calvino”, nella settima circoscrizione.
La UEFA risarcì la famiglia delle vittime, mentre in seguito venne elaborata la Convenzione europea sulla violenza e i disordini degli spettatori durante le manifestazioni sportive, attualmente incorporata nell’ordinamento di 42 paesi.
Oggi il numero 39 viene ricordato negli striscioni, nelle scritte sui muri, in tv e in giro per i social network. Tutto ciò che si può fare oggi è, appunto, ricordare chi quel giorno ha smesso di soffrire e gioire per il calcio. Ricordare chi avrebbe potuto essere e non è stato, ricordare chi andava vedere una partita di calcio e si è ritrovato coperto dalle macerie, coi propri sogni ed il proprio futuro strozzati dal dolore di quel maledetto 29 maggio.