Caso Levante, Hamza a MasterX: «Io obbligato a spacciare per Montella»

Hamza Lyamani

«Dicevano che se vedevo spacciare porta a porta, dovevo dirglielo». A rispondere dall’altro lato del telefono è Hamza Lyamani,  il giovane marocchino informatore dei militari della caserma Levante che con le sue dichiarazioni al comandante della compagnia dei carabinieri di Cremona, Rocco Papaleo, avrebbe avviato l’inchiesta che ha portato all’arresto dei carabinieri di Piacenza. Nato a Casablanca e in Italia dal 2005, è stato arrestato nel 2016 per spaccio di droga. Ha 26 anni. A tratti balbuziente, Lyamani parla con MasterX dei suoi rapporti con gli indagati del caso Levante. 

 Lei collaborava con l’appuntato Giuseppe Montella.

«Ero obbligato a farlo: o spacciavi per lui, dandogli quindi anche informazioni sulle persone che trafficavano droga, o andavi in carcere».

 Che cosa succedeva in quella caserma?

«L’appuntato aveva tutti gli informatori e dava le terapie a chi necessitava buste di cocaina. Una terapia per un’informazione, un cotto e mangiato. Anche alle prostitute, le ragazzine dipendenti dalla droga».

In un’intervista a Repubblica, Sophie, la trans dei festini, dichiara che i carabinieri della Levante la andavano a prendere e la portavano in caserma per fare sesso in cambio di droga. Lei come sa delle prostitute?

«Un giorno dovevo passare in caserma e Montella mi chiama: ‘aspetta, sto facendo sesso’. Ero in macchina e vedo uscire una ragazzina, la conoscevo e sapevo che usava sostanze stupefacenti. Poi quando l’ho vista me l’ha detto».

 Che cosa?

«Quando era in astinenza, andava da Montella in caserma: una busta in cambio di un servizietto. Ma c’erano anche altre ragazze». 

 Come è entrato in contatto con Montella?

«L’ho conosciuto quando avevo 15 anni, lui era il mio preparatore atletico, giocavo nei pulcini dell’Associazione Sportiva Pro Piacenza».

 Poi l’ha rivisto dopo.

«Nel 2016 vengo arrestato per spaccio di stupefacenti, in realtà era uso personale. Andavo ai  Servizi per le Tossicodipendenze e facevo dei lavori socialmente utili. Avevo l’obbligo di firma e dovevo presentarmi tutti i giorni in caserma. Il primo giorno che sono andato, Montella mi dice: ‘Hamza non sono arrabbiato perché ti hanno arrestato ma perché tu prima di spacciare devi venire a parlare con me, se lo avessi fatto non ti sarebbe successo questo’». 

Lei ha affermato che, quando ha iniziato a collaborare con Montella,  ha lasciato lo spaccio.

«Volevo rigar dritto, quel mondo me lo volevo lasciare alle spalle, invece Montella continuava a insistere finché non mi ha dato il primo pacco d’erba. Dovevo venderlo per lui, mi diceva che potevo fare quello che volevo, di chiamarlo se avessi avuto problemi. Poi ha iniziato a essere pesante». 

 In che modo?

«Mi chiedeva informazioni su dei miei amici. In quei tre anni in cui ero con loro ho perso tutto, sto male – fa un grande respiro – perché ho chiuso una relazione di cinque anni per colpa sua. Dovevo scegliere tra Montella e la mia ragazza».

 Cosa intende?

«Montella era come se fosse la mia amante segreta, io lavoravo per lui e in pochi lo sapevano. Quando l’ho detto alla mia fidanzata, mi ha detto di smetterla subito altrimenti con lei avrei chiuso. Ero appena uscito dai domiciliari». 

 Perché non l’ha ascoltata?

«Ero obbligato a seguire Montella, mi diceva: ‘tanto vieni tutti i giorni a firmare, appena esci ti metto la droga in tasca e ti rimetto in carcere’, che cosa potevo fare? Avevo le mani legate, dovevo accettare e basta. Insieme ai suoi collaboratori mi picchiava». 

Sempre su Repubblica, Hicham Hikim ha confessato di aver ricevuto ‘calci e pugni nello stomaco’ nella caserma Levante. 

«Sì, lo conosco. Io ho ricevuto umiliazioni, sputi in faccia, schiaffi, in altri episodi sono andato anche al pronto soccorso perché mi hanno rotto il naso e il mignolo: ci sono i referti medici che lo dimostrano».

Dopo lei decide di parlare con il maggiore Rocco Papaleo, attuale comandante della compagnia dei carabinieri di Cremona.

«Gli ho raccontato tutto, era forse l’unico onesto. Ho lasciato Piacenza a novembre 2019, se non l’avessi fatto mi avrebbero messo in una valigia e buttato nel Po. Questo è quello che mi dicevano. Grazie a Dio li hanno scoperti, hanno capito che persone sono. A parte lo spaccio e le prostitute, facevano anche i permessi falsi».

 Si spieghi meglio. 

«Quando vedevano uno spacciatore guadagnare molto in piazza, lo mandavano via con un foglio falso con divieto di dimora perché faceva loro concorrenza. Sono una specie di carabinieri ma sono anche dei criminali». 

 Ci sono dei legami con la criminalità organizzata?

«Secondo me sì, con la ‘Ndrangheta». 

 È una supposizione o una certezza?

«Ho avuto a che fare con tante persone, l’erba che aveva lui (Montella, ndr) gliela procuravano dei calabresi quindi c’entra qualcosa la Ndrangheta. So da dove arriva perché lui l’ha sempre detto. Giuseppe Montella si credeva intoccabile, mi diceva: ‘io sono un intoccabile, tu con me sei intoccabile’.» 

 Adesso, lei che cosa farà?

«Voglio andare più lontano possibile, ho già ricevuto altri messaggi di minacce da dei profili falsi, mi hanno scritto ‘solo tempo al tempo e vedrai che ce la paghi’». 

 Ci sono momenti in cui ha avuto paura?

«Ho ancora paura, anche adesso, in questo momento».

Virginia Nesi

LAUREATA IN SCIENZE UMANISTICHE PER LA COMUNICAZIONE A FIRENZE. HA DUE MASTER IN GIORNALISMO: UNO REALIZZATO ALL'UNIVERSITÁ SAN PABLO DI MADRID E L'ALTRO ALLA IULM DI MILANO. APPASSIONATA DI POLITICA ESTERA E SOCIETÁ, HA VINTO IL PREMIO "WALTER TOBAGI 40 ANNI DOPO" E LA MENZIONE SPECIALE AL PREMIO VERA SCHIAVAZZI. HA SCRITTO "MEZZO SOSPIRO DI SOLLIEVO"(PIEMME).

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