“Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima”, scriveva l’ attivista peruviana Cristina Torres Cáceres. Le sue parole sono state riprese da molti utenti sui social dopo la morte di Giulia Cecchettin, uccisa dal suo ex fidanzato Filippo Turetta. Lui, come altri, non aveva accettato la fine della loro relazione. “Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto”. Giulia non è mai tornata dal suo papà. Il suo corpo è stato abbandonato lungo la tortuosa strada della Val Caltea vicino al Lago Barcis, in Friuli.
Quel “bravo ragazzo” è stato arrestato in Germania e accusato di omicidio volontario aggravato. «Portatemi a casa», ha detto Filippo. Giulia, però, a casa non è mai tornata. È stata accoltellata la prima volta nel parcheggio davanti alla sua casa. Poi, dopo averla immobilizzata probabilmente con del nastro adesivo, il ragazzo l’ha spinta nella Fiat Punto nera. Ha raggiunto in pochi minuti la zona industriale di Fossò e qui l’ha ferita a morte, mentre lei tentava di fuggire.
Un fenomeno in crescita
La storia di Giulia Cecchettin è purtroppo solo l’ultima di una lunga lista. I dati sui femminicidi in Italia continuano a variare tragicamente: ogni giorno l’elenco dei nomi delle vittime aumenta. I numeri mostrano come il retaggio culturale maschilista non appartenga solo alle vecchie generazioni, abituate a certe arcaiche visioni di ruoli e assetti prestabiliti. La violenza sulle donne riguarda soprattutto i giovani under 30: solo nel 2023, ci sono stati 54 femminicidi e dieci delle vittime avevano meno di trent’anni.
Secondo i dati resi noti dal Sole24Ore, per quanto riguarda i delitti commessi in contesti familiari e affettivi, rispetto allo scorso anno si nota un aumento dell’andamento generale degli eventi. Nel 2023 sono passati da 101 a 115 (+14%), così come anche le vittime di genere femminile, che da 74 salgono a 75 (+1%). In crescita anche il numero degli omicidi commessi dal partner o ex partner rispetto al 2022, che da 49 diventano 51 (+4%) e quello delle relative vittime donne, che da 44 arrivano a 47 (+7%).
Solo nel periodo tra il 25 settembre e l’1 ottobre 2023 risultano commessi 11 femminicidi. Di queste, 4 vittime sono state uccise in ambito familiare o affettivo, 2 hanno trovato la morte per mano di partner o ex partner.
Il parere della psicologa
Secondo la dottoressa Maria Chiara Rinaldi, psicologa esperta in psicoterapia, depressione e dipendenza affettiva, «molte delle donne che sono attratte da uomini con disturbo narcisistico, partono già da una profonda insicurezza di sé». La precedente autosvalutazione e depressione, le rendono vittime perfette: una volta entrate in una relazione di dipendenza, «il partner narcisista è in grado di insinuarsi velocemente nella psicologia della compagna provocando ansia, depressione, senso di inutilità e di colpa».
Al contrario di quel che comunemente si pensa, queste donne riescono a rendersi conto del pericolo, senza però prendere una posizione. Se, come nel caso di Giulia Cecchettin, si riesce a lasciare il partner, «la dipendenza affettiva porta a perdonare e fare in modo che l’ultima volta sia sempre la penultima».
Per tutelare i giovani, la segretaria del Pd Elly Schlein, si è rivolta alla premier Giorgia Meloni affinché la politica si muova e affronti la tragedia dei femminicidi dal punto di vista dell’educazione affettiva e sessuale all’interno delle scuole.
«Perché questi progetti possano avere presa negli istituti di formazione – continua la dottoressa Rinaldi – è necessario che vengano coinvolti professionisti del settore. L’educazione non dovrebbe inoltre focalizzarsi solo sulla parte maschile, facendo passare l’idea di una vittima e di un carnefice, inutile e inconcludente. Progetti ben studiati dovranno valutare le dinamiche relazionali senza l’utilizzo di etichette».
La denuncia dei centri antiviolenza
«Le donne non chiedono mai aiuto da subito, lo fanno quando ci sono ripetuti segnali di violenza e la situazione con il partner diventa intollerabile», ha detto Lucia Volpi, responsabile del centro antiviolenza “Mai da sole” del CeAS (Centro Ambrosiano di Solidarietà). I centri possono accogliere donne con un’età maggiore ai 18 anni. Offrono un posto sicuro, un punto di ascolto in cui è vietato l’accesso agli autori delle aggressioni.
I problemi variano in base al periodo di vita delle vittime: secondo l’operatrice il pericolo più grande per le giovani under 30 sono le cosiddette relazioni tossiche. «Le prime avvisaglie arrivano presto: le ragazze vengono tempestate di messaggi, non possono più vestirsi come vogliono, vengono svilite nel loro ruolo di donna». Secondo la Volpi, questi episodi di realtà quotidiana sono «segni premonitori di una violenza fisica futura».
Come raccontano la maggior parte delle storie arrivate al centro, non appena la giovane dà segnali di autonomia e voglia di “liberarsi”, i problemi diventano più difficili. «Il compagno non lascerà mai in pace la donna, le promette di cambiare, ma poi ricomincia con violenze psicologiche e spesso anche fisiche. Questo riassume l’atteggiamento patriarcale degli uomini: una volta raggiunto l’obiettivo di avere a fianco una donna ne diventano padroni».
Ripartire dalle scuole
Riconoscere il pericolo e prendere una posizione non è facile per una ragazza che non è ancora indipendente e deve interfacciarsi con la famiglia. «La donna adulta ci pensa di più, le giovani invece vivono le storie con più disinvoltura. Se riescono ad uscire dalla relazione tossica, rischiano di ricadere subito in un’altra», ha commentato l’esperta.
I motivi sono legati a una situazione personale, a un’affettività legata a ciò che manca nella propria intimità. «La ragazza non vede i limiti, si lascia annullare e permette tutti quegli atteggiamenti che la portano all’isolamento. Quella che sembra gelosia è possesso: io non posso perderla, piuttosto arrivo a compiere gesti estremi».
Lucia Volpi è convinta che ci sia una soluzione a tutto questo: «Bisogna andare in mezzo alla gente e spiegare queste realtà, ripartire dal lavoro “più spicciolo”. Bisogna portare questo messaggio nelle scuole come inizieremo a fare dal prossimo mese, ma non con interventi sporadici, serve compiere un percorso». Sono tante, troppe, le storie di violenza, l’ultima quella di Giulia, ma ultima ancora per poco. «Lei era troppo buona, non si era resa conto della rabbia nascosta in quell’uomo. Quest’ esempio deve far capire alle ragazze che possono confidarsi, i centri di violenza ci sono. Non bisogna far passare troppo tempo», ha concluso la responsabile.