«Cercate dove indica l’angelo». È contenuta in una lettera anonima recapitata la scorsa estate a Laura Sgrò, legale della famiglia di Emanuela Orlandi, l’ultima pista che mira a ritrovare i resti della quindicenne scomparsa a Roma il 22 giugno 1983. Il riferimento è a una statua di un cherubino che regge un foglio riportante la scritta “Requiescat in pace” situata all’interno del cimitero Teutonico, accanto alla basilica di San Pietro.
Ebbene, a quasi un anno di distanza l’Ufficio del Promotore di Giustizia del Tribunale del Vaticano ha disposto l’apertura di due tombe per il prossimo 11 luglio: quella a cui fa riferimento la missiva, nella quale riposa la principessa Sofia von Hohenlohe, e il loculo attiguo, appartenente a Carlotta Federica di Mecklemburgo.
«L’operazione – ha spiegato Alessandro Gisotti, direttore della sala stampa vaticana – si inserisce nell’ambito di uno dei fascicoli aperti a seguito di una denuncia della famiglia di Emanuela Orlandi che ha segnalato il possibile occultamento del suo cadavere nel piccolo cimitero ubicato all’interno del territorio dello Stato Vaticano. Il provvedimento prevede una complessa organizzazione di uomini e mezzi in quanto verranno coinvolti operai della Fabbrica di San Pietro e personale del Centro Operativo di Sicurezza della Gendarmeria».
Raggiunta dall’Agi, l’avvocato Sgrò ha invece dichiarato: «Siamo molto contenti di questa notizia. Attendo di avere un colloquio immediato con le autorità per apprendere altre informazioni. Un sincero e sentito ringraziamento per il Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, per questo atto coraggioso».
La speranza di individuare il luogo in cui Emanuela è stata sepolta torna dunque a ravvivarsi. Tanto più a seguito di alcune sommarie verifiche effettuate dalla famiglia nei mesi scorsi. Le tombe individuate, infatti, a quanto emerge sarebbero state aperte almeno una volta. E, soprattutto, «alcune fonti riferiscono che più persone da anni sono solite deporre lì fiori in segno di pietà nei confronti dell’Orlandi».
A oltre trentacinque anni di distanza dall’accaduto, l’auspicio è che la vicenda non si traduca nell’ennesimo buco nell’acqua. Ultimo dei quali, quello dello scorso ottobre, quando alcune ossa “sospette” ritrovate nella Nunziatura Apostolica si rivelarono incompatibili con il profilo dell’adolescente scomparsa. (AV)