Nel pieno centro di Milano, a pochi passi dal Duomo, si trova la Chiesa ortodossa di San Vito Pasquirolo. Come ogni giorno, il tempo è scandito dalle diverse celebrazioni in programma, con le persone che all’ora della messa si riuniscono in preghiera. In silenzio, i presenti ascoltano la predica del prete. Alla fine della cerimonia, la chiesa si svuota. Dopo aver dedicato un momento a Dio, la gente torna alla frettolosa vita milanese. Padre Makar, rettore del tempio, ha voglia di uscire fuori dalle porte per prendere un po’ d’aria. A un anno dalla guerra in Ucraina, ripensa all’aiuto che la sua parrocchia ha offerto e alla speranza che tutto finisca presto.
«Tutto il tempo durante la guerra, noi abbiamo fatto il possibile mandando aiuti. Prima di tutto le medicine, poi cibo e anche vestiti», racconta. Ringrazia gli italiani per l’immensa generosità e per quel supporto che ancora oggi non si ferma: «Condividono con noi la nostra difficoltà, le nostre lacrime». Padre Makar viene dal Donbass, il luogo dove tutto è iniziato. «Il mio cuore piangeva», dice ricordando il 24 febbraio 2022. Quel maledetto giorno.
Là ha tutta la famiglia, gli amici con cui è cresciuto, ma non ha paura. Lui spera che tutto passerà e «si torni a vivere in pace». Sorridendo, aggiunge però qualcosa di inaspettato. Un messaggio che forse può portare la speranza a un livello superiore, più reale. «I nostri parrocchiani russi, aiutavano molto gli ucraini. Insieme, insieme, tutti insieme». Continuano a lavorare in piena unità, ucraini e russi, uomini di popoli divisi dalla guerra, ma che restano uniti dalle lacrime.
Una guerra «di amicizie spezzate», il racconto di Giorgio
Padre Makar conduce la messa con l’aiuto di Giorgio, un ragazzo ucraino di trent’anni che vive a Milano con la sua famiglia. È sposato, ha due bambine, e da quando è arrivato in Italia cerca di condurre una vita normale. Ma la guerra, per lui che l’ha vista iniziare, è un chiodo fisso. Lui lo sa quanto costa: è inciso sulla sua pelle, intriso nella sua memoria. «E’ una battaglia tra politici, non tra popoli». Giorgio continua a ripeterlo con l’emozione negli occhi.
Mentre parla pensa ai suoi amici, ai parenti che non vede da mesi. «Quando è iniziata la guerra ero in Ucraina, ma non ho mai pensato solo a me. Ho alcuni familiari in Russia, e anche loro sono distrutti dal dolore». Giorgio racconta di amicizie spezzate, legami interrotti a causa di decisioni altrui.
Racconta di Sasha. Uno dei suoi migliori amici, costretto ad arruolarsi contro la sua volontà: «Non voleva andare in guerra, odiava l’idea di dover far male a qualcuno», spiega. E questo, secondo i suoi racconti, sembra essere un sentimento condiviso da molti suoi coetanei. L’esposizione mediatica della guerra, così cruda, quasi estrema, ne ha messo in luce via social tutti gli orrori. Giorgio mostra filmati inediti condivisi ogni giorno sui canali Telegram. Nessuna censura. Sangue, esplosioni, macerie. Questo è tutto quello che, ad un anno dall’inizio, resta di due Paesi che non trovano pace.