«L’Australia è in ritardo rispetto all’Italia. Ma i numeri crescono velocemente, giorno dopo giorno. Da un paio di settimane si parla di allarme coronavirus». Filippo, 22 anni, in Australia da gennaio, spiega a MasterX come si vive il virus dall’altra parte del mondo. Subito dopo la laurea, e’ partito per Perth, nella parte occidentale del continente, per studiare inglese. Ma ora, la sua esperienza ha preso una piega diversa.
L’inizio della “fase 2”
In Australia, spiega Filippo, i primissimi casi di Covid-19 si sono verificati già verso la metà di gennaio, poco dopo la comparsa del virus in Cina. «E’ arrivato molto prima rispetto all’Italia, ma era limitato veramente a pochissime persone e siamo riusciti a debellarlo». Le parole di Filippo fanno riferimento alla cosiddetta “fase 1”, ovvero alla prima volta in cui in nel continente si sono registrati dei casi di contagio. Ma, «intorno al 10 marzo il coronavirus è tornato prepotentemente-aggiunge Filippo- e si è ricominciato a parlarne».
A partire dalla metà di marzo, infatti, i casi hanno iniziato ad aumentare rapidamente: il 21 marzo erano 1160 e una settimana dopo, il 28 marzo, hanno raggiunto quota 3580 in tutto il continente. Nel giro di 7 giorni, quindi, si è registrato un aumento di 2420 casi. I dati fanno riferimento a quanto riportato sul sito Worldmeters, che monitora quotidianamente la situazione coronavirus nel mondo. «E’ vero che il territorio australiano è molto vasto e che la densità della popolazione non è come in Italia, però sono numeri importanti. Sopratutto vista la velocità esponenziale con cui aumentano», racconta Filippo a proposito dei contagi. A Perth, quindi nella parte occidentale, i casi accertati al 28 marzo erano 255. Ma la settimana prima solo 90.
Le restrizioni: chiusura (quasi) totale
Per fronteggiare la rapida avanzata del virus, il 18 marzo a Perth sono state prese le prime misure di contenimento: chiusi locali e discoteche per limitare gli assembramenti. Pochi giorni dopo, racconta Filippo, anche ristoranti e bar hanno dovuto cessare la loro attività. Solo i take away hanno potuto mantenere il servizio.
Ma la vera propria “fase 2” per limitare il contagio è iniziata il 26 marzo: chiuse palestre, centri sportivi e tutti i negozi. E’ concesso uscire di casa solo per prima necessità, come andare a fare la spesa o recarsi in farmacia. La “fase 2” prevede inoltre che ai matrimoni e ai funerali possano assistere solo 10 persone, rispettando naturalmente la distanza di sicurezza di un metro. Di fatto però, spiega Filippo, le persone ad oggi (28 marzo) non hanno il divieto di uscire di casa o di andare in spiaggia. «In questo momento potrei andarci tranquillamente, mi chiederebbero solo di mantenere la distanza di sicurezza. Ma ci sono molti che non rispettano le norme», aggiunge.
Se da una parte c’è chi non sembra prendere tanto sul serio la situazione, dall’altra ci sono gli abitanti di una città, ormai semi deserta, che escono solo per andare in farmacia o per fare la spesa. E nei supermercati, accade la stessa cosa che è successa qui in Italia quando il virus ha iniziato a diffondersi: scaffali vuoti e persone con carrelli pieni di scorte. Filippo racconta scherzando «oltre a carne e riso, non c’era nemmeno più carta igienica. Una cosa positiva è che non ho dovuto fare la fila per entrare».
Per quanto riguarda le protezioni, invece, mascherine e igienizzanti faticano a trovarsi in tutta la città. Inoltre, le prime scuole stanno iniziando a chiudere, anche se non c’è un’ordinanza del Governo che ne impone la chiusura totale. Ed è solo a discrezione dei genitori, spiega Filippo, la scelta di mandare i propri figli a lezione, oppure tenerli a casa. «La mia ha chiuso il 25 marzo e solo dal 27 abbiamo iniziato la didattica online. Siamo in ritardo rispetto all’Italia», aggiunge.
Molte persone sembrano essere mentalmente pronte alle fase successiva, la terza, quella del lockdown completo. Anche Filippo è di questa idea «dal mio punto di vista, le cose stanno peggiorando e queste misure non bastano. Sarebbe meglio fare subito un lockdown totale e rimanere in casa per almeno due settimane».
Il ritorno in Italia al secondo tentativo
Preoccupato dall’evolversi della situazione in Australia, Filippo prende la decisione di tornare in Italia, dove sarebbe dovuto rientrare solamente alla fine di maggio. Il 24 marzo, quindi, va in aeroporto con la speranza di riuscire a prendere il volo. «Ero pessimista. Ma sai, con le valigie pronte e il tuo volo non cancellato inizi a sperarci», racconta. Il viaggio prevedeva due tappe: la prima a Singapore, dove avrebbe dovuto fare scalo, e la seconda a Zurigo, da dove invece avrebbe preso un treno fino a Como.
A meno di 24 ore dalla partenza, pero, le autorità di Singapore vietano di fare scalo nell’aeroporto, fatta eccezione per i residenti e per le persone munite di valido passaporto singaporiano. Il volo, quindi, ha l’autorizzazione a partire e può arrivare a Singapore. Ma la tratta successiva è cancellata. «Ero con tantissime altre persone e, come loro, ho sperato fino all’ultimo di poter salire sull’aereo. Nessuno ci ha avvisato prima, abbiamo scoperto tutto una volta arrivati all’imbarco», dice Filippo.
A quel punto, cerca di mettersi in contatto con il Consolato Italiano e con l’Ambasciata. E quando riesce a parlare con qualcuno la risposta è: «Per quanto possibile, i voli con la compagnia Qatar Airways sono più sicuri e la Farnesina sta collaborando con loro per permettere a tutti gli italiani di tornare in patria».
Filippo allora si riorganizza: prenota, a spese sue, il primo volo disponibile per tornare a casa. La data è 1 aprile e la tratta prevede un scalo a Doha(Qatar) e uno a Francoforte(Germania). Da lì, diretto fino a Milano. E finalmente, dopo quasi 48 ore di viaggio, controlli e misure di sicurezza non sempre ottimali, riesce ad arrivare a casa.
La situazione attuale in Australia
Dall’inizio di aprile, in Australia le misure sono diventate più rigide: sanzioni per chi esce di casa senza un valido motivo e quarantena di 14 giorni per tutti i passeggeri di voli internazionali. Ad oggi, 3aprile, i casi accertati sono più di 5000.
Le zone che stanno affrontando l’emergenza in maniera più grave sono il Queensland, nella parte est del continente, che ha deciso di chiudere i suoi confini, la Tasmania, Victoria, il Nuovo Galles del Sud. Anche questi ultimi, hanno preso la stessa decisione. Oggi, inoltre, il Primo Ministro australiano, Scott Morrison, ha annunciato che i viaggiatori e gli studenti provenienti da un altro paese, dovrebbero tornare a casa, proprio a causa dell’emergenza coronavirus.