Verona-Milano, cosa vuol dire prendere il treno durante il lockdown

Prima del lockdown, prendere il treno per la tratta Verona-Milano permetteva di scegliere tra circa sei treni Italo, ventiquattro Frecciarossa, uno ogni ora, intervallati ogni mezz’ora da un regionale Trenitalia. Il 16 maggio, un sabato mattina, l’unico treno disponibile, che non fosse un regionale, ridotti comunque a una decina, era il Frecciarossa delle 8.30.

Secondo il decreto, fino al 3 giugno almeno, non è possibile cambiare regione se non per comprovati motivi. Ovvero per lavoro, salute, rientro al proprio domicilio o residenza. Il Veneto, per aiutare i cittadini con casa sul confine della regione, e magari con terreni, parenti o lavoro dall’altra parte, ha siglato accordi con Trento e alcune province a confine con Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia per permettere gli spostamenti interregionali per altri motivi.

Le stazioni sono state completamente riadattate alle esigenze imposte dal decreto contro la diffusione del coronavirus. Per evitare gli assembramenti si è pensato a nuovi percorsi creati apposta per separare gli arrivi dalle partenze. Almeno questo è quanto si vede nella stazione di Verona Porta Nuova.

Stazione Verona Porta Nuova
Stazione di Verona Porta Nuova sabato 16 maggio (foto: Giulia Taviani)
Stazione Verona Porta Nuova

Differentemente da quanto si era abituati fino al 9 marzo, la stazione di Verona Porta Nuova ha assunto un aspetto nuovo. Divisa esattamente a metà, una parte e un ingresso per gli arrivi, l’altra parte per le partenze. Il 16 maggio, pur essendo il primo giorno di weekend, il piazzale davanti alla stazione è vuoto e silenzioso, per strada non c’è quasi nessuno, nonostante dopo la riapertura del 3 maggio anche a Verona le provinciali hanno iniziato a farsi più trafficate.  Anche la stazione è silenziosa. Solo qualche passeggero munito di guanti e mascherina che, con occhi bassi, cerca di orientarsi mentre alcuni militari controllano l’ingresso dei lunghi corridoi che portano ai binari.

A terra, fuori e dentro la stazione, strisce e frecce colorate indicano il percorso. Il primo pensiero è che prendere il treno durante il lockdown non è più una cosa per ritardatari. Non è più il momento adatto ai lunghi addii e ai saluti verso i propri fidanzati. Prendere un treno in questo periodo è per chi porta pazienza, per chi si munisce di autocertificazione, per chi ha una ragione valida per spostarsi, da solo.

«Dove sta andando?»
«A Milano»
«Per quale motivo?»
«Sto tornando alla mia residenza»
«Ha l’autocertificazione con sé?»
«Certo»
«Me la faccia vedere per favore, e la tenga perché sicuramente gliela richiederanno anche sul binario»

Davanti al lungo corridoio che porta ai treni, sono stati posizionati due militari per constatare le motivazioni che spingono i cittadini a lasciare la regione. Ma non ci sono solo loro. Non appena si salgono le scale, indicate sempre dalle frecce, si schierano davanti un gruppo di circa cinque poliziotti in borghese per controllare la carta d’identità. In quel momento di silenzio e di tensione, perché la sensazione è quella di essere nel torto anche senza un motivo reale, il gioco di sguardi è diverso. Alcuni sembrano comprendere la voglia e la necessità di tornare a casa, o di tornare al proprio lavoro. Altri invece sembrano giudicare dall’alto della loro mascherina quegli spostamenti. Infine, oltre a loro, altri poliziotti controllano che lungo il binario non vengano fatti assembramenti o vietate le norme.

Stazione Milano Centrale

Un’ora e un quarto di treno non sono molte, se non fosse che passate completamente in silenzio risultano infinite. Su i treni è pensato tutti appositamente per seguire le misure sanitarie. Niente posti affiancati, per la gioia di coloro che sono soliti a scegliere il posto singolo, e niente posti da 4, reinventati a due. Ovviamente non uno di fronte all’altro.

La stazione di Milano Centrale invece è più affollata di quella di Verona, ma nulla a confronto con un normale sabato di maggio. Niente ragazzi che saltano su un regionale per la gita del weekend al lago, niente lavoratori con la valigia che tornano a casa, ma solo facce stanche che non vogliono stare in giro. La stazione milanese è però troppo grande per poter essere divisa a metà tra arrivi e partenze come quella di Verona. Quindi, Centrale si è trasformata in una sorta di cantiere al chiuso. Qua non ci sono infatti solo le segnaletiche incollate al pavimento, ma anche delle vere e proprie transenne a delimitarne l’area e a indicare il passaggio vero l’uscita.

A Milano le persone sono di corsa, hanno fretta, non parlano, guardano a terra. Ma se per alcuni questo può sembrare del tutto normale, per chi conosce bene Milano non lo è. La fretta che si vedeva tra quelle persone infatti, non è ritardo, ma paura, almeno in parte, di stare in giro, soprattutto se in una stazione.

Ma se a Verona i controlli rischiavano quasi di paralizzare la stazione, a Milano la percezione non è la stessa. Niente controllo della febbre in uscita, niente verifica dell’autocertificazione, un solo controllore fuori dalla porta d’uscita. L’importante è avere la motivazione per salire sul treno, non serve per scendere.

Giulia Taviani

24 anni, nasco a Verona, mi sposto a Milano ma sogno Bali. A sei anni ho iniziato a scrivere poesie discutibili, a 20 qualcosa di più serio. Parlo di attualità nel podcast "Mo' To' Spiego" e di vino in "De Buris: Il lusso del tempo". Ho scritto di cinema, viaggi, sport e attualità, anche se sono fortemente attratta da ciò che è nascosto agli occhi di tutti. A maggio 2020 ho pubblicato il mio primo libro "Pieno di Vita"

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