Il rugby in quarantena di Sara Tounesi: «allenarmi sui social una salvezza»

È domenica 23 febbraio e la Nazionale italiana di rugby femminile si sta preparando per affrontare il match contro la Scozia, valido per la terza giornata del Sei Nazioni 2020. Le ragazze fanno giusto in tempo a fare colazione, poi arriva la doccia fredda. «Fino al giorno prima non avremmo mai immaginato uno scenario simile. Poche ore prima della partita ci hanno comunicato che non saremmo scese in campo».

Sara Tounesi con la maglia delle Furie Rosse del Colorno

Sara Tounesi, rugbista classe 1995 del Colorno e della Nazionale italiana, racconta il momento in cui il Covid-19 ha scritto la parola fine sulla sua stagione e su quella della palla ovale. Il campionato italiano, in pausa da fine gennaio per far spazio al Sei Nazioni, viene annullato il 26 marzo su decisione della Federazione italiana di rugby. Viene stabilito, inoltre, di non assegnare il titolo, né tantomeno di procedere con promozioni e retrocessioni. Insieme alle competizioni per club si fermano anche le Nazionali, facendo così terminare in anticipo la stagione 2019-2020.

In attesa di poter rientrare in campo, per uno sportivo in quarantena subentra il timore di perdere non solo l’intesa di squadra, ma anche la condizione fisica acquisita durante la stagione. Il rugby è lo sport di contatto per eccellenza, ma gli atleti di questa disciplina si sono dovuti adattare a tenersi in forma da casa. Nonostante si alleni due volte a settimana con la propria squadra seguendo i video dei preparatori atletici del Colorno, Sara è riuscita a ovviare a questa preoccupazione anche grazie a un’iniziativa originale sui social: «Ho diffuso un messaggio su Instagram – racconta la seconda linea del Colorno – nel quale invitavo ragazzi e ragazze di ogni sport a scrivermi per allenarci insieme. Quest’iniziativa per me è stata una salvezza, perché mi sono allenata ogni giorno con persone diverse. Ad un certo punto mi sono dovuta prendere il week-end di riposo per le tante richieste che avevo, ma è comunque stato un grande stimolo per tenermi in forma».

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Prima della fine anticipata della stagione, la selezione azzurra aveva iniziato il Sei Nazioni con aspettative elevate, specialmente dopo il secondo posto ottenuto nel 2019. Le ragazze avevano approcciato al torneo con una vittoria e una sconfitta ed erano ancora in corsa per traguardi importanti. Terminare in anticipo la manifestazione è stato un peccato, perché «noi siamo convinte di poter arrivare ovunque, non ci poniamo limiti. Abbiamo una grinta, una voglia di vincere e una dedizione al lavoro che non hanno eguali», sostiene Sara.

«Giochiamo a rugby come se fossimo professioniste – continua la seconda linea della Nazionale –, anche se in realtà non lo siamo, e otteniamo grandi risultati. Noi prendiamo questa condizione come se fosse un punto di forza, andiamo a colmare quello che ci manca con l’amore per questo sport». Il tema del professionismo femminile è infatti terreno di dibattito da diversi anni. La svolta fatica ad arrivare, ma nel novembre 2019 la Commissione Bilancio al Senato ha approvato un emendamento che potrebbe di fatto equiparare gli sport femminili a quelli maschili. Sul perché questo stia avvenendo con ritardo in Italia Sara ha le idee chiare: «Secondo me manca la cultura. Questa è una grande differenza rispetto a nazioni come Francia e Inghilterra, dove il rugby è considerato come il calcio. Di conseguenza in Italia non ci sono gli spalti pieni, c’è poca visibilità e mancano le basi per completare il passaggio al professionismo. E mi dispiace, perché così la gente si perde uno degli sport più belli del mondo».

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